Febbraio 1668

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«Galatea, ho saputo che vi incontrate con uno stalliere: è vero?» domandò Eleonora con tono tagliente, guardandola dall'alto in basso.

Galatea, colta alla sprovvista, ammise che sì, le cose stavano così. Dunque, alla fine Tessa aveva deciso di parlare...

«Voi siete matta! Uno stalliere?! Come potrò organizzarvi un buon matrimonio se vi macchiate in questo modo la reputazione davanti a tutta la corte?! Volete che si rida di me?!» strillò la duchessina, stringendo il ventaglio nella mano.

«Non credo di dare scandalo, Vostra Altezza – si scusò, tenendo chinata la testa in segno di sottomissione – Non facciamo che passeggiare per i giardini»

«Certo, questo volete far credere. Provvederò a denunciare questa faccenda a mio padre, dato che si tratta di un suo servitore. Vi ammonisco severamente, Galatea: se verrò a sapere che dopo oggi voi accondiscenderete a incontrarvi nuovamente con il vostro spasimante, sarò costretta a fare in modo che ciò non possa mai più accadere»

A quelle parole, Galatea sentì una fitta trafiggerle il cuore. Non avrebbe mai immaginato che Eleonora avrebbe preso così a male la questione. Invece si accorgeva di non aver tenuto in nessun conto l'intenzione della figlia del duca di combinare a ciascuna delle sue damigelle un matrimonio confacente al suo rango di duchessina. Era un passatempo che la aiutava a dimenticare la frustrazione delle trattative matrimoniali alle quali il duca e la duchessa stavano lavorando: si ventilavano proposte di matrimonio dentro e fuori l'Italia, ma era difficile prendere una decisione. Allora la duchessina si sfogava giocando con le damigelle come fossero bambole.

«Non accadrà più, Vostra Altezza» disse in un sussurro, consapevole di mentire. La duchessina sorrise soddisfatta e tornò nei propri appartamenti, da dove era venuta pochi minuti prima, in un orario assolutamente inusuale. Galatea si tirò dritta, affranta ma decisa alla sfida.

«Tea, per l'amor del cielo, promettimi che non farai nulla di avventato» disse Bice. Galatea scosse la testa, senza rispondere.

*

Lasciò passare un mese in cui si dedicò tutta ai doveri di damigella: il modo migliore per ingannare Eleonora era accontentarla in ogni pretesa e mostrarsi sempre remissive. Ebbene, Galatea era disposta a questo finché non fosse stata sicura di poter osare; allora avrebbe infranto la promessa e avrebbe dato appuntamento a Paolo per ricominciare a vedersi di nascosto.

Paolo fu ben felice di scoprire come stavano le cose: il silenzio delle ultime settimane, il viso impenetrabile di lei e il suo silenzio gli avevano fatto pensare che le cose fossero volte allo stalliere e che tra loro non fosse più possibile alcun tipo di rapporto.

«La duchessina non vuole che ci vediamo – confessò Galatea sussurrando per non farsi sentire – Ha detto che se viene a sapere che andiamo contro i suoi ordini farà in modo che non possiamo incontrarci mai più»

Paolo soppesò le sue parole, poi ribatté: «Non abbiamo tempo da perdere, allora: decidiamo un giorno e prepariamoci a scappare insieme. Non potranno opporsi, una volta che ci saremo sposati. E se non vorranno più averci qui, troverò un altro luogo dove andare. Nella peggiore delle ipotesi, potremmo andare a casa tua, dai tuoi genitori»

Galatea negò: «Scordatelo. Se ci sposiamo manderò in frantumi le loro speranze: scordati che possiamo andare da loro»

«Ma non ti opponi al matrimonio, giusto?» la incalzò lui.

«No, certo che no! Pur di farla a quella serpe potrei sposare anche un diavolo» sibilò lei e, senza dargli il tempo di rispondere, lo baciò.

«Ma tu non sei un diavolo, Paolo» gli disse poi, tornando a guardarlo negli occhi.

Paolo la abbracciò, stringendola forte a sé: «Non vedo l'ora, Tea...» e cercò un altro bacio. Lei si negò, si dimenò, ma per essere rilasciata dal suo amato carceriere dovette concedergli ciò che voleva. Dopodiché si allontanò a passo veloce: si erano concessi troppo tempo oltre la normale prudenza. Quando lei fu scomparsa dietro l'angolo del corridoio semi-illuminato, Paolo si precipitò di corsa nella direzione opposta. Era tanto felice che gli sembrava di volare. 

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