Capitolo 7 - I ricordi di Urian

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Iniziò sul campo di battaglia. Ero con le gambe nel fango, le mani intorpidite dal freddo. Fianco a fianco con i miei soldati.

Truppe alleate si muovevano lungo il fronte occidentale, dirette a Francoforte. Una delegazione francese del Sole, con rinforzi e rifornimenti per re Otis dell'Imperatore. Non per noi. Noi coprivamo il loro passaggio più giù, lungo le rive del Reno. Le orde del Matto che provenivano da sud andavano ostacolate. L'ordine era di resistere il più a lungo possibile.

Era una condanna. Lo sapevamo fin dall'inizio, ma avevamo uno scopo più grande di noi che ci spingeva ad opporci alle forze sovversive che bussavano alle porte del Regno di Berlino. Noi eravamo lì per proteggere il nostro paese. Secondo il codice delle cappe rosse morire per la patria era morire nella gloria. Combattemmo con questa certezza nel cuore e così cademmo, uno dopo l'altro.

Rimanemmo in pochi. Tra quelli più vicini a me riconoscevo ogni volto, Roth, Adler, Viveka. Per te sono solo nomi, ma per me erano persone, avevamo ricordi in comune, una vita intera alle spalle. Li guardavo sapendo che sarebbero morti, ma sapevo anche che sarei morto con loro.

Era la nostra ultima battaglia.

Gridai per rinfrancare i loro animi. Dissi di avanzare e loro così fecero, arrancando sotto la pioggia battente. I soldati con il blasone del Matto ci stavano accerchiando. Stringemmo i ranghi e mi abbattei contro il primo di loro che ebbe la sciagura di pararmisi di fronte.

Non provai a sparargli, la polvere da sparo ormai era zuppa. Lo colpii con il calcio del fucile, gli spaccai il naso, il sangue m'imbrattò le mani. Lo colpii ancora. Tentò di sottrarsi, ma non riuscì a sfuggire al colpo successivo. Sentii le sue ossa spezzarsi. Colpii finché non gli fracassai la faccia.

Quando lui cadde altri soldati presero il suo posto. Mi strattonavano, mi colpivano. Persi il fucile, poi il pugnale, continuai menando pugni e calci. La stanchezza m'irrigidiva i muscoli, ma non osavo arrendermi, non ancora, così ringhiavo ogni volta che venivo ferito. Scacciavo il dolore. Consumavo le mie forze nell'attesa di una brutalità che non sarei più stato in grado di soverchiare.

Finché non mi afferrarono le braccia, ormai macigni. Sentii la lama di un pugnale avvicinarsi alla gola, era un filo ghiacciato contro la pelle. Ero pronto a morire. Era quello il momento.

Ma così non fu.

Sentii il ronzio. So che sai di cosa parlo. È quella vibrazione che ti fa rizzare i peli sul collo quando un mistico fa un incantesimo. Riuscii a sentire quel ronzio distintamente, mi passò ad un palmo dalla faccia. Scagliò lontano il soldato. Il pugnale mi graffiò la pelle. Lo sentii cadere nel fango.

La sponda del Reno, teatro della nostra battaglia, piombò nel silenzio. Tutti alzammo gli occhi.

Tra le schiere dei soldati del Matto c'era un uomo. Indossava una tonaca rossa, priva di blasone. Aveva un volto bianco come la neve. Mi fissava.

Non era uno dei nostri. Lo capii nel momento in cui si mise a ridere. Una risata acuta e sprezzante.

"Ben fatto, soldato! Hai attirato la mia attenzione!"

Cominciò ad avanzare. Ne studiai i lineamenti, non avevo idea di chi fosse. Quando mi fu davanti allargò le braccia.

"Ma guardati! Sei splendido!"

Non capivo, ma non aveva importanza. Cercai di approfittare della distrazione dei soldati, strappai la loro presa, mi liberai un braccio. Menai un pugno al primo che mi capitò a tiro, gli altri mi strattonarono, caddi su un ginocchio e così il colpo mi fu restituito, con violenza. Finii nel fango, con lo zigomo in fiamme. Vidi in quel momento il pugnale. Ma non potevo raggiungerlo.

Mi tirarono di nuovo sulle ginocchia. Sentivo il sapore del sangue tra i denti.

L'uomo in rosso gridò esultante.

"Quanti sono a tenerti fermo? Uno due tre quattro... cinque! Ben cinque di loro e tu ancora scalci come uno stallone."

Si piegò su un ginocchio per portarsi alla mia altezza. Gli sputai in faccia il sangue che avevo tenuto in bocca per lui.

Non si scompose. Prese da una tasca della tonaca un fazzoletto bianco e si pulì il viso.

"Questa te la farò pagare più tardi."

Gli sorrisi. Sentii la saliva e il sangue colarmi sul mento. Mi chiesi se trovasse splendido anche questo.

Lui mi disse: "tu verrai via con me".

"Prigioniero? Mai. Preferisco la morte."

"Oh beh, ma non dipende da te" lanciò un'occhiata agli uomini che mi tenevano fermo, "non credete?". Loro risero.

"Anche io ho i miei soldati."

"Ma certo! Certo", si alzò, guardò i soldati alle mie spalle, uno sparuto gruppo di cappe rosse contro un mistico. "Cosa potrei farmene di voi?".

Avevo una voglia irrefrenabile di spaccargli la faccia.

"Non sottovalutarci, mistico."

L'uomo si voltò a guardarmi. Incrociai i suoi occhi, neri come la pece, dentro ci vidi solo un vuoto enorme; due buchi scavati dentro il suo cranio.

"Non sottovaluterei mai i soldati dell'Imperatore. Siete forti come dieci uomini. Ma tu hai qualcosa di speciale, loro invece, non mi servono."

Fece un cenno ai soldati che cominciarono a trascinarmi via. Strattonai ancora, ma senza più forze. Vidi il resto dei miei venire accerchiati. Sentii il pugnale che attraversò il collo di Blaz da parte a parte. Provai male al braccio quando venne tranciato a Viveka. Loro morivano e io sopravvivevo. Non era così che sarebbe dovuta andare.

Morsi le mani che mi trattenevano. Scalciai. Strattonai le loro braccia. Mi lanciai in avanti. Il pugnale era lì, potevo vederlo, arrancai trascinandomi nel fango, opponendomi alle forze che mi tiravano per le gambe. Riuscii a sfiorare con le dita il manico. Lo strinsi.

Sentii quel ronzio ancora una volta. Il fango si avvolse intorno al mio braccio e si pietrificò. Scavai le mie forze, ma non ne trovai a sufficienza per liberarmi. Il polso era incastrato nella pietra, io ero obbligato in ginocchio nel fango.

Accovacciato davanti a me, ad un palmo dal mio viso c'era l'uomo in tonaca. Era stato lui. Ne ero certo. Adesso sapevo a quale Arcano appartenesse, ma forse non mi sarebbe servito a nulla.

"Cos'hai intenzione di fare con quel pugnale?" mi chiese.

"Cosa vuoi da me?".

"Sono curioso di sapere come pensavi di fuggire all'onta della prigionia. Volevi suicidarti, oppure volevi continuare ad uccidere finché qualcuno non avesse ucciso te?".

"E se uccidessi te? La testa di un mistico dell'Alchimista farebbe scalpore a Berlino."

Lo vidi irrigidirsi. Avevo indovinato. Sollevò un angolo delle labbra, "vorrei vederti provare".

"E allora liberami. Facciamo uno scontro alla pari. Ti va?"

"Forse. Un giorno."

"Senza misticismo non vali niente, non è vero?", mi misi a ridere, ma fui scosso dai colpi di tosse. Mi squassarono il torace, sputai bile e sangue. Sentivo i polmoni in fiamme. Non riuscivo a respirare. Mi chiesi se il mistico stesse avvelenando l'aria con i suoi malefici da alchimista.

Tenni gli occhi piantati nei suoi finché potei, poi la vista cominciò a galleggiare. Persi la presa sul pugnale. Mi accasciai.

L'uomo in tonaca si avvicinò ancora di più. Sentivo il suo fiato sull'orecchio. Era caldo e umido. Un crampo mi rivoltò lo stomaco. Avrei fatto di tutto per tenerlo il più possibile lontano da me.

"Vedo che sei poco collaborativo e la cosa non mi piace. Quindi, risparmierò alcuni dei tuoi soldati. Ci divertiremo tutti quanti insieme."

Tentai di aggrapparmi ai confini annebbiati alla realtà, ma poi sprofondai in un torpore profondo, chiusi gli occhi.

Quando li riaprii vidi solo buio.

***

Urian dell'Imperatore. Tra le tante capacità che questo Arcano infonde nei suoi accoliti c'è una forza straordinaria e un enorme dominio di sé, Urian in particolare, un comandante dell'Esercito Regio di Berlino, ha ricevuto il carisma pragmatico dei grandi leader, ma soprattutto una forza interiore immensa.

È in grado di percepire un particolare ronzio che anticipa un incantesimo, soprattutto se è molto potente. Una qualità degli accoliti dell'Imperatore, che li rende capaci di reagire in fretta davanti ad un mistico.

Tutto questo sarà stato sufficiente?

Tranquilli, la Morte arriva. Arriva per tutti.


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