13.

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23 ottobre 2000

«Ieri mattina ho incontrato Lele sotto casa, mi ha detto che sabato sera hai litigato con Enea.»

Non mi andava di parlare. Feci di sì con la testa, continuando a tenere lo sguardo sul libro di arte.

«Certo che è proprio un cretino quando fa così, lo sa che poi finite a litigare!»

«Sì, scusa Flà, non ho voglia di parlarne né di pensarci», distolsi lo sguardo dal Narciso di Caravaggio.

«Certo, lo sai che se vuoi...»

«Lo so. Grazie», accennai un sorriso di riconoscenza e tornai a fissare il libro.

Mi sentivo uno zombie. Mi ero imbottita di antidolorifici perché la testa mi pulsava forte e gli occhi gonfi mi facevano male.

Passai la mattinata a scuola scribacchiando sul diario, per lo più che desideravo una morte veloce.

Dopo, mi trascinai da Irma's. Mi sembrava ormai una cosa inevitabile e, se pure non ero in condizioni di presentarmi, lo feci lo stesso, perché prendere la decisione di non andare richiedeva delle energie mentali che al momento non avevo.

Neanche l'idea di vedere Damien mi emozionava. Mi sentivo svuotata da qualsiasi sentimento. E pensare che l'ultima volta che ci avevo parlato mi aveva fatto domande sul mio fidanzato. Ah! Se avesse aspettato qualche giorno probabilmente non lo avrei avuto neanche più, un fidanzato. Ma tanto che cosa poteva fregare a lui, ormai non fregava nemmeno più a me.

Arrivammo sempre per prime e ci mettemmo in cucina. Tirai fuori il mio panino col prosciutto cotto ma solo a guardarlo mi sentivo male.

«Vuoi mangiare? Guarda che faccia che hai, non puoi stare fino a stasera a digiuno. Vedrai che con Enea si sistema», Viviana mi accarezzò un braccio.

Feci di no con la testa e scoppiai a piangere. Non sapevo neanche più il motivo. Sentivo solo un forte dolore dentro, una voragine che mi squarciava il petto, un senso di oppressione e le forze di stomaco.

Flavia e Viviana mi si misero vicino, Flavia che inveiva contro Enea in tutte le lingue e Viviana che non sapeva come calmarmi.

«Che succede?» Fabiana entrò insieme a Marta.

«Enea», Viviana le diede un'occhiata allusiva.

«Ma che cazzo ti frega di Enea! Hai qui quel pezzo d'uomo di Damien e tu ti preoccupi di un ragazzino?» esplose Marta, spostando rumorosamente una sedia. Il suo metro e ottanta e la corporatura robusta la rendevano poco delicata.

Fabiana non perse tempo, tirò fuori dalla borsa la trousse e disse che doveva subito rifarmi il trucco, non potevo lasciarmi vedere in quello stato. Mi ordinò di lavarmi il viso e poi spese talmente tanto tempo e impegno nel sistemarmi, che ebbi paura di specchiarmi. In effetti c'era andata abbastanza pesante con l'eyeliner ma i miei occhi ne beneficiarono.

«Ecco, entro stasera Damien ti si scopa», fu la candida conclusione di Marta.


Quando arrivò Damien eravamo già tutte in sala prove. Salutò, e già da lontano, mentre poggiava la sua giacca su una sedia, lo vidi soffermarsi sul mio viso. Fabiana doveva aver esagerato, sicuramente gli sembravo una battona o una disperata. O una battona disperata. Non disse niente per pura gentilezza.

Io avevo già ricevuto un caloroso invito da parte di Marzio ad avere un contatto visivo con Damien mentre cantavamo insieme. Non potevo continuare a guardare altrove, per aria, per terra, le mie mani o la polvere che volteggiava in giro. Non avevo voglia di controbattere, aveva ragione, e mi limitai al solito «Non ce la faccio», che fu respinto col solito «Ce la farai».

Iniziammo a provare, ci avevano posti l'uno di fronte all'altro e non potevo immaginare cosa peggiore. Però il senso di vuoto che avevo dentro mi faceva vivere quella situazione in maniera meno drammatica che se fossi stata in piene facoltà mentali.

Logicamente, feci tutto tranne che guardarlo. Doveva essere una scena pietosa vista da fuori. Ma anche vista da lui che cercava di dare un senso all'esibizione, cercando un contatto visivo.

Presi a fissare un punto su di lui ma dopo un po' Marta, dietro di me, senza abbassare neanche troppo la voce: «Te la smetti di guardargli il pacco? Sono due ore che glielo fissi». Io impallidii e poi diventai rossa rendendomi conto che effettivamente avevo gli occhi puntati sull'inguine. Dio mio. Mi prese a ridere e a quel punto ebbi serissimi problemi a continuare.

Marzio cominciò a bastonarmi fermando tutti ogni volta che ridevo, guardavo altrove o perdevo la concentrazione. Stavo rovinando le prove ma non riuscivo a gestire la tensione e la vergogna che provavo. Oltre al fatto che mi sarei persa nei suoi occhi meravigliosi, avevo paura che mi trovasse particolarmente brutta mentre cantavo. Questo mi preoccupava tanto. Pensavo che cantare con passione mi avrebbe distorto il viso, che già partiva male, e che lo avrebbe trovato orrendo.

Marzio mi chiamò vicino a lui, sembrava di stare a casa, quando da bambina mia madre mi faceva avvicinare per dirmi che mi stavo comportando male. A bassa voce e con molta calma mi disse di controllarmi e di essere più concentrata. Io cominciai di nuovo a spiegargli che non lo facevo apposta, che ero troppo imbarazzata e mi ci sarebbero voluti anni per dargli quello che voleva. In più mi avevano fatto notare che per cercare di concentrarmi senza volerlo avevo gli occhi fissi sulle parti basse e questo mi creava ancora più imbarazzo. Marzio sorrise e disse che l'avevano notato tutti. Anche Steve, lì accanto non riuscì a trattenere una risata, dalle loro espressioni sembrava li avessi fatti divertire parecchio. Cambiai discorso e provai a dirgli che probabilmente non c'era complicità tra noi e che per quanto ci sforzassimo non ci sarebbe mai stata. Marzio si sgonfiò, spalle calate e pancia in fuori, formava una piccola "c" lì seduto su quello sgabello. Lo sguardo di chi ti sta ascoltando per l'ultima volta perché gliene hai già raccontate troppe. Rimase così per qualche secondo, poi: «Va bene, ci hai provato. Ora torna a cantare». Tornai al mio posto sconfitta e continuammo a provare.

D'improvviso trovai in me tutta la tristezza di questo mondo, senza dover cercare tanto, e mi calò un velo sugli occhi. Guardavo intorno a me e vedevo come se tutto e tutti avessero un enorme lenzuolo di organza lilla a coprirli, li scorgevo ma non bene, incapace di cogliere le loro espressioni.

Alzai lo sguardo verso Damien e il resto delle prove lo feci puntando ai suoi occhi, con grande sollievo di Marzio.


«Come stai?» il suo profumo aveva annunciato il suo arrivo.

«Bene, grazie.» Finii di rovistare nello zaino, ormai non ero più sicura di cosa stessi cercando.

«Mi sei sembrata lievemente assente. Non che abbia cantato male ma ti vedevo...»

«Purtroppo non so come fare. Marzio insiste e ha ragione, io però non sono in grado di gestirlo», presi a parlare velocemente.

«No, perdonami, non voleva essere una critica. Mi sono solo preoccupato, avevi un'espressione... non so, triste.»

Sì, sono molto triste. O Marzio vuole che ti esprima il mio amore cantando ma io non saprei fermarmi. O, anche, so che ti faccio schifo e questo mi fa impazzire. Queste furono le cose che mi vennero in mente ma ebbi la decenza di scartarle e rimanere in attesa di qualcosa di meno penoso. Attesi invano.

Lui indugiò e poi mi fece l'occhiolino: «Domani sarà un giorno migliore», e io annuii facendo ciondolare la testa come se ne fossi convinta. «Hai degli occhi bellissimi anche quando sono tristi.»

Mi sentii andare a fuoco, presi lo zaino di scatto e me ne andai. 

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