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Alla fine il the la mattina mi faceva sentire più leggera. Avevo rivalutato anche le fette biscottate, non erano male. Se poi servivano a non pensare a lui, potevo considerarle come un rimedio necessario.

Peccato non funzionasse.

Sopravvissi a quella settimana schivando domande che arrivavano da ogni dove.

Viviana, Flavia, Fabiana e Marta, le più intime, mi chiesero cosa avessi fatto con Damien dopo la festa.

«Chiacchierato un po' in macchina.»

«E quel succhiotto te l'ha fatto mentre chiacchieravate?» Marta lo indicò. Cercavo di nasconderlo il più possibile ma quando facevamo le docce insieme era quasi impossibile. Tra quello e i lividi che mi ero fatta da sola, sembravo una cartina politica del mondo.

«Quale... no, me l'ha fatto Simone prima di andare via dalla festa», meglio dare la colpa a lui.

«Bugiarda! Simone ti ha baciato dall'altra parte. L'ho visto io che vi stavo guardando!» esclamò Fabiana.

«Non è vero, ti sbagli.» Ma non la convinsi.

«Vabbè, lasciatela in pace», Flavia stava litigando con dei calzini. «A che ora sei rientrata a casa?»

«Boh, non lo so. Forse le 6,30», pensai a un orario plausibile.

«Bugiarda! Lele ti ha visto alle 11 con lui. Con lo stesso vestito, entrambi.» Lo rivelò manco fosse la Signora Fletcher.

«Ci stai dicendo una montagna di bugie. Sai che vuol dire questo?» intervenne Viviana.

«Che ci sei andata a letto!» concluse Fabiana.

«Magari! Non è quello che pensate», risposi con un sorriso afflitto.

Erano così convinte di avere la verità in mano. E io ero così triste.

«T'ha fatto proprio un bel regalo!» Viviana batté le mani.

Poi continuarono finché non finirono il repertorio di allusioni e frasi spinte. Beate loro che si divertivano.


Durante quella settimana Damien fu spesso occupato con Nicholas che non veniva da parecchio tempo. Mi sembrava di aver capito che fosse stato negli Usa per questioni di lavoro, poco mi importava perché la sua presenza mi infastidiva. Un paio di volte mi sussurrò dei commenti molto pesanti e provò a strusciarsi addosso a me quando capitò di trovarci da soli, cosa che evitavo ma che di certo non evitava lui. Continuavo a non avere timore, solo un forte disgusto e la convinzione che se avesse esagerato se ne sarebbe pentito. Però fino a quel momento avrei fatto in modo che Damien ne rimanesse fuori.


23 febbraio 2001

Il venerdì avrebbe dovuto essere un giorno rilassante, per regola morale. Ma non fu così, per nessun verso.


«Proviamo le ultime due canzoni. Poi basta», Marzio tamburellò con le mani sulle gambe.

«Altre due?» Giulia sbatté la testa sul microfono.

«Sì, due nuove. Poi dobbiamo prendere una decisione su quale portare.»

«Male che va il prossimo anno ne facciamo un altro, con le canzoni escluse!» propose Germana.

Fui terrorizzata di scorgere della sofferenza in lui. Abbassò lo sguardo giocherellando con gli spartiti rimanendo sorridente, i miei occhi si velarono, i suoi no.

«Intanto vediamo di essere pronti per questo, per il prossimo anno si vedrà.»

Non potei fare a meno di incrociare lo sguardo triste di Steve.

«Comunque! In questi giorni abbiamo lavorato nell'ombra», riprese scherzando, «e Damien si è cimentato sia col piano che con l'italiano.»

Una fitta di gelosia mi pervase il corpo. Chi era ora quella bastarda che gli aveva insegnato l'italiano al posto mio? Avevo il fuoco negli occhi.

«Ginevra non farti prendere dalla gelosia, gliel'ho insegnato io... Il piano invece non so chi glielo abbia insegnato», continuò maliziosamente.

«Va bene, si può sapere che canzoni sono?» gli parlai sopra. Il fuoco negli occhi doveva essersi visto.

Ridacchiò.

«Dai!» esclamai spazientita. E divertita.

Iniziammo con quella del piano. Vederlo lì seduto mi fece venire un'irrefrenabile voglia di sedermici sopra e fare l'amore. Con Marzio non mi era mai capitato. Mai, mai.

La canzone era "Piano in the dark" e la cantai con tutto il trasporto che sentivo dentro. Alle prove era presente anche Mathias, che da ora in poi si sarebbe ulteriormente occupato di darci un'impostazione sul palco. Proprio quello che mi preoccupava di più. In realtà non mi era mai sfiorato il pensiero di poter stonare, solo quello di sembrare troppo imbarazzata e non sapere in che modo muovermi.

Quindi ora dovevo cantare di fronte a Damien mentre suonava il piano, come se ci fossimo solo noi. Anzi, c'eravamo solo noi, niente coro. Un senso di intimità mi fece tornare con la testa a casa sua. Sentivo di nuovo addosso le sensazioni che mi dava e non riuscivo a nasconderlo, potevo solo mettere tutte quelle emozioni nella canzone, fare finta che fosse la musica a trasportarmi e confondere gli altri, di certo non lui.

«Buona la prima!» fece Marzio.

L'altra era "Sospesa", l'avevo ascoltata con Damien durante la settimana reclusi a preparare l'altra canzone in italiano.

Avrebbe cantato anche il coro con noi. In realtà lui aveva una piccola ma decisiva parte, quella che rendeva la canzone un qualcosa di penetrante.

«Venite qui», ci chiamò Mathias. «Questa la cantate mentre ballate un lento abbracciati.»

Non commentai ma mi sporsi con la testa in direzione di Marzio, come per dirgli "Lo senti cosa ci sta chiedendo di fare?".

«Non guardarmi così, lo hai fatto nemmeno una settimana fa,» alludeva alla festa, «se ci sei riuscita allora, ci riesci pure adesso», mi zittì senza bisogno che parlassi.

Tornai a dare l'attenzione a Mathias. Non avrei vinto.

«Servirebbe però... Devi essere più alta», e mi guardò le scarpe. «L'altra sera era perfetta perché aveva i tacchi», si rivolse verso quelli della band. Quindi al mio compleanno avevano avuto l'illuminazione. Perciò mi stava dicendo che ero bassa senza tacchi. Pure questo, ora.

«Non c'è nessuna coi tacchi alti? Le prestate le scarpe.» A parte che la trovavo una cosa ridicola oltre che poco igienica, ma poi nessuna andava in giro con un tacco di dieci centimetri in borsa.

Invece sì, Fabiana.

Andammo negli spogliatoi e la insultai per non essersi fatta gli affari suoi. Quando ritornammo in sala, rideva come una scema mentre io traballavo perché erano di un numero e mezzo più del mio.

«Uhm, quanto sono alte? Mi sembrano più basse di quelle dell'altra sera», mi squadrò poco soddisfatto Mathias il perfezionista.

«Oh, io queste ho! Saranno 7 o 8 centimetri.»

«Va bene, è facile. Damien fa la prova decisiva, mettile le mani sul culo, vedi se è l'altezza giusta!» sghignazzò Steve. Un'onda di imbarazzo mi pervase sapendo che le aveva messe, eccome, sul mio culo. Lanciai un'occhiataccia a Steve evitando di incrociare lo sguardo consapevole di Damien. Oddio, il solo ricordo mi eccitò. Santo Cielo dovevo fare qualcosa, non poteva essere che appena ripensavo a quelle cose i miei ormoni impazzissero.

Mathias ci disse di avvicinarci, di non usare il microfono perché per quello qualcosa si sarebbero inventati, e di ballare un lento mentre ci guardavamo negli occhi, a pochi centimetri di distanza. Ancora meno. Sì, così.

Mi tolsi dall'abbraccio di Damien che mi toglieva il respiro in attesa che iniziassero a suonare. Intanto mi puntavo le unghie appena sopra il petto, per rilassarmi, distrattamente.

«Smetti di farti male, al concerto ci devi arrivare senza tutti i segni che hai addosso», Mathias mi parlò sottovoce. Rimasi perplessa, cosa aveva capito? Era una frase buttata là o era serio? E come aveva fatto a vedere i lividi, forse durante la lezione? Pensavo non si vedessero. Mi tolse la mano dalla bocca mentre pensierosa e preoccupata mi mordicchiavo vivacemente il dito. Mi guardò come un genitore guarda la prole mangiarsi le unghie. Damien ci osservava in silenzio.

Iniziarono a suonare e io mi concentrai strizzando gli occhi. Smisero, rispondendo a un gesto di Mathias.

«No, senza smorfie.» Mi avrebbe fatta nera.

Ricominciarono e io mi avvicinai a Damien con la testa bassa.

«Alza il viso. Lo devi cercare, non evitare.»

Sospirai.

Ripartirono. Li bloccò di nuovo subito.

«Cosa?» allargai le braccia esasperata.

«Le mani, non te le devi torturare. Respira e parti. Nessuna indecisione, nessun tentennamento.»

«Ok, ok, ok. Vai.» Respirai. Poi feci due passi ed ero di nuovo tra le sue braccia. Ero così concentrata a guardare di nuovo la sua bocca da così vicino che finché non iniziò a cantare lui, non udii neanche la mia voce. La sua mano sulla schiena stavolta non era scivolata più in basso e mi pentii di aver perso la chance di essere toccata ancora di più, domenica mattina.

«Non fa parecchio caldo qui dentro?» Steve si sventolava con lo spartito. La musica era finita, la canzone pure, io non mi ero ancora staccata da lui. Da quanto stavo così senza motivo?

«Bravi», Mathias si avvicinò. «Non è che per caso alla fine potete darvi un bacio, anche piccolo, sfiorarvi le labbra... sarebbe perfetto!»

«Certo, poi mi dovete sparare in testa per staccarmi.» Iniziarono tutti a ridere, me compresa. L'unico spaesato era Damien che non aveva capito.

«Cosa ha detto?» guardò in giro in cerca di aiuto senza ottenerlo.

Ritornati quasi seri, Mathias chiese a Damien di fare almeno qualcosa con le mani. Intendeva le sue mani con le mie, ma naturalmente questo portò a una seria di sottintesi di vario tipo. In realtà, scherzarci sopra mi aiutò a rilassarmi.

«L'ultima ma fatta bene.»

La facemmo bene. Io oltre alla bocca avevo guardato tanto i suoi occhi e il mondo esterno era scomparso. Le sue mani presero ad accarezzare le mie, si intrecciavano, si accoppiavano e tornavano ad accarezzarsi delicatamente. Dio, come facevo a resistergli?

«Bravi! Oh! È questo quello che voglio vedere. Tutte così. Il contatto, la passione e l'erotismo.» Da dove era uscito Dari? L'erotismo? Ma fino a una settimana prima non rompeva per la mia età?

Mi girai su me stessa, canticchiando una canzone, tanto per fargli vedere che non me lo stavo filando. La sua presenza corrispondeva a una doccia fredda.

«Ah, Ginevra, fuori c'è un tizio che ti cerca.» E, visto che lo guardavo con aria incredula: «Un certo Andrea. Biondo, non altissimo, occhi chiari.»

«Andrea? Enea!»

Io già ci ero arrivata, ma sentire quel nome detto ad alta voce da Flavia mi fece trasalire. Rimasi ferma dov'ero.

«Può darsi. Andrea, Enea. È uguale.» Notando che non mi muovevo, mi sollecitò: «Non vai? Ti sta aspettando».

Sentivo lo sguardo di tutti addosso, ma l'unico che proprio non volevo sentire, era quello di Damien. Avevo i sensi di colpa, ma verso chi? Verso Enea per aver baciato Damien, anche se ci eravamo lasciati da mesi, o verso Damien perché lì fuori c'era Enea, e solo perché ci eravamo baciati una volta? Va bene, due. E poi a lui cosa poteva importare di Enea?

Mi svegliai dal torpore e guardai Marzio quasi chiedendogli il permesso, dopodiché mi diressi verso l'uscita.

«Ginevra, copriti quel succhiotto che non mi sembra il caso di farglielo vedere!» urlò Sabina.

Rimasi per un attimo bloccata per poi ricominciare a camminare.


Brenda Russell, "Piano In The Dark", Get Here. A&M Records, 1988. 


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