Ottobre 1659 pt. 4

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Pensò la notte a mettere fine a quel giorno pieno di concitazione; ma Galatea si girava e rigirava nelle lenzuola senza prendere sonno: da un lato, dormire con altre bambine che a stento conosceva – i loro nomi erano Caterina, Perla e Bice – la metteva a disagio; dall'altra, sentiva ancora quella presenza che non l'abbandonava nemmeno lì, dopo tutta la strada che aveva fatto. Alla fine, quella sensazione la vinse e la fece scattare seduta sul materasso.

«So che sei qui – disse sibilando, per non svegliare le compagne di stanza – Vattene via!»

Qualcosa si mosse nell'angolo meno illuminato, dove i raggi di luna che filtravano dalle imposte non arrivavano. Galatea saltò in piedi e corse alla finestra, per aprire le persiane e scoprire l'intrusa che pensava essere la Morte.

«Non mi conosci e già mi cacci via, piccola figlia di mercante?»

Galatea si bloccò con la maniglia della finestra stretta nella mano destra. Volse lentamente il viso dietro di sé, alla propria sinistra, da dove veniva una voce che non era quella della figura ammantata di nero.

«Chi sei?» bisbigliò, mentre un tremito la scuoteva.

Un'ombra si mosse nell'oscurità e fece capolino da dietro i letti in cui dormivano Perla e Caterina. Non era alta quanto la Morte e non portava nessun mantello, ma la luce argentea della luna non permetteva di vederla bene. Era sicuramente una ragazza molto giovane e anche lei – Galatea se ne accorse subito – non proiettava ombra contro la parete opposta alla finestra. Era come se i raggi la attraversassero.

«Sono matta?» domandò ancora Galatea sedendosi di peso sul materasso. La ragazza si avvicinò ancora. Aveva un viso sorridente, molto fine e delicato; gli occhi avevano un taglio allungato e non si distingueva un colore preciso dell'iride. Aveva folti capelli biondi che le cadevano sulle spalle e sui seni piccoli. Indossava una veste vaporosa che brillava come se fosse stata ricoperta di infiniti piccoli cristalli di ghiaccio, come l'erbetta dopo le notti gelide dell'inverno. Quando fu abbastanza vicina, Galatea notò sulla sua testa una corona d'oro che sembrava raffigurare le mura di una città. Ristette a guardarla e si schiacciò spalle al muro sull'orlo del letto.

«Non devi aver paura di me, non adesso» disse la giovane bellissima, aprendo le labbra in un sorriso luminoso.

«Sei sua sorella?» bisbigliò Galatea, portandosi una mano sulla guancia.

«Di chi, tesoro?»

«Della Morte»

La ragazza sorrise ancora: «No, ma la conosco bene. Spesso ho avuto a che fare con lei» si interruppe con una risatina civettuola e abbassò lo sguardo con finta modestia.

«E' una corona, quella? Sei una regina?» domandò ancora la bambina, indicando con il dito.

La ragazza rise di nuovo allo stesso modo come se si fosse parlato di cose di nessuna importanza, poi rialzò gli occhi e fece di sì con la testa: «Sono una regina molto, molto potente! Anche i re più grandi e più ricchi si inchinano al mio cospetto. Non ho bisogno di un esercito per annientare i miei nemici, e non ho palazzi dove ricevere gli ambasciatori. Le persone ci tengono a incontrarmi faccia a faccia, ma non è sempre facile accettare i miei capricci»

Galatea storse il nasino alle ultime parole: nella sua idea di regalità non erano contemplati i capricci, perché la sua mamma si era preoccupata di farle passare presto la voglia di farli, e lo stesso aveva fatto nei confronti dei suoi fratelli. Possibile che ciò che si richiede a figli di mercanti non si richieda a chi regge nelle proprie mani un vasto potere?

Come se avesse intercettato i suoi pensieri, la giovane interlocutrice chinò la testa senza smettere di guardarla: i suoi occhi scintillavano e il suo sorriso prendeva lentamente una piega inquietante.

«Io sono la Fortuna, piccola mia – sussurrò, facendole venire i brividi – E non devi discutere con me»

Poi, all'improvviso, come se non fosse accaduto nulla, la ragazza scattò in piedi ridendo fragorosamente.

«Tu puoi vedermi e parlarmi – sussurrò ancora, con lo stesso tono di prima – Non ti accorgi di quale dono preziosissimo tu abbia?»

Galatea rispose stringendosi al muro: «Non so se sono contenta di averlo, questo dono...»

La Fortuna le sorrise, e in un batter d'occhio la sua espressione lunatica fu spazzata via da un'altra, dolce e compassionevole: «Se ti trovi qui, vuol dire che qualcuno ha scommesso su di te: starà a te dimostrarti all'altezza. Ora sei piccola, le cose ti verranno imposte ancora per qualche tempo. Ma non tarderà ad arrivare il momento in cui sarai messa alla prova. Nel frattempo, vedi di conoscerci bene: potremmo tornarti utili, siamo amiche che non tutti possono vantare»

Detto ciò, la Fortuna si avvolse nel suomantello brillante e scomparve per incanto. Galatea rimase intontita, come sesi fosse appena risvegliata da un sogno molto strano. Si coricò di nuovo e, inbreve tempo, tanta era la stanchezza, si addormentò.

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