Settembre 1669

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La pancia di Bice era cresciuta; senza corsetto si intravedeva già sotto la gonna, tondeggiante come un uovo. Galatea la guardava quasi con disgusto, vedeva l'amica deformarsi, diventare un'altra persona. Mentre Vincenzo le sembrava più uomo di quanto non fosse prima, e cioè un uomo realizzato, completo, marito e padre, nella figura di Bice vedeva sempre più uno strumento per la felicità di altri, un involucro per una creatura non ancora nata e un trofeo per colui che l'aveva sposata.

«Se sarà maschio, abbiamo deciso che lo chiameremo Alessandro, come il grande condottiero» sospirò Bice, giungendo le mani sul grembo. Galatea dissimulò tutti i pensieri che vorticavano nella sua testa e ammise che sarebbe stato un bell'abbinamento: Alessandro Monteni, nome degno di un grande personaggio.

«E se sarà femmina?» concluse.

«Se sarà femmina voglio chiamarla Elisabetta, come la nostra cara duchessina»

«Non temi che la duchessina Eleonora possa risentirsi?» scherzò Galatea. Bice sorrise e ribatté: «Se avrò una seconda figlia insisterò con Vincenzo per chiamarla Eleonora, così non farò torto a nessuno»

Riprese il ricamo e continuò il lavoro che aveva cominciato poco prima. Era un fazzoletto di suo marito e intendeva ricamarvi le sue iniziali; un lavoro facile e veloce, per occupare lo spazio di una chiacchierata amichevole dopo la colazione. Galatea non aveva portato nulla da fare e se ne stava con le mani in mano, guardando l'ago che entrava e usciva dall'intreccio di fibre ben disteso.

«Il duchino è un buon marito?» le domandò Bice senza alzare gli occhi. Galatea disse di sì, disse che non poteva lamentarsi di lui, che le voleva bene e glielo dimostrava ad ogni occasione.

«E' che vi vedo un po' freddi...» confessò l'altra, sempre attenta al lavoro.

«Siamo solo timidi... Sai, noi abbiamo addosso gli occhi di tutta la corte; è difficile non farci caso»

Bice fu d'accordo: «Di tanto in tanto mi viene in mente quella notte di aprile di due anni fa. Sono cambiate così tante cose...»

«Chissà dove sarà ora Paolo - replicò, spostando lo sguardo verso una finestra - Chissà se ha saputo del matrimonio...»

«Non è che lui ti manca? Forse, per la tua felicità, sarebbe stato meglio se ti fossi sposata con lui quella notte. Saresti scampata a molti impicci, no?»

Galatea deglutì prima di rispondere: «In effetti - disse - Sarei stata molto lontana a quest'ora...»

«Lui lo sa?»

«Chi?»

«Il duchino...»

Scosse la testa: «No, e credo sia meglio per tutti che non lo sappia mai»

Il principe Ferdinando fece capolino nel suo campo visivo e lei, di primo acchito, cercò di ignorarlo. Poi subentrò un pensiero più ragionevole, che le consigliò di accennare un inchino. Il principe, che era fermo a guardarla, si risolvette ad avvicinarsi.

"Torna alla carica" pensò Galatea. E infatti, non appena fu accanto a loro, Bice fu invitata a raggiungere suo marito, che sembrava l'avesse cercata poco prima in un altro salotto. La giovane scappò via rapidamente, stringendo in mano il fazzoletto. La seggiola libera fu immediatamente occupata.

«Sono contento di vedere che, nonostante il battibecco di due giorni fa, voi mi concediate ancora la vostra attenzione» esordì, pronto a riprendere da dove era stato interrotto.

«Sia chiaro, Eccellenza: da parte mia non otterrete nulla di più dell'altro ieri. Siate pure in pace con voi stesso, le vostre offerte non mi interessano» ribatté gelida, mettendosi subito sulla difensiva.

«Non casco nei vostri inganni: voi siete una donna, e in quanto donna non potete fare a meno di intessere trame. Io però so per certo che nulla è mai avvenuto»

«Vi ripeto che siete informato male»

«Ostinatevi pure, non fate che attirare il mio interesse. E non è un vantaggio per voi»

Galatea strinse una mano nell'altra per sfogare l'irritazione che la sola vista di quell'uomo le metteva in corpo. Il principe ghignò, percependo il suo disagio.

«Quando resterete sola, allora voi verrete da me perché sarò l'unico disposto a tendervi la mano per rialzarvi. Sarà una brutta caduta, in ogni caso. Non credo che qualcuno vorrà più sposarvi dopo ciò che si sarà detto di voi. Il vostro destino sarà segnato; ma al mio fianco potrete diventare comunque molto potente, anche senza corona sulla testa»

La voce del principe si insinuava nella sua mente avvolgendola come le spire di un serpente. E stringeva, stringeva, fino a soffocarle qualsiasi pensiero.

«Ma perché insistete tanto nei miei confronti? - attaccò Galatea, stringendo i pugni - Sono una donna sposata e voi siete vedovo, per di più siete lo zio di mio marito. Voi sapete che un matrimonio tra noi sarà tanto scandaloso quanto quello tra me e Ottavio»

«Certo, lo so bene. Ma in caso di annullamento, conto di ricevere facilmente la dispensa, se dovesse essercene bisogno, viste le circostanze. Se voi doveste tornare disponibile per altre circostanze, allora non saprei assicurarvi che tutto andrà come previsto»

«Voi mi fareste diventare la vostra favorita» lo accusò con sdegno.

«Una favorita riverita e rispettata da tutti - ammise aprendo le mani - Una favorita ricca e potente quanto lo sarò io»

Poco le importava, in realtà, di quale sarebbe stata la sua condizione; piuttosto la spaventava l'ennesimo accenno a certe circostanze che non significavano altro che una cosa molto semplice: vedovanza. Al principe non dovette sfuggire l'espressione intimidita che assunse il suo viso, nonostante lei si sforzasse di apparire forte e testarda.

«Forse vi siete già affezionata a lui - ipotizzò infatti, toccandosi il mento - Forse è per questo che lo coccolate come una madre, che cercate di proteggerlo. Ecco, se nutrite questo affetto, è bene che vi separiate da lui il prima possibile. Come vi ho già detto, potrebbero accadere cose spiacevoli se vi ostinerete a recitare la parte degli sposini»

«Voi mi minacciate, ma non temete che io possa denunciarvi a mio marito o al duca?» contrattaccò di nuovo, irrigidendosi ancora di più.

«Non montatevi la testa perché qualche farfalla vi gira attorno tutto il giorno, cara duchessina - rispose lui con un'espressione malvagia - Chi potrebbe pensare che io, l'unico che vi ha accolta prontamente nella famiglia, che vi ha sostenuto di fronte ai parenti con il rischio di perdere ogni buona reputazione, possa attentare alla vita di vostro marito? Ne ho fatto il mio protetto, è solo grazie a me se Antonio non ha ancora avanzato pretese di esclusione per lui dalla successione. Ammetto francamente che Ottavio mi sta comodo lì dov'è, ma senza di voi. Voi dovete essere mia. Siete troppo bella per essere lasciata a uno sprovveduto che di voi non sa cosa farsene: io vi voglio, Galatea, e voi meritate di più»

Galatea si alzò di scatto mentre lui ancora parlava, cogliendolo alla sprovvista; andò a passo veloce verso il corridoio e vi si gettò come se fosse la sua unica salvezza. Le donne di corte la accerchiarono subito, facendole da scorta verso la sua meta, qualunque fosse. Galatea si lasciò accompagnare da questo fiume finché si sentì al sicuro.

*

Era scesa la sera; Galatea, seduta di fronte allo specchio, si pettinava. Non aveva gran necessità di farlo, poiché ci aveva già pensato Maria e aveva smesso solo pochi minuti prima. Tuttavia, la spazzola era rimasta lì sul mobiletto e lei non aveva resistito alla tentazione di comportarsi ancora come la ragazzina che era stata prima del matrimonio. Un colpo dopo l'altro sentiva i capelli, così fini e leggeri, tornare suoi, appartenerle di nuovo, essere cosa sua. Ormai non si sentiva più così da molto tempo. Ottavio non era ancora arrivato, ma questo non la preoccupava molto. Era comunque presto, rispetto all'orario in cui la raggiungeva di solito. Perciò focalizzò l'attenzione sulla propria immagine riflessa allo specchio, puntò gli occhi contro il loro riflesso, ne studiò le venature più o meno scure, venature che conosceva a memoria. Poi, quei colori cominciarono a cambiare. Come irradiandosi dalla pupilla, le venature divennero color verde acceso, poi color castano, poi violacee, quindi blu. Mutavano in continuazione, come percorse da un'energia sconosciuta. A quel punto Galatea batté veloce le palpebre, pensando di essersi confusa. Facendo così, inevitabilmente, spostò l'attenzione da un piccolo dettaglio al riflesso nella sua interezza e solo allora si accorse di non essere più lei la fanciulla che si specchiava. Era una fanciulla bella, infinitamente bella, dai lineamenti dolci ma impenetrabili, delicati e severi insieme. Le sue labbra non sorridevano e i suoi occhi trasmettevano mille emozioni diverse. Galatea provava paura, ma anche speranza, poi tentennava ed ecco che era subito di nuovo sicura. Capì subito che non si trattava di uno scherzo di Fortuna: la giovane aveva lunghi capelli castani, lisci all'inverosimile, immobili come i capelli di una statua. E quello sguardo profondo e saggio, del tutto inadatto all'età che il viso dimostrava, e nonostante ciò assolutamente giustificato nel complesso della sua figura.

«Chi sei?» bisbigliò, per paura che Ottavio, sopraggiungendo, la sentisse.

Gli occhi della ragazza brillarono senza che la sua espressione cambiasse minimamente: «Sono la Prudenza» rispose, e la sua voce era chiara e rassicurante, priva dell'inflessione giocosa di Fortuna e del suono metallico della Morte.

Galatea trasse un respiro di sollievo sentendola parlare. Fu come se d'un tratto, all'improvviso, le preoccupazioni che l'avevano assillata in quella giornata si fossero appianate, permettendole di analizzare la situazione a mente fredda. La Prudenza la guardò a lungo, poi parlò a propria volta dicendo: «Non abbiamo bisogno di altre presentazioni, perché non è la prima volta che ci incontriamo; è la prima volta in cui tu mi vedi»

«Com'è possibile questo?» domandò Galatea, che aveva pensato la stessa cosa non appena aveva udito la sua voce.

«Tu sei prudente, Galatea, e io parlo dentro di te. Tu mi ascolti, se hai la testa abbastanza sgombra da potermi udire» spiegò pacatamente, senza accennare il minimo sorriso. La duchessina si avvicinò allo specchio per guardarla meglio. Notò che stringeva tra le mani uno specchio con manico, in argento lavorato e cesellato ad arte. Vedendo che quell'oggetto aveva attirato la sua attenzione, la Prudenza lo sollevò e lo pose accanto al viso nell'atto di specchiarsi. Compì quel semplice gesto con tanta grazia che Galatea ne rimase incantata.

«Tu vivi negli specchi?» chiese spinta dalla curiosità. La Prudenza tornò a guardarla e, senza manifestare né fastidio né vanità rispose: «Io vivo nella tua mente, sono dentro di te. Lo specchio è solo lo strumento che ti serve per conoscermi»

«Perdonami, ma non capisco cosa intendi dire»

Pazientemente, la Prudenza si accinse a chiarire i suoi dubbi: «Lo specchio è l'oggetto che più di tutti mi rappresenta. Guarda, - disse, sollevandolo di nuovo - In questo momento io posso vedere tre cose contemporaneamente: vedo ciò che sta davanti a me, semplicemente distogliendo lo sguardo; allo stesso tempo vedo me stessa, riflessa sulla superficie dell'oggetto; e per terzo vedo ciò che sta dietro di me. Queste tre cose rappresentano passato, presente e futuro: osservandole insieme posso arrivare a una decisione saggia»

«E cosa dovrei vedere io nel mio specchio?»

La Prudenza, per la prima volta da tutta la conversazione, inarcò un poco il sopracciglio: «Sai benissimo cosa vedi. Pensaci»

Galatea chiuse gli occhi e subito si materializzò davanti a lei il principe Ferdinando tale e quale com'era quella mattina durante il loro ultimo incontro. Poi lo vide ancora nel giorno del loro primo dialogo, e poi via via nei ricordi precedenti, alcuni confusi, altri vividissimi. Quando riaprì gli occhi, Galatea trovò la Prudenza lì dove l'aveva lasciata.

«Vedo solo il passato, temo»

«Non c'è passato che non contenga una briciola di presente - sentenziò - Così come è dal presente che ha origine il futuro. Nulla viene dal nulla»

Galatea allora pensò a se stessa e si rivide allo specchio, sola nella propria stanza. D'altronde, Ottavio l'avrebbe trovata precisamente in quella situazione, se solo fosse sopraggiunto in quel momento. Un brivido la scosse e ammise: «Il mio presente è fatto di paura»

Prudenza annuì: «Quell'uomo ti spaventa, e fai bene a temerlo»

«Tu sai qualcosa che io ignoro, vero?»

«Sì, ma non potrò mai mettertene a parte - confessò la fanciulla innocentemente, poi, abbassando lo sguardo, continuò - Stando così le cose, potrebbe sembrarti che io sia inutile»

«Niente affatto! - si oppose - Tu sei la migliore che io abbia incontrato finora... Delle altre non posso fidarmi»

Prudenza batté le palpebre: «Attenta a non farti ingannare dalle apparenze, figlia di mercante: tutte noi diciamo la verità e tutte siamo affidabili in egual misura. È l'umano ad essere troppo fragile, troppo superficiale per intendere le nostre parole. L'unica che non può essere fraintesa è la Morte. Noialtre, invece, tendiamo a velare la verità, chi più e chi meno. L'ascoltatore attento saprà interpretare bene i messaggi»

Galatea annuì mortificata, chinando la testa.

«Tornando a lui - intervenne Prudenza - Cosa vedi nel futuro?»

Si concentrò prima di parlare: «Vedo altra paura, e rabbia. Vedo Ottavio in pericolo, vedo le sue mani su di me...»

Singhiozzava. Si scosse per farsi coraggio, ma le previsioni la sopraffecero.

«È questa la tua paura: ma poniti un'altra domanda, ora. Perché?»

«Perché cosa?»

«Se tutto nasce da qualcosa, da cosa nasce questo interesse del principe?»

«L'ha detto: mi trova bella e mi vuole per sé»

«Ed è solo questo? Perché allora non farsi avanti prima, prima che tu e tuo marito diventaste confidenti? Perché non rovinare i vostri rapporti sul nascere? Le stesse insinuazioni che ti muove con insistenza senza raccogliere frutti, solo qualche mese fa avrebbero guastato l'immagine che hai di tuo marito»

«Evidentemente qualcosa è cambiato. Il duca...»

«Certo: due morti ravvicinate, un avvelenamento, e i sospetti di tuo marito... Ma cosa c'entra tutto questo?»

«Perché non me lo puoi dire?!» piagnucolò.

«Pensa, Galatea, - la incalzò - Cos'è accaduto tra voi che giustifichi un tale mutamento di atteggiamenti?»

La serratura della porta schioccò nell'attimo in cui la maniglia venne abbassata. Galatea, già tesa, balzò in piedi, con due lacrime ancora sulle guance. Ottavio la guardò e la sua espressione si fece buia come la notte.

«L'ha fatto di nuovo?» disse semplicemente, accostando la porta fino a chiuderla nel totale silenzio. Lei non riuscì a parlare, annuì con la testa e poi gli venne incontro; in pochi passi fu da lui, si strinse piangendo alla sua giacca, sussultando e gemendo.

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