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28 marzo 2001

Avvertivo sempre mia madre quando non entravo a scuola. Infatti le mie non erano delle vere e proprie seghe, perché quelle dovevi farle di nascosto. Io invece raccontavo sempre tutto, per una questione di fiducia che dovevo meritare, pensavo fosse corretto così.

Non quel giorno.

Diedi appuntamento a Damien molto presto, a un orario folle, a pensarci bene: 6,40. Il fatto era che avevo paura di incontrare Flavia e quindi anticipai l'orario di dieci minuti, sperando che quella mattina non fosse in anticipo anche lei. Non dovevo giustificarmi con nessuno, però non volevo pensasse che avesse ragione, che stavo uscendo con lui per chissà quale motivo, a quell'ora, quando sarei dovuta andare a scuola. Avrebbe tratto delle conclusioni affrettate senza accettare spiegazioni.

Oltretutto dovetti portare giù i cani per una breve passeggiata mattutina, visto che mio fratello si era svegliato tardi e mio padre era già uscito. Mentre tornavo verso casa, vidi Damien parcheggiare la macchina. Era in anticipo di dieci minuti. Santo Cielo, cosa avevo fatto per meritarmelo? Niente, infatti non me lo meritavo.

Comunque scese dall'auto e ci venne incontro. Meringa, lo puntò subito e borbottando gli andò vicina, di nuovo con aria minacciosa. Roby gli fece le sue svogliate feste, leccandogli le mani.

«Continuo a non piacerle», guardò Meringa accarezzando Roby.

«Meringa non lo toccare che se gli fai un graffio dobbiamo ripagarlo!» scherzai. «Mi dispiace averti fatto fare quest'alzataccia, forse dovevamo organizzarci meglio.»

«Sono fresco come un fiore, nessun problema!» col sorriso smagliante.

«Porto a casa loro e arrivo.»


Parcheggiammo l'auto sul Lungotevere ed entrammo in Piazza del Popolo per poi salire al Pincio, a quell'ora abbastanza deserto. Rimanemmo a osservare Roma muoversi sempre più freneticamente, parlammo piano, quasi ci fossimo appena svegliati insieme. All'arrivo di un gruppo di ragazzi mi propose di andare a fare colazione e non rifiutai l'invito, soprattutto perché immaginavo che ne avesse bisogno.

Il locale elegante lì vicino non era tra quelli che frequentavo, ma a quell'ora c'erano diversi studenti e non mi sentii fuori posto con i miei pantaloni neri attillati, gli anfibi e la camicetta fucsia con diversi bottoni slacciati, ancora nascosta da un leggero piumino. Fummo quasi costretti a sederci fuori, sulla terrazza, per la confusione che c'era all'interno e dovetti lottare con la mia voglia di buttarmi di sotto. Non volevo stare al tavolo con lui, era una situazione che mi disturbava l'anima. Per fortuna dovevamo ordinare qualcosa di facile quindi neanche aprii il menù chiedendo direttamente un caffè macchiato e un cornetto semplice. E lo feci solo perché sia lui che il cameriere avrebbero insistito chiedendo cosa desiderassi mangiare, così li anticipai.

«Niente latte?»

No, non lo bevo più da quando ci siamo baciati, sai mi ricorderebbe del momento più bello della mia vita e vorrei evitare di angosciarmi appena mi alzo.

Scossi la testa sorridendo senza aggiungere altro. Ordinò lo stesso per sé.

Il cameriere tornò dopo qualche minuto, io sbocconcellai il cornetto per dare un senso al fatto che l'avessi ordinato e ne lasciai metà. Prima di andare via mi chiese: «Finisci mai qualcosa che inizi a mangiare?».

«Stai per farmi una ramanzina sui bambini poveri che muoiono in Africa?»

Mi fissò, voleva dirmi qualcosa ma non disse niente.


Camminammo per i lunghi viali, arrivammo al laghetto e insistette per fare un giro sulle barchette. C'eravamo solo noi, il tizio che le affittava era appena arrivato.

Mentre remava piano, con fare disinvolto: «Certo, anche questo sarebbe un bel posto per una proposta di matrimonio».

«Sicuro, così oltre alla ginocchiata, lo farei cadere in acqua affogandolo col remo», con la stessa disinvoltura.

«Sapevo che lo avresti detto!» si mise a ridere.


Scesi dalla barchetta, ricominciammo a passeggiare. Mi tenne tutto il tempo la mano. Adoravo come continuasse a stringerla mentre indicava una statua piuttosto che un cane che attirava la sua attenzione. Era come se fossimo uniti, legati, fusi.

Uno scampanellio ci fece girare e a Damien si illuminarono gli occhi.

«Dove si prendono?»

Venti minuti dopo eravamo sul risciò che stava guidando come un matto. Avevo il terrore di cappottarci e quando lo vidi imboccare una discesa in mezzo al prato cominciai a pregarlo di fermarsi ma, visto che ridevo, non mi prese sul serio.

«Damien ti prego, se torniamo con mezzo graffio Mathias mi ammazza!» gli urlavo chiudendo gli occhi, andando verso la nostra rovinosa fine. Almeno saremmo morti insieme.

Lui continuò, cercando i posti più assurdi dai quali cimentarsi in pericolose discese e mi ritrovai a reggermi direttamente a lui tenendo il viso tra il suo braccio e il sedile di finta pelle. Quando quell'interminabile ora finì, ci andammo a sdraiare su un prato.

Ci togliemmo i giacchetti e li buttammo per terra per poi sdraiarci sopra. Insistette affinché usassi il suo, più grande, ma non accettai.

«Con te non si può fare un gesto di galanteria», mi rimproverò.

«No, infatti», guardai il cielo e le poche nuvole bianche che lo occupavano.

Arrivammo a parlare di religione, del perché fossi atea, di quello in cui credeva lui. Mi piaceva starlo ad ascoltare e adoravo l'attenzione che poneva in quello che dicevo.

Cambiai posizione mille volte, come al mio solito, impedendogli a volte di giocherellare con la mia mano e il mio braccio, come faceva quando eravamo entrambi sdraiati a pancia in su, vicini.

Mi misi su un fianco, lui assunse la mia stessa posizione, i suoi occhi finirono sulla camicetta sbottonata. Immaginai fosse troppo aperta per quella posizione ma se mi fossi sbrigata a coprirmi avrebbe pensato che trovassi inopportuno quello sguardo, invece pensavo che mi guardasse solo perché gli stavo davanti. Poi sollevò gli occhi.

«Scusami.»

Feci spallucce senza tradire emozioni. Quindi pensò bene di tornarci sopra con lo sguardo prima di chiedere: «È uno di quelli regalati dai tuoi amici?».

«Può darsi, non ricordo.» Poi mi misi a pancia in sotto sorridendo. Per un attimo.

Sentii qualcosa camminarmi sul petto e saltai su inorridita. Iniziai a battere i piedi per terra, rigida coi pugni e gli occhi chiusi.

«Toglilo toglilo toglilo toglilo!»

«Cosa?»

«Ti prego, toglilo!»

Era in piedi davanti a me, sentivo la sua presenza ma avevo ancora gli occhi chiusi.

«Mi sta per prendere un attacco di panico! Toglimi quello che ho addosso!» cercai di mantenere la voce ferma.

«Ok, ferma. Non vedo, non so cos'hai, dovrei...»

«Apri la camicia, non mi frega niente! Ce l'ho addosso e sto per sentirmi male!»

Lo sentii aprire piano la camicia, avrei voluto che la strappasse. La mia fobia per gli insetti mi faceva perdere il senno. Cioè, anche la fobia degli insetti.

«Eccolo qui.»

«Toglilo toglilo toglilo!»

«Ok ma metto le mani...»

«Toglilo!»

Mise la mano tra i due seni, più verso il sinistro.

«Tolto!»

«Dio, che schifo!» mi voltai ancora battendo i piedi per terra e con gli occhi chiusi. «Cos'era? No, non lo voglio sapere! Che schifo che schifo che schifo!» Poi mi voltai di nuovo verso lui. «Guarda se ce n'è un altro!» ancora con la camicia completamente aperta.

«Ti giuro che non mi sarei mai aspettato che fosse così facile.»

«Non fare il cretino! Ti prego, mi viene da piangere!»

Mi controllò, io ancora con gli occhi chiusi, sentivo che scansava la camicia per controllare anche dietro.

«Sei a posto. Non hai più niente!»

«Mi sento camminare ovunque», piagnucolai.

«Calmati, era un piccolo insetto molto fortunato. Si è scelto proprio un posto niente male dove nascondersi!»

Sospirai forte, il petto mi batteva all'impazzata.

«Io potrei stare ore se non giorni a guardarlo... ma non è che ci arrestano?»

«Sicuro che non c'è altro?» prima di decidere di coprirmi.

«Per sicurezza dovrei controllare sotto il reggiseno», con un sorriso ammiccante.

«Giuro che te lo farei fare... è che mi fa schifo il pensiero di toccare un insetto con la mano!» Cercai di capire se sentivo strani movimenti sotto il reggiseno, poi valutai le possibilità reali di averne un altro addosso, infine mi chiusi la camicia.

«Andiamo a casa?»

«Sì, mi devo spogliare.»

«Ti prometto che corro.»  

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