8. We are not safe again

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«Allora, partiamo con una domanda semplice: quanto ti senti coraggiosa oggi?» le labbra del tatuatore si muovono sinuose, scrutandomi dall'alto di tutta la sua immensa corporatura; ha gli occhi grigi ridotti in due fessure e un fugace ghigno sulle labbra sottili.
È una figura cupa, vaga, avvolta dal mistero, come se nessuno potesse mai accedere a quelli che realmente sono i suoi pensieri o alle sue visioni di questo mondo che si sta lentamente disintegrando.

«Come mai non lo sono stata in tutta la mia vita.» Rispondo schietta, senza paura, beandomi della piccola briciola di coraggio che sono riuscita a racimolare in questi minuti di sospensione.
La mia schiena nuda aderisce al lettino color petrolio e non riesco a muovermi, né a distogliere lo sguardo dallo sconosciuto che, con grande accuratezza, tiene stretto un carboncino tra le dita e lo passa più e più volte sulla carta semi ruvida.

«Mi hai detto sulla schiena, giusto?» annuisco decisa.
Lui non mi sfiora, non mi guarda, non mi rivolge nemmeno la più impercettibile delle attenzioni.
Gli basta osservarmi con la coda dell'occhio per tenere conto del mio lieve cenno del capo e riprendere a scorrere il nero sullo spesso foglio beige.

«Allora, dato che non ho molto tempo a disposizione e ti sto facendo un favore perché sei carina, mettiamola in questo modo: hai già qualcosa di preciso in mente oppure mi lasci libera scelta nel disegno? Sappi che se hai intenzione di scegliere la seconda opzione, potrò realizzarne un massimo di due e, se vuoi tatuarti oggi, sarà uno tra quelli.»

La schiettezza delle sue parole mi paralizza, bloccandomi il respiro.

L'aura avvolta dal mistero si è rivelata, spogliandosi di ogni copertura, e devo ammettere in tutta sincerità che quello che vedo non mi piace per niente.

«Emh, in realtà non saprei cosa tatuarmi di preciso, quindi potrei anche-»

«Amaranta? Puoi venire qui un attimo?» la voce dello sconosciuto si fa avanti e si fa cristallo, colpendomi dritta nel petto primo di protezione.
I suoi occhi sono incisivi, così tanto che sembrano volermi perforare la pelle, il cuore, senza preoccuparsi della breve distanza che ci separa o del fatto che non siamo soli. Il tatuatore, a sua volta, tiene lo sguardo fisso su di me, in attesa.

«Posso? Ci vorranno pochissimi minuti.» La sua espressione intimidatoria è in grado di rispondermi senza parole, senza versi, senza sospiri.
Mi alzo velocemente dal lettino, coprendomi con una camicia a quadri e raggiungendo lo sconosciuto in preda a chissà qualche dilemma mentale.
«Che c'è? Non vedi che abbiamo poco tempo e non posso fermarmi a parlare con te? Diamine, se solo non avessi paura che scappassi a gambe levate guidando il mio pulmino, ti avrei fatto rimanere fuori.» Sbotto esasperata, passando le dita tra i capelli color mogano. Lui reagisce in fretta, afferrandomi per il polso e attirandomi a sé.
«Sei davvero sicura di volerti fare un tatuaggio?» mi chiede serio, più di quanto mi aspettassi da parte sua.

«Sì, perché?» il suo sguardo si indurisce, la mandibola pronta a graffiarmi come lama, come coltello conficcato tra le costole.

«Perché voglio sapere se prima di scappare devo rubare i suoi strumenti da lavoro oppure no.» I miei occhi si spalancano.

Non di nuovo, non di nuovo.

Un ghigno fugace gli attraversa il volto, rispondendo alla domanda che temevo di dovergli fare da un momento all'altro. Si alza di scatto e lì, dritto contro il braccio del tatuatore, si conficca la punta argentea di un coltellino svizzero.

«E quello dove diavolo lo tenevi nascosto?!» la mia voce sottile viene sovrastata da lamenti di dolore e colpi contro il muro bianco e perfettamente imbiancato. Ora alcune gocce di sangue lo ricoprono, sporcandolo di fame, di sete, di vendetta e di paura.
«Gli spacciatori hanno i propri trucchetti, dopotutto.» Sento un sussurro contro l'orecchio, poi un respiro delicato sulla nuca.
Non ho il tempo di metabolizzare nemmeno il mio petto pronto ad esplodere perché la scena è troppo frettolosa, troppo assurda, così veloce da farmi male lo stomaco.
Le due figure ingaggiano una lotta violenta e si sovrastano ripetutamente, fino a quando il mio improbabile compagno di viaggio lo getta a terra, infilando con più forza il coltello nel braccio già avvolto dal rosso del sangue. L'altro rimane sul pavimento, immobilizzando per il dolore; io, invece, sono immobilizzata dalla paura.

Quanto ancora sono costretta a sopportare in questa vita sovrastata dal dolore?

Dallo stesso terrore di commettere un altro sbaglio?

Le mani dello spacciatore sono intente a raccogliere tutti gli strumenti sul tavolo da lavoro, infilandole in una busta trovata lì vicino.
Poi si rivolge a me, tenendo le mie braccia tra le mani sporche di sangue; riesco a sentirne l'odore fin dentro le ossa. Come conseguenza, solo brividi riescono a percorrere la mia schiena.
«Amaranta, riprenditi! Dobbiamo scappare! Mi dispiace davvero tanto per non averlo capito prima, per non essermi fidato dei miei istinti, ma dobbiamo andarcene, va bene? Non siamo al sicuro nemmeno qui.» Annuisco in uno stato di trance, seguendolo per non so quanti minuti verso l'esterno del locale. Il tessuto sottile della camicia mi scopre il petto pallido, ma non riesco nemmeno a trovare la forza per fermarmi e abbottonarla, stringerla, aggrappandomi ad essa con l'unica forza che mi rimane.

Avanziamo incerti come due anime senza scopo, raggiungendo il pulmino parcheggiato a pochi metri dal piccolo negozio di tatuaggi.
Il cielo opaco si sta lentamente concedendo alla notte, rassicurandoci con un tepore aranciato che mi colora la vista e mi dona un po' di luce. Vorrei potermici immergere dentro, vorrei poter abbandonare nel caldo bollente tutte le mie preoccupazioni.

Se solo...

«Amaranta, sbrigati, cazzo!» la sua voce rimbomba, è un tumulto senza fine. Mi volto appena in tempo per scorgere degli strani individui dall'altra parte della strada: hanno delle pistole in mano e sono puntate proprio su di noi. Proprio su di me.

Lo sconosciuto mi afferra all'ultimo secondo, richiudendo la portiera dietro di me e mettendo in moto, lasciandosi il delirio alle spalle.

Sento che potrei svenire da un momento all'altro, sento che il sangue sta lentamente abbandonando l'interno delle mie vene, cadendo a terra.
Chiudo gli occhi piano, sperando di risvegliarmi e di scoprire che tutto questo non è altro che un incubo.

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