2~Moon

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Moon osservò il cielo azzurrino graffiato di nuvole leggere; titani bianchi si trascinavano con immane lentezza lungo la volta celeste, accentuandone la zaffirea bellezza e seducendo la giovane gatta affamata di beltà naturale. Poco lontano alcuni corvi gracchianti volarono via da un arbusto che dondolò sgraziatamente per alcuni secondi.
La gatta si stiracchiò allegramente mentre il sole, sempre splendente, le baciava la schiena affaticata; il felino si lasciò bellamente cadere sulla roccia riscaldata dai caldi raggi, vinta dalla piacevole spossatezza.
I cespugli verdeggianti che decoravano la montagna si piegarono appena sotto la spinta garbata del vento. Il manto castano di Moon imitò docilmente le loro foglie e si genuflesse sotto la fioca ventata. Aprì la bocca rossa, coronata dai candidi denti, per assaporare quel gusto di libertà che la montagna le donava, negato sino ad allora dalla foresta che fino a poco prima aveva diligentemente attraversato.
Una qualche bestiola corse fra i rovi ma la gatta non se ne curò, presa dal suo riposo. Invece, si allungò per osservare la situazione dei suoi polpastrelli rosei e doloranti, non avvezzi alla dura roccia della montagna: sotto tutte e quattro le zampe la pelle era arrossata, la destra anteriore aveva un piccolo taglietto. Moon leccò via il sangue ma non ci diede troppo peso, riportando le zampe a terra.
Respirò a pieni polmoni, mandando nuovamente lo sguardo smeraldino a cozzare col turchese del cielo. Le grandi nuvole scivolavano senza badare al mondo disteso sotto la loro immensa ombra rinfrescante. Moon le ammirò a lungo, quasi con stizza, ritenendole peccatrici di celare lo stupendo manto del cielo. La gatta si riscosse solo dopo alcuni secondi dispersi in quel blu incantato. Sentiva che il tempo cambiava.
Il vento si stava alzando. Bisognava tentare di vivere.
La gatta si alzò nuovamente in piedi e riprese a camminare spedita senza pensarci due volte. La luce del sole, scontratasi contro le acuminate rocce che svettavano come guglie in contrasto con le voluminose nuvole ricolme di eleganti bitorzoli, creava artigli e denti di oscurità che si stendevano fin quasi a ghermirla.
Il silenzio era completo. Solo il fischiare del vento e i sassolini mossi dal piede inesperto di Moon risuonavano fra i massi.
La gatta era stranamente rilassata nonostante in quel territorio sconosciuto, come lei ben sapeva, il suo manto castano fosse ben visibile fra le pietre grigie ed imponenti, colpita da lievi brividi di disagio. C'era un sentore di sicurezza che la accerchiava, ovattandole i sensi in un dolce riposo.
Il profumo della primavera danzava nel vento. Lo ombre si allungavano sino alle zampe stanche di Moon e le accarezzano nonché rinfrescavano.
Il mondo era immobile. Eppure si sentiva la vita scorrere ovunque in quel cimitero di pietroni.
Moon si fermò di scatto e allungò le orecchie, tentando di captare un suono lontano. Un rombo, un rumore profondo che la scuoteva sino alle zampe le giungeva acquietato dalla distanza. La stregoneria che le appannava i sensi si dipanò alla stessa velocità con cui la gatta realizzava che il suono era il preannunciarsi di una valanga.
Moon tese tutti i muscoli, gli occhi spalancati. Rimase immobile, schiacciata dalla paura. Non alzò nemmeno il muso. Fissò un cespuglio proprio davanti a lei con tale energia che si sarebbe potuto temere che quello prendesse fuoco. Osservò col fiato sospeso le bacche rosse e succulente inamidate di luce.
Mentre i suoi occhi percorrevano e ripercorrevano l'intrico di foglie e rami, luci e ombre, le sue orecchie furono trafitte da un altro suono spaventoso. Un urlo.
Acuto. Pieno di terrore. Spacciato.
Idiota.
Il rumore smosse i sassi più grossi che tentennavano ancora sulla cima.
Dapprima il mondo ammutolì. Poi, un sassolino alla volta, il creato si riscosse. Tutto esplose di vita.
Il frastuono eccheggiò tanto forte da instupidire Moon e riempirla di rumore. Le parve come se le rocce le fossero entrate nella carne, la melma al posto del sangue. Il suo muso si fece impassibile mentre la sua mente urlava, strepitava, strillava aiuto, in modo molto più potente ed efficace rispetto al grido di soccorso lanciato ad un cielo impassibile. Una ricerca di supporto da parte di sé stessa era quella di Moon e non all'inaffidabile mondo esterno.
Passò un'eternità. La gatta che cercava di svuotare la propria anima dalla pietra e riempirla nuovamente di sé. Le rocce che crollavano ininterrottamente, appena visibili oltre il cespuglio rigoglioso che difendeva Moon. I massi che causavano un fragore accecate, sfiorati da foglie grandi il doppio di loro e bagnati da rugiada titanica, dalla prospettiva del felino.
Ed infine. Il vento. La pace.
Nessun grido. Nessuna voce. Nessuna caduta.
Moon tossì fuori tutta la sua paura, assieme a varie gocce di sangue. Il manto ricoperto da un spesso strato di polvere che la faceva nuovamente confondere col terreno. Mosse qualche passo tremulo.
Tutto aveva ripreso il suo consueto corso. Gli animaletti erano tornati a scorrazzare fra le radici, i corvi volavano tranquilli.
Moon barcollò in avanti. Incespicò. Si riprese. Cadde, inciampando nell'intrico di radici che si snodavano lungo l'intero passaggio e rimanendo incastrata fra le spine.
Tirò con forza e si strappò un ciuffo di pelo per sfuggire alla presa ferrea dei rovi che accerchiavano il cespuglio che aveva occupato per qualche minuto l'intero mondo di Moon. Lo strattone la scaraventò in avanti, finché non si trovò muso a muso con un mucchietto di terra e sassetti che si disfò col suo arrivo.
Moon ebbe un tuffo al cuore e si immobilizzò, nel panico che le rocce riprendessero a rotolare; ma non accadde assolutamente nulla. La gatta sospirò e si rialzò molto lentamente sulle gambe tremanti.
Davanti a lei si presentò il quadro del disastro: rocce titaniche si schiacciavano l'un l'altra, mentre sassetti minori fluivano fra di esse sospinti dalla sabbia che non aveva ancora fermato il suo movimento.
Alberi sradicati spuntavano come ciuffi d'erba in una steppa.
La gatta sospirò e scosse la testa. Nessuno poteva essere sopravvissuto a quella catastrofe.
Borbottò qualche incitamento a sé stessa. Balzò con agilità sul primo masso davanti a lei e cominciò la sua traversata mentre il sole cominciava appena a chinare il capo.
Un raggio illuminò per un attimo fra i sassi una zampa dorata posta innaturalmente e allungata verso l'esterno, poi un fiumicello di rocce scorse fino a lì, e nemmeno la luce riuscì più ad allietarla mentre in un ultimo spasmo si allungò alla vana ricerca di salvezza.

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