9. I Won't leave you, not now

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Le sue dita sottili sono immerse tra i miei capelli e ci giocano, li accarezzano, districando le preoccupazioni e facendone un ammasso destinato unicamente a restare alle mie spalle.
Riesco a riconoscere il suo respiro caldo sulla mia fronte mentre, quasi con naturalezza, riacquisto conoscenza e sollevo le palpebre ormai grigie per via dello sfinimento.

Mi lascio pervadere dalla vista del cielo notturno e stringo la sua mano d'istinto, aggrappandomici come se non avessi nient'altro al mondo a cui tendere, nient'altro di cui mi importasse. Lui, sorpreso, reagisce ritraendosi e rilassandosi subito dopo. La mia pelle contro la sua, in una breve concessione senza secondi fini.

«Non sono morta, vero?» gli chiedo all'improvviso; il suo sorriso docile accompagna una reazione rassicurante, protettiva, portandolo a stringere le mie dita tra le sue.

«Per fortuna, oggi sono riuscito ad evitarlo.» La sua voce mi accarezza la pelle e, in un barlume di lucidità, mi metto a sedere di colpo, guardandomi attorno con gli occhi sgranati. «Aspetta un attimo, ma dove siamo?!» chiedo in preda al panico.
Il petto si alza e si abbassa ripetutamente, senza sosta, senza freno, senza il minimo accenno a fermarsi. Il cuore pompa e sento il sangue che mi pulsa nelle vene delle braccia, avvolgendomi di un tepore che mi fa girare la testa. Trattengo il fiato mentre scene di sangue, paura e vendetta si ripropongono nella mia mente. Lui se ne accorge, se ne accorge che i miei pensieri sono ormai altrove.
Mi stringe le braccia, mi stringe a sé.

«Siamo lontani e questo è l'importante. So che potrebbe non bastare, ma per ora siamo al sicuro. E so anche che sono uno stronzo.» I miei occhi si assottigliano, ricreando due fessure che fendono l'aria e accompagnano un'espressione confusa.

«Lo sono stato, almeno per le prime tre ore del nostro viaggio. La verità è che ero disperato che tu volessi abbandonarmi sul ciglio della strada, destinato a morire senza avere la possibilità di una vita felice. Ma no, non dovevo trascinarti con me» si blocca, mi impedisce di entrare nella sua conversazione con se stesso, voltandosi dall'altro lato, «ora mi sento in colpa per quello che stai passando. Maledetta la mia codardia, maledetto il mio innato desiderio di autoconservazione

«Quello, in un modo o nell'altro, ce l'abbiamo tutti.» Gli porgo una mano sulla spalla, riportandolo da me.

«E poi, mi hai già dimostrato quello che dovevi. Due volte.»

Forse doveva andare così, forse dovevamo continuare a salvarci a vicenda.

«Amaranta, puoi dirmi la verità. Lo so che non vuoi continuare questo viaggio con me e mi sta bene così. Ti ringrazio per quello che hai fatto fino ad ora, ma questa non è la tua battaglia.» Gli impedisco di andare via, lontano da me, con le dita che si trasformano in cinghie strette contro il suo polso ambrato, cinque lacci, impossibili da sciogliere.
Il suo corpo, a metà tra il dentro e il fuori, si blocca e cambia direzione. Ora è dritto verso di me.
«Forse non lo hai detto nel migliore dei tuoi momenti, ma avevi ragione. Non sarò mai al sicuro, tanto meno da sola. È vero, non sono una tua vera complice, sono solo una povera sfortunata che è finita per darti una mano nel peggiore dei momenti possibili, ma quei delinquenti non lo sanno. Verrano a prendermi anche se decido di proseguire senza di te. E tra le altre cose, voglio farlo. Voglio fare questo viaggio. Non ho niente da perdere nella mia vita.» La mia determinazione lo scalfisce, destabilizzandolo e facendolo barcollare.

Non sa come reagire.
Non si aspettava una risposta del genere; riesco a leggerglielo nelle palpebre, ora tese e spalancate, ora chiuse per metabolizzare il fruscio della mia voce.

«Sei sicura?» nessuno me lo aveva mai chiesto. E io dico , grido .

«Va bene, allora. Ripartiamo domani mattina. Niente più fermate superflue. Non te lo avevo specificato all'inizio per paura, ma il tizio a cui devo dei soldi è influente a livelli che non immagini, quindi dobbiamo stare vigili perché hanno contatti ovunque.»

«Ho notato.» Emetto una leggera risata, cercando di buttarla sul ridere. D'altronde, sono sempre stata brava a nascondere le emozioni.

Afferro una coperta nascosta sotto un mucchio di scatoloni e la distendo sulle mie gambe, inebriandomi del calore e del vago senso di sicurezza che riesce a infondermi anche solo per un momento.
Faccio un cenno allo spacciatore, invitandolo a sdraiarsi accanto a me.

Cos'ho da perdere? Niente.
E forse, mi sento più al sicuro così.

Chiudiamo il pulmino.
Avrei voluto vedere le stelle, avrei voluto concedermi uno squarcio di cielo prima di chiudere gli occhi, avrei voluto abbandonarmi all'ignoto.

Non importa.

Stringo il suo braccio contro il mio petto. Lo sa che è solo un gesto involontario dovuto alla paura e alla solitudine.
E così, in un attimo cristallizzato in cui niente più di una minaccia mortale ci lega, il pensiero che cerco di evitare dalla scorsa notte mi balena di nuovo nella testa:

Voglio sapere il suo nome.

Al diavolo le complicazioni.

Voglio sapere di lui.

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