Capitolo 12

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«Cosa vuol dire questo?» chiese Drew sporgendo il naso in modo  quasi impercettibile.

«È una storia lunga. A che ora stacchi? Vorrei venissi da me, è più semplice mostrartelo che spiegartelo» rispose Michael di petto.

Annuì semplicemente, riconsegnando a Michael la lettera, il quale la prese con mano leggermente tremante, per poi rimettersela in tasca.

Si sedette sulla scrivania mentre guardava Drew analizzare i campioni al microscopio. Non riusciva ancora a capire perché si stesse fidando di lei, che era praticamente una sconosciuta.

«Forse ci fidiamo degli sconosciuti perché, paradossalmente, la distanza emotiva offre una certa neutralità.

Con le persone a noi vicine, abbiamo il timore di non essere ascoltati, compresi o di essere giudicati a causa affetti o conflitti. Gli sconosciuti, invece, non hanno legami diretti con noi e, proprio per questo, possono apparire come osservatori imparziali, disinteressati.

Inoltre, spesso proiettiamo su di loro un'immagine idealizzata, una sensazione positiva che proviamo a primo impatto, a pelle.

La fiducia diventa così una sorta di scommessa su ciò che è ancora ignoto, ma che ci appare potenzialmente più equo e questo ci permette di lasciarci andare» pensò.

«Drew, stamattina ti ho mentito. Cioè non ti ho proprio mentito..ti ho detto una mezza bugia, oppure una mezza verità» Drew in quel momento alzò lo sguardo e si tirò via ancora una volta gli occhiali.

«Cosa intendi?».

Michael si sedette di fronte a lei, con le mani che gli tremavano leggermente.

«Non so come sia successo... È stato tutto così veloce» iniziò, con la voce rotta.

«Ero in macchina, stavo tornando a casa. Era buio, ma la strada era deserta. Poi all'improvviso l'ho visto...quel bambino. Te lo giuro, è sbucato dal nulla rincorrendo un pallone» fece una pausa, cercando di trovare le parole.

«Non ho avuto il tempo di reagire. Ho frenato, ma era troppo tardi. L'ho colpito, Drew. È solo un bambino..».

Gli occhi di Michael si riempirono di lacrime «Lui adesso è in coma. Non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di lui disteso sull'asfalto...così piccolo, così fragile. È colpa mia?».

La domanda rimase sospesa nell'aria, mentre Drew cercava le parole giuste in mezzo a quel triste silenzio.

Non disse nulla, perché non c'erano parole giuste da dire e forse, nemmeno ne esistevano.

Si limitò ad avvicinarsi lentamente, senza esitare, e lo abbracciò.

Michael cedette, lasciando che il peso della colpa lo travolgesse.

Si aggrappò a lei e scoppiò in un pianto disperato.

«Sono una persona orribile. Avrei dovuto accorgermene prima» singhiozzò, la voce spezzata dal rimorso.

Drew gli accarezzava i capelli, stringendolo ancora più forte.

«Non è stata colpa tua. Sarebbe potuto accadere a chiunque. Andrà tutto bene, vedrai».

Nonostante il tono tradisse incertezza, quelle parole erano esattamente ciò di cui Michael aveva bisogno. Non era stata colpa sua. Non poteva essere stata colpa sua. E forse, in qualche modo, poteva ancora credere di non essere diventato un mostro.

*****

«Che cosa..Che cos'è questa stanza?» chiese Drew appena scese nella stanza nascosta.

«Non lo so ancora, è ciò che devo scoprire. Questo è il motivo per il quale devo introdurmi al Greenside Asylum».

Drew era shoccata, passò con lo sguardo ogni centimetro della stanza, i suoi occhi scrutarono attentamente ogni fascicolo, ogni lettera, come se volesse attraversarle con la mente.

Prese in mano una lettera da uno dei fascicoli, uno a caso. La lettera era molto breve, ma ci mise qualche minuto a leggerla.

"Oggi sono stato rinchiuso in isolamento. Per fortuna ci sono rimasto solamente poche ore. S'impazzisce lì dentro. Il bianco acceso delle parti, imbottite ed illuminate dall'intensa luce artificiale ti fa scoppiare il cervello.

È stata tutta colpa di Tony.

Durante la colazione è impazzito perché ho preso l'ultimo toast al formaggio. Mi ha mollato un cazzotto in faccia ed io, come uno stupido, ho reagito a mia volta.

Solamente quando Tony ha preso un coltello dal tavolo accanto, sono arrivati gli inservienti. Grazie a Dio, oserei dire.

Ci hanno sbattuti in isolamento per quattro ore, o forse Tony è ancora lì.

Devo mettermi in testa che qui dentro devo essere pazzo, ce la devo fare, lo devo anche alla mia famiglia".

Drew posò la lettera sul tavolo e guardò intensamente Michael.

«Non so cosa speri di trovare o cosa speri di ottenere. Sarà un luogo disabitato e dimenticato dal mondo intero» fece una breve pausa «Tuo padre non sarà di certo lì dentro. Non sappiamo nemmeno cosa debbiamo cercare, per Dio».

Michael le allungò sul tavolo il foglio scritto a macchina, riportante la data di ottobre «Penso sia vivo. Penso sia stato qui due mesi fa. Non ne ho al certezza, ma chi potrebbe mai essere altrimenti? Devo capire perché non è più tornato da noi, cosa è successo e perché continua, dopo anni, ad interessarsi a quel posto» disse tutto d'un fiato.

«Inoltre ora c'è quel cadavere, non può essere una coincidenza! Ho temuto fosse mio padre, lo capisci?!».

Drew sospirò, poi, con una rassegnata determinazione, rispose «Va bene. È una follia, ma va bene. Andiamo».

Michael, sorpreso dalla sua risposta, annuì lentamente e, con un gesto delicato, posò la mano sulla sua «Grazie».

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