Trentadue.

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#elisapreparaifazzoletti anzi.... #preparatelitutti.

E' UNO DEI CAPITOLI PIU' IMPORTANTI, PER LA COMPRENSIONE DELLA STORIA. 

TENDETE LE ORECCHIE, AMICI! <3

«Brutti pensieri?» -chiedo, accigliata. Mi sto insospettendo sempre di più. «Che genere di brutti pensieri?» - sbotto.

Fa un lungo sospiro. «Non dovrei dirti nulla.» -tira nuovamente su col naso. «Ma a me non interessa. Tu devi saperlo. E' un tuo diritto; ormai, hai quasi diciannove anni.»

Rabbrividisco. Devo sapere, dannazione. Brucerò dalla curiosità, se non me lo dice all'istante.

Si prende la testa fra le mani. Santo cielo, è disperata.

Aggrotto le sopracciglia. «Che cosa devi dirmi, Lorena?» -chiedo, con voce decisa.

Il battito del mio cuore ha ricominciato ad accelerare; finirà per schiantarsi contro un muro ed esplodere.

Mi metto seduta a gambe incrociate, guardandola, e attendendo una sua risposta.

Contro ogni mia aspettativa, si alza in piedi. Col petto ancora scosso dai singhiozzi, si avvicina alla sua scrivania. Trascina la sedia sotto la piccola finestrella in alto, proprio di fronte i letti.

«Vuoi una mano?» -chiedo, anche se non so in cosa debba aiutarla.

Scuote la testa. «Tranquilla, piccola. Ce la faccio da sola.» -mi rassicura. Con un movimento brusco si alza la veste grigia, permettendo così alle sue esili ma forti gambe di salire e stabilizzarsi sulla sedia.

Sbatto le palpebre. Che cosa sta facendo, di preciso?

Prende una chiave sottile e argentata dal retro del crocifisso. Mentre il povero Cristo ciondola a destra e a sinistra, scosta il quadro della Madonna e me lo passa.

Mi alzo repentinamente e lo afferro; con le mani libere, apre una piccola porticina di metallo nero e lucido.

Ne estrae una grande cartellina gialla, una di quelle che si usano a scuola, con l'elastico al lato che funge da cerbottana.

Mi passa anche quella, ed io la poggio con estrema delicatezza sulla scrivania. Cosa c'è qui dentro?

Chiude il tutto e rimette in ordine, per poi scendere dalla sedia. «Vieni.»- dice, prendendo la cartellina e sedendosi ai piedi del letto.

Seguo i suoi gesti, imitandoli; ma continuo a non capirci assolutamente nulla.

Fa un gran respiro. «Allora, Alisya. Quello che stai per vedere, non dovrà condizionarti in alcun modo. Sono stata chiara?» -comincia, tornando alla sua voce ferma e decisa.

Mi mordo l'interno della guancia. «Okay.» - rispondo, incerta. Mi scruta con i suoi occhi scuri, ed è estremamente intimidatoria quando fa così.

Sospira. «Ascoltami bene.» -dice. «Tu non hai mai chiesto come sei arrivata qui. Dico bene?».

Il mio cuore perde un battito; io e suor Lorena non abbiamo mai avuto una conversazione simile. Io non ho mai voluto parlarne. Che cosa sta per dire?

«Si.» - ribatto, tranquilla. «Non te l'ho mai chiesto, e non ho intenzione di farlo.» - rispondo, con sincerità.

Annuisce. «Ecco, si. Io ho un peso che devo togliere: è un grosso macigno che preme sul cuore.» -percuote il petto con una mano. «Per favore, lascia che io ti dica quello che so. A te può anche non interessare, non incidere più di tanto, okay? Ma è bene che tu sappia, indipendentemente se ti interessi o meno.».

Mi guarda per qualche secondo, come se temesse la mia reazione, ma io comincio a tranquillizzarmi del tutto.

«Lorena, posso assicurarti che a me non interessa nulla, e che non cambierà niente.» -ribatto. «Vai, dimmi.» -la sprono a parlare, convinta che ciò che dirà non mi turberà in alcun modo.

Continua a torturarsi il lobo. Povero orecchio.

«Te la ricordi quella?» - comincia, indicando con un dito la piccola cesta di vimini.

E' poggiata sulla solita mensola, e dentro ci sono i soliti fiori blu.

Annuisco. «Certo. E' lì da quan-».

«Da quando sei nata.» - continua, interrompendomi.

E cosa significa? Non rispondo, guardandola accigliata.

«Qualcuno ti ha poggiata lì dentro, e ha appeso la cesta ad una delle ringhiere qui fuori. Sei nata la notte di San Lorenzo, Alisya.» -aggiunge, sorridendo.

«Ti ho trovata qui la mattina del dieci agosto; fortunatamente era ancora l'alba, e non c'era un caldo asfissiante.» -sorride, come se stesse rivivendo qualcosa col pensiero. Qualcosa che riguarda me, che purtroppo non mi è concesso ricordare.

Quindi: qualcuno mi ha poggiata in un cestino, e mi ha abbandonata qui fuori. Che carini.

Riguardo la cesta. Apprezzo il fatto che lei abbia sempre curato quei fiori. Il mio silenzio la spinge a continuare. «C'era solo questa.»-mormora, mentre apre la cartellina gialla, e ne estrae una busta bianca.

Deglutisco. Oh Dio, cos'è? Me la passa; la apro subito, con curiosità.

All'interno c'è un biglietto, leggermente stropicciato. Con una penna blu c'è scritto:

'Se non sporgerete denuncia, la bambina continuerà a vivere. Ciao, piccolo fiore.'

Schiudo le labbra, fissando il biglietto. Addirittura, una minaccia di morte. Suppongo che suor Lorena non abbia denunciato, quindi. E poi, piccolo fiore!?

Un po' come Edipo: abbandonato dal padre per un oracolo funesto, e ritrovato dal pastore Forba. Lorena è stata il mio Forba.

«Inquietante.»-dico, sorridendo nervosamente. «E tu non hai denunciato, quindi?» -chiedo.

Agita le mani.«Ovvio che no, Alisya!» -sbotta. «Andai a controllare se ci fossero state denunce di smarrimento, o notizie di bambini rubati.»-risponde.

Aggrotto le sopracciglia. So cosa sta per dire. «E...?» -chiedo.

Riprende tra le mani il biglietto, e lo posa nella cartellina. «E non c'erano, Alisya. Nessuno aveva denunciato.» -dice, scrollando le spalle. «Sai cosa significa?».

Faccio un lungo respiro. L'idea che mi ero fatta, riguardo il mio arrivo qui, allora è vera. 

«Che sono stati i miei stessi genitori a lasciarmi qui.» - deduco. «E sai che ti dico, Lorena?» - aggiungo, sorridendo.

Mi guarda, arricciando le labbra. Mi siedo sul suo letto e la stringo fra le mie braccia.«Che non potevano farmi regalo migliore.».

Avverto il suo sorriso. «Ah, bambina mia, grazie per avermi concesso di togliere questo peso.» -dice, accarezzando la mia schiena.

Fa un altro sospiro. «Ma c'è un'altra cosa che devi sapere.» -mormora. Ancora?

Estrae dalla cartellina delle buste bianche. Aggrotto le sopracciglia. Ma quante sono? «Vedi queste?» -chiede.

Annuisco. Si, le vedo, ma che diamine sono?

«Qualcuno,» -comincia. «lasciava ogni tanto, nella cassetta delle offerte, una busta con delle banconote. A noi non servivano quei soldi, perché le missionarie che venivano qui a fare sosta o, comunque, le persone che ti conoscevano, ogni tanto lasciavano qualcosa come cibo, monetine e vestiti. Non dimentichiamo che il comune, per te, aveva contributi e agevolazioni."

Ah. La mia mente ha ormai intrapreso un lungo viaggio con Alitalia. Non sapevo di avere tutte queste attenzioni, e sapere che ci sono delle persone a dare soldi per me, mi fa sentire leggermente in colpa.

«E ogni quanto arrivava questa busta?» - chiedo, curiosa.

Agita una mano:«Mah, non sempre, diciamo una volta ogni tre o quattro mesi.» -risponde.

Atterro di botto, quando arrivo all'apice del problema.

«E fammi immaginare...» -comincio. «Tutte queste buste sono uguali alla prima.» -mormoro, ed è più un'affermazione, che una domanda.

Fa un lungo sospiro, come se dovesse dire qualcosa di grave. «Esatto. Inoltre, in ogni busta, c'è sempre un petalo di quel fiore blu.» - indica in alto la cesta. «Credo sia per farsi riconoscere.»- aggiunge, scrollando le spalle.

E' una situazione davvero strana. Guardo la cesta, curiosa. «Chissà come mai un fiore blu.».

Resta in silenzio, facendo intendere che non lo sa neanche lei; dopotutto, non importa.

«E' per questo, che ti abbiamo chiamata 'Alisya'.» -mormora, accarezzandomi il viso. Il mio cuore fa una capriola, e un brivido di emozione mi attraversa la spina dorsale. «Come un fiordaliso, simbolo di felicità e leggerezza: ciò che hai portato in questa casa, da quando ti abbiamo trovata.» -dice, con le lacrime agli occhi.

Non posso fare a meno di sorridere; sono parole davvero affettuose e gentili, che non guastano mai. «Ed io che credevo di essere rumena!» -dico, cercando di sdrammatizzare. «Comunque, non capisco perché tu sia così preoccupata.».

«Questa è un'altra storia.» -risponde. «Quando tu hai cominciato il terzo anno di liceo, d'un tratto, queste lettere non sono più arrivate. Per tre lunghi anni non c'è stata più una sola busta.» -spiega, alzando l'indice.

Resto in silenzio. Non riesco a comprendere più nulla, di questa storia.

«Tranne quando, circa venti giorni fa, ne è arrivata un'altra.».

Ah. Sbatto le palpebre, stordita. «Dopo tre anni, queste persone sono tornate a portare le buste.» -mormoro, facendo un resoconto a me stessa.

Ma non ha senso. Nulla ha senso.

Scrollo le spalle. «Non capisco perché tu me lo stia dicendo solo adesso.» -continuo. «Ma, sinceramente, non importa. Nessuno mi farà del male, Lorena.» -dico, cercando di rassicurarla.

Ho capito perché è così preoccupata, allora. Crede che queste persone possano farmi del male. Ma perché dovrebbero? Se conservano dei soldi per me, non ha senso temerli.

Alza le spalle, insicura.

«Lorena, in quasi diciannove anni avrebbero potuto farmi del male ovunque: a danza, al liceo, quando uscivo di nascosto con Perla.» - ridacchio, alla sua espressione contrariata. «Pensa che è quasi un anno che vivo da sola.».

«Vivevi.» -mi corregge subito, come se la cosa la facesse star meglio.

«Esatto, vedi? Io adesso vivo con Perla, e ho anche altri amici.»-spiego. «E' raro che esca da sola, specialmente di sera. Non preoccuparti.»-dico, cercando di calmarla.

Tira un gran sospiro di sollievo; mi fa piacere che lei si sia tolta questo peso. Lorena ripone tutto con delicatezza, nella cartellina, restando in silenzio.

«Perché dovrebbero farmi del male, delle persone che si sono preoccupate per me così tanto da lasciarmi addirittura dei soldi? Avrebbero potuto uccidermi quando ero piccola.»-mormoro, dando voce ai miei pensieri.

Sospira.«Beh, in effetti... Hai ragione.» - ammette. «Comunque, questi sono tuoi. Fanne buon uso.»

Mi passa una busta giallognola e pesante. «Oh mio dio.» - esclamo. «Quanti sono?»- chiedo, curiosa.

«Alisya, contateli da sola, che domande mi fai!» - sbotta, agitando una mano.

Ridacchio. «Mi accompagni a casa? Non posso di certo andare in giro con una busta piena di bigliettoni.».

Dovrò chiedere a Perla dove sia collocata la cassaforte in questa casa. Per ora, mi limito a nasconderli in un borsellino, tra i vestiti.

Sono le otto di sera e ho da poco finito di fare la doccia. Inutile dire che, appena sono uscita dal bagno, mi sono catapultata sul divano: è stata una giornata a dir poco stancante. 

Il voto della maturità, la sorpresa delle suore e poi ho finalmente scoperto il perché del mio strano nome.

E sono diventata più ricca di un bel po' di euro.

E i miei -eventuali- genitori sono tornati a mandarmi soldi, dopo tre anni.

Scuoto la testa. Non voglio pensarci. 

Il noto fischio di Whatsapp, segnala che è arrivato un messaggio. Il mittente è Michelangelo; sospiro: oggi non abbiamo parlato molto.

"Dove sei? A casa, vero?".

Dove dovrei essere? Digito velocemente la risposta:

"A Terabithia. Tu?".

"Fuori la porta di casa tua. Quindi devo andarmene?".

Trattengo il fiato. Cosa?! Oh santo cielo, non sono per niente presentabile.

Correre in bagno a prepararmi, starebbe a significare che voglio farmi bella per lui; e farmi bella per lui, significherebbe dargli troppa importanza.

E quindi no.

Sciolgo rapidamente la coda e passo una mano fra i capelli lisci. Li posiziono su una spalla, cercando miseramente di apparire 'sexy'. Mi alzo dal divano, e apro la porta.

Ah, allora non mi prendeva in giro. Michelangelo è qui, sulla soglia di casa nostra.

«Buonasera.» -dice, sorridendo. E' splendido come al solito, dannazione. A volte mi chiedo come faccia a volere un Diglett come me. Indossa una maglia scura e dei pantaloni di jeans chiaro. La t-shirt nera è a mezze maniche, e lascia intravedere i bicipiti. Ma che dico, solo i bicipiti?

Michelangelo è un muscolo vivente. 

Noto che ha delle buste bianche tra le mani. Oh Dio, cosa diamine ha portato?

«Hai finito di studiarmi, bambolina?» -la sua voce mi butta giù dalle Nuvole Dei Pensieri; mi fissa, con un sorrisetto compiaciuto.

Mi mordo un labbro, imbarazzata. Ops. «Stavo pensando a quanto sei brutto.» -ribatto.

«O a quanto sono affascinante.» -risponde, con l'aria sicura di chi è... dannatamente affascinante.

«Mi fai entrare, o mi tieni qui fuori perché, da un momento all'altro, mi sbatterai la porta in faccia?» -chiede, appoggiandosi all'anta.

Ridacchio:«No, no, entra pure.» -mormoro, scostandomi per farlo passare.

Lascio che entri in casa: fortunatamente Perla ha messo un po' d'ordine in giro. E' andata a trovare i suoi zii a Riccione, quindi sarei rimasta a casa da sola.

Chiudo la porta alle mie spalle. «Mi sei mancata, bambolina.» -mormora, per poi stamparmi un bacio sulle labbra.

E' solo un bacio a stampo, ma ha fatto arrivare la mia Barra Dell'Umore al 99%. «Anche tu.» -sussurro, imbarazzata. «Sono felice che tu sia qui.».

«Ali-chan, un uccellino mi ha detto che a te piace il cibo giapponese.» -dice, avvicinandosi al tavolo e poggiando, con delicatezza, le buste strapiene su di esso.

Un uccellino di nome Perla Frisoni?

Arriccio le labbra. Giapponese, per la seconda sera di seguito. Il mio umore è alle stelle. Potrebbe andare meglio di così?

«Quell'uccellino ha sbagliato! A me non piace il cibo giapponese. Io lo adoro!» -esclamo, scandendo bene l'ultima parola.

Sorride. «Menomale, allora. Vado a lavare le mani, tu apparecchia, donna! Sto morendo di fame!».

Evito di rispondergli male per l'"apparecchia, donna.". Si allontana e va al bagno, mentre io poggio le buste sul marmo scuro della cucina.

Stendo per bene la tovaglia, mentre ancheggio stile 'zumba' e canticchio mentalmente 'Lui- è-qui, lui-è-qui'.

Lui-è-qui, lui-è-qui, ancheggio.

«Ti vedo molto allegra.».

Mi fermo di scatto, come se qualcuno avesse urlato 'stop-freeze'. Guardo Michelangelo, con la bocca schiusa. Diamine, sembro una teenager sfigata dei cartoni giapponesi.

«Continua pure, Alisya. Sei caliente.» - dice malizioso, prendendo una delle buste, e appoggiando il contenuto sul tavolo.

Sbarro gli occhi. «Oh Dio, quanta roba hai preso?!» -urlo. C'è una quantità industriale di cibo, sparsa sulla tovaglia.

Mi sento decisamente in colpa. Ha comprato tantissimo cibo.

Si passa una mano dietro la testa:«Non sapevo cosa ti piacesse di più...» -dice, quasi imbarazzato. Guardo verso il basso. Sono io, ad essere imbarazzata. Dio, ha comprato davvero troppe cose.

All'improvviso, mi prende il mento con pollice ed indice, costringendomi a guardarlo.

Sollevo lo sguardo, incrociando i suoi occhi. Mi guarda sorridendo, ed io avverto il suo respiro sulla pelle. Posso catalogare il colore dei suoi occhi, da così vicino. Dio, sto davvero cercando di capire di che colore siano i suoi occhi? Sono indecisa tra l'azzurro fiordaliso e il turchese pallido. In ogni caso, sembrano fatti di ghiaccio.

Scuoto la testa, come se volessi risvegliarmi da un sonno profondo. «Grazie.»- mormoro, lasciandogli un bacio casto sulle labbra.

«Sediamoci, dai.» - mi invita.

Sul tavolo c'è di tutto: dalle polpette di pollo ai ravioli, dai dango ai sashimi, spiedini di pollo, onigiri, sushi e polpette di polpo. «Credo proprio che non finiremo tutto.» -mormoro, ancora sconvolta.

Devo fare una foto, probabilmente è l'ultima volta che vedrò tanto cibo nella mia vita. «Fermo!» -gli intimo, mentre è in procinto di prendere uno spiedino. «Devo fare una foto!».

Sbuffa, divertito; lascia che io scatti. «Ora?».

Lancio il telefono sul divano. «Let's go!» -dico, felice.

«Allora, che cosa hai fatto di bello oggi? Sei andata a vedere i voti?» -chiede, addentando finalmente il suo spiedino.

Annuisco. «Si.» -rispondo, dopo aver ingerito una polpetta.

«E allora?!» -chiede impaziente, poggiando la mano sul mio braccio.

Provo un leggero imbarazzo. Tutta la sfrontatezza con cui ho parlato stamattina alle mie 'adorate compagne di classe', è svanita.

Faccio un lungo sospiro -ed un lungo sorso d'acqua- , per poi rispondere:«Ho preso il massimo dei voti.».

Dovresti essere felice, Alisya, mi rimbecca Sybil. Perché ti senti in colpa?

La sua espressione si allarga in un sorriso sincero:«Hai preso cento! Ci scommettevo!» -esclama. «Congratulazioni, babydoll.»

Comincio ad arrossire, lo sento. Perderò le guance. «Ho preso anche la lode.» -mormoro, facendomi piccola.

«No, ma davvero?!» -sbotta, sinceramente felice. Lo apprezzo, nelle sue parole non c'è un minimo di invidia. «Allora dobbiamo festeggiare!» -esclama.

Scuoto la testa «No, no, ma che festeggiare.» - nego, subito. Non se ne parla.

«Facciamo così: dopo cena ti va di andare a bere qualcosa?» -chiede, sorridendo.

Nego col capo. «No, ti prego. Sono in imbarazzo.» -mormoro. «Sai in che modo potremmo festeggiare?» -dico, mentre un'idea piomba nella mia testa.

Aggrotta la fronte. «E' quello che penso io?» -dice, malizioso.

Magari.

Alzo gli occhi al cielo. «Sei un idiota.» -rispondo. «Resta qui stanotte, facciamo stupidate, e poi ci addormentiamo insieme. Ci stai?».

Annuisce. «E' un'idea decisamente migliore.»- ammette. «Ovvio che ci sto!».

«Sono satolla.» -dico, massaggiandomi il pancione. «Guarda qua, sembro incinta! Potrei fare invidia a Jessica!» - ridacchio.

C'è un onigiri che sale e scende nel mio esofago, come una pallina da tennis; così, bevo un lungo sorso d'acqua.

«Anche io sono completamente sazio. Peccato, avevo preso anche il dessert.» -dice, sconfitto. «E' nel frigo.».

Sbatto le palpebre. Ma quanto cibo ha comprato? «Davvero?» -chiedo, sorpresa. «E quando ce l'hai messo?».

«Mentre muovevi il tuo bel culetto e apparecchiavi.» -ridacchia. «E' il Matcha ice cream. Fa nulla, lo mangeremo domani a colazione.» -aggiunge, scrollando le spalle.

Non ci credo. Ha anche comprato il gelato al the verde! «Con questa cena, hai guadagnato una settimana di uscite pagate dalla sottoscritta.» - affermo, decisa. Specialmente adesso che sono più ricca, ma questo forse è meglio tenerlo per me.

«Si, certo. Te lo scordi.» -ribatte, facendo un gesto secco con la mano. «Ci stendiamo sul letto? Finirò per rotolare come una polpetta.».

Scoppio a ridere. «Okay, vai. Io ti raggiungo.» -dico, alzandomi per andare verso il bagno. Devo assolutamente lavare i denti.

«Non imbrogliare.» -urla, dal salone.

Imbrogliare? Ma che dice? 

«Ah?» -chiedo, tornando da lui.

«O li fai lavare anche a me, o non te li lavi.» -afferma con aria di sfida, incrociando le braccia.

Mi mordo il labbro nervosamente, poi scoppio a ridere. «Va bene, ma non userai il mio spazzolino.» - ribatto.

Dopo circa dieci minuti abbiamo denti puliti, alito fresco, leggera brezza marina ad avvolgerci ed un letto.

Che pace...

«Allora, perché dovresti fare invidia a Jessica?» - chiede, confuso.

«Perché è incinta. Non te l'ho detto?» - rispondo, aggrottando le sopracciglia.

Scuote la testa. «Ah... quando scoprimmo che Maddalena fosse incinta, in casa si scatenò l'inferno.» - dice, pensieroso. «Mio padre voleva quasi ammazzare Marco.»

Mi volto a guardarlo.«Prima o poi gli passerà... Spero.» - rispondo.

Wow, Alisya, sei davvero d'aiuto!

Scrolla le spalle. «Dopotutto, non è nel torto. Però, il mio nipotino è così dolce, come fai a chiamarlo errore...»- dice, intenerendosi.

Sbarro gli occhi.«Lo considera davvero un errore?» -chiedo, con una nota di nervosismo nel tono.

«No, no, non dice così. Anzi, adora Lorenzo. Credo stia aspettando che mia sorella trovi un lavoro fisso e che -finalmente- possano sposarsi.» -dice.

Sospiro. Non so che dire, non posso capire la sua situazione.

All'improvviso, si mette cavalcioni su di me e solleva leggermente la canotta blu del mio pigiama. Cosa sta succedendo? Schiudo le labbra, mentre i brividi mi attraversano, veloci.

«Mi fai sentire se scalcia?» - ridacchia, appoggiando l'orecchio sulla mia pancia. «Oh. Non si sente nulla. Vediamo se così dà qualche calcio.» -dice, e comincia a farmi il solletico.

Faccio uno scatto e rido, rido, a crepapelle. «No, il solletico no, no!» -urlo, muovendomi freneticamente.

Continua a torturarmi; dopo qualche minuto -finalmente- la smette e, ridendo, mi lascia un bacio sulla guancia, per poi sedersi a gambe incrociate. «Allora, che cosa vogliamo fare?» -chiede, carico.

Mi guardo intorno, cercando l'ispirazione per qualche cavolata da fare. Vediamo un po', avevamo deciso di fare qualcosa riguardante la scuola...

I miei adorati libri mi danno un'ispirazione fantastica.

«Leggiamo recitando!» -affermo, entusiasta. Michelangelo mi guarda confuso e divertito allo stesso tempo. Mi alzo dal letto e vado verso la scrivania.

Scavo tra i vari libri e scelgo La locandiera.

Torno verso lui e glielo mostro.«Ecco qui.» -mormoro.

«Goldoni, eh?» -chiede, osservando la copertina illustrata.

«Si, si.» - rispondo. Ah, i miei adorati libri.

Guarda verso la scrivania. «Ma quanti libri hai?» -chiede sorpreso. «Santo cielo, potresti fare invidia a mia madre!» -sbotta.

Sbatto le palpebre. «Tua madre?» - chiedo, confusa.

«E' la prof Mara Fabbri, del Giulio Cesare. Dubito tu la conosca...» -dice, scrollando le spalle.

Trattengo il fiato, e spalanco gli occhi.«La... la professoressa Fabbri è... TUA MADRE? Sul serio, Michelangelo!?» -sbotto. Non ci credo, era la mia professoressa!

Colpito dalla mia reazione, risponde subito:«Si, si, ma è al liceo classico.» -risponde. «La conosci?».

Annuisco. Non ci posso credere, conosco da tempo tutta la sua famiglia

Tranne lui.

«Io ho fatto il primo anno lì, Mihangel.» -sorrido. «Facevo il liceo classico, poi ho cambiato e sono andata all'artistico. Tutti quei libri li ho perché la letteratura l'ho sempre amata. Ma la mia strada, era un'altra.».

Schiude le labbra, guardandomi sconvolto. «Oh mio Dio...» - mormora sconfitto, prendendosi la testa fra le mani. «Spero che mia madre non si ricordi di te. E' imbarazzante.».

Scoppio a ridere. «Non credo proprio mi abbia dimenticata.» -ridacchio, scuotendo la testa. «Io e Perla eravamo davvero terribili a scuola; però, ero una delle sue alunne migliori.».

Sbuffa.«Che palle, sono fidanzato con una secchiona...» -dice, prendendomi in giro.

Mi mordo il labbro; la mia attenzione si è concentrata su una sola parola. Fidanzato. Io sono la sua fidanzata? Non mi ero mai vista così. Cioè, ci stiamo frequentando, ma non siamo ancora fidanzati.

O forse si?

Dio, finirò per impazzire.

Deglutisco. Devo assolutamente cambiare discorso. «Non ci posso credere che tu sia il figlio della mia cara prof...» - balbetto. «Comunque, adesso cerco una delle parti che preferisco.» -aggiungo, sfogliando il libro.

Dopo un'attenta ricerca, finalmente la trovo. Atto primo, scena VIII.

«Tu fai il marchese, io faccio Mirandolina. Comincia tu, da qui.» -mormoro, indicando col dito il verso da cui deve cominciare.

Questa stramba situazione mi diverte alquanto.

Si schiarisce la voce, ironico, e comincia:«Qualche volta, mi auguro di essere nello stato del Conte.».

«Per ragione, forse, de' suoi denari?» - leggo. I nostri volti sono estremamente vicini, avverto il suo respiro sulla mia spalla.

«Eh! Che denari! Non li stimo un fico.» -questa parola, detta da lui, mi fa ridacchiare- «Se fossi un conte ridicolo come lui...» - recita, per poi cingermi la vita con un braccio.

«Che cosa farebbe?» - chiedo, innocente. Dio, ce la farò a reggere, sentendo Michelangelo dire questa cosa?

«Cospetto del diavolo... vi sposerei.» -mormora; mi lascia un bacio sui capelli.

Queste parole, dette da lui, provocano in me una sensazione piacevole. Mi chiedo distrattamente se un giorno io e Michelangelo ci sposeremo.

Fai sul serio, Alisya?, mormora Sybil, seccato. Patetica.

Scuoto la testa, andando avanti. Scena IX. Mirandolina sola.

Un brivido mi attraversa la schiena: è la mia parte preferita.

«Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor marchese Arsura»- lo indico, divertita- «mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l'arrosto e del fumo non so che farne. [...] Tutto il mio piacere consiste nel vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente e godo la mia libertà. [...] e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.».

Mi schiarisco la voce; credo di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo,.

«Allora, come mai questa è la tua parte preferita?»- chiede, prendendo fra le mani il testo.

Incrocio le braccia. «Indovina.» -rispondo, con aria di sfida. Chissà se ci arriva.

Osservo i suoi occhi che si spostano fra le righe.«Allora...» -mormora. «Questa frase: 'Mi piace l'arrosto e del fumo non so che farne'. E', più o meno, quello che hai detto la prima volta che siamo usciti insieme. Com'è che dicesti?» -fa segno di pensare, mentre io mi mordo l'interno della guancia. «Preferisco le azioni alle parole. Più o meno il senso è quello, no?».

Sorrido; lo ricorda ancora. «Si.» ammetto. «Poi, c'è anche questa» -faccio scorrere il dito- «Non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente e godo la mia libertà.».

Sospira, pensieroso. «Allora, prossima cavolata?» -dice, risollevandosi.

«Decidi tu.» - propongo. Oh Dio, ho paura di cosa possa scegliere.

«Beh, visto che deve riguardare la scuola...» -mormora. «Mi fai vedere il tuo disegno peggiore?».

Scoppio a ridere. «Non voglio sembrare antipatica, ma-».

«Non esiste un tuo disegno peggiore.» -mi interrompe, scrollando le spalle. «Dovevo immaginarlo.»-aggiunge, storcendo la bocca.

Mi mordo l'interno della guancia, in imbarazzo. 

«Ah, sono così felice per te, bambolina.» -dice sorridendo, mentre mi accarezza il viso.

La stessa emozione di prima, attraversa ogni centimetro del mio corpo. La felicità e la soddisfazione di Michelangelo -per una cosa che mi riguarda- mi fanno sentire davvero amata.

«Se ti facessi vedere quello che reputo più bello?» - propongo. «Ritieniti importante, non l'ha mai visto nessuno.»-dico, incrociando le braccia.

Sbatte le palpebre, confuso. «Okay, vai.» -risponde.

Ridacchio, alzandomi dal letto; cerco nell'armadio la mia cartellina verde. Prendo il foglio interessato, e lo consegno a Michelangelo. «Non sguarcirlo.»- lo ammonisco.

Mi siedo ai piedi del letto e aspetto, curiosa, la sua reazione.

«E' un'ala che avvolge un cuore.» -mormora, con gli occhi sul foglio. «Un disegno semplice, che però nasconde un significato profondo, suppongo.» -continua, guardandomi negli occhi.

Ha capito il mio intento. «Esattamente. E' un disegno che risale a quando, all'Addolorata, litigavo continuamente con suor Elisabetta. Lei mi diceva 'Prega per il tuo angelo custode!'» -ride, per la mia imitazione- «ed io, puntualmente, le rispondevo male. L'angelo custode può esistere, certo.

E' una cosa che non metto in dubbio; però, a mio parere, non sempre ha l'aureola e ci guarda dall'alto. Anzi, io credo che sia un angelo custode anche chi compie una buona azione, chi protegge, chi ama. Al momento, sto cercando il mio.» -dico, scrollando le spalle.

Resta per qualche secondo in silenzio, fissando il disegno, come se stesse cercando di memorizzare ogni singola parte di esso. Questa cosa mi rincuora.

Incrocio le gambe. «Un giorno, anche io voglio sentirti suonare, da vicino.» -mormoro, sorridendo.

Mi consegna il disegno, in silenzio. Lo guardo accigliata: ha perso la voce?

Mentre ripongo il disegno nella cartellina, un'altra fantastica idea mi attraversa la mente. «Michelangelo...» -comincio.

«Mh?» -chiede, curioso.

Metto le mani sui fianchi:«Ti va di giocare a Just Dance?».

Mezz'ora dopo, stanca ma pulita, mi scaravento sul letto. Mentre Michelangelo è sotto la doccia, decido di scrivere a Perla. Mi ha mandato uno dei suoi fantastici autoscatti.

"Mi manchi, anche se stanotte sono in buona compagnia ;)" scrivo.

"So sempre tutto, baby ;)"

Faccio una smorfia con la bocca. Non avevo dubbi.

Noto anche un altro messaggio, da un numero che non ho registrato. Apro l'immagine di Whatsapp, e riconosco la foto di Lucia.

Lucia, che ieri notte mi ha vista delirare. Che figura.

"Ali, domani ti va del sano shopping? Ho contattato anche Perla ;)".

Sono davvero felice che mi abbia scritto. Sorrido come un'ebete davanti allo schermo, e digito la risposta affermativa. Lucia è una persona molto spontanea, aperta ed io credo che -col tempo- diventeremo ottime amiche.

Quando Michelangelo esce dal bagno in boxer, imposto velocemente la sveglia e lancio il telefono sul comodino. Stasera fa un po' più freddo, così decido di mettermi sotto le lenzuola.

«Hai freddo, bambolina?» - chiede, spegnendo l'interruttore.

Alzo gli occhi al cielo.«No, che dici! Mi copro perché ho caldo.» -rispondo, ironica.

Comincia a muoversi lentamente nel buio, facendo luce con la torcia del cellulare. La spegne quando arriva vicino al letto ed io avverto la pressione del suo corpo alla mia sinistra, sul materasso.

«Ah, che stanchezza.»- afferma. «Mi piacerebbe andare a dormire così stanco, dopo aver fatto un'altra cosa.» -continua, malizioso.

Soffoco una risata. «Ridicolo. Accontentati di Just Dance.» -ribatto, fingendomi indispettita.

«Mmm.»- dice, contrariato. Si stende al mio fianco, e copre entrambi. Siamo faccia a faccia.

Mi accarezza la guancia con una mano ed io, istintivamente, mi avvicino a lui. O, meglio, alle sue labbra. Sfioro leggermente il suo volto con l'indice, e poggio le mie labbra sulle sue.

Prolungo il nostro bacio, schiudendo la bocca. Lascia che la mia lingua accarezzi la sua e, dopo qualche istante, mi morde il labbro. Faccio fuoriuscire un lieve sospiro, e lui ridacchia. 

Dio, che imbarazzo.

Ci stendiamo di schiena, e lui passa un braccio dietro le mie spalle. La copertina gli copre metà busto, e io sono rannicchiata sotto il suo collo.

«Ali...» -sussurra, accarezzandomi una guancia, e guardando verso il soffitto.

«Si?» - mormoro, mentre gli occhi cominciano a fare fatica nel restare aperti.

Sospira. «Tu non hai bisogno di nessuno?» - chiede, d'un fiato. Come se, pronunciare questa domanda, fosse uno sforzo per lui.

Questa domanda mi arriva alla testa come una secchiata d'acqua gelida, nel mese di dicembre. In un primo momento non collego, poi capisco che si riferisce a quello che ho letto prima.

Deglutisco. Non era esattamente quello che intendevo. Io non ho bisogno di nessuno? Me lo chiedo.

«Michelangelo... Non lo so.» -ammetto, insicura. Cavoli, non voglio offenderlo. Ma neanche mentirgli. Nell'ultimo anno, ho avuto molta indipendenza, e sono abituata a restare sola.

«Non ti viene proprio in mente, qualcuno con cui non riusciresti a stare senza?» - chiede, accarezzandomi i capelli sciolti. «Perché io, Alisya, al contrario...» -fa una pausa- «ho bisogno di te.»

Mi irrigidisco, come se ormai fossi in trappola. Provo a decifrare questa reazione, invano. Perché mi sento come se avesse scoperto qualcosa di me?

«Mi piacerebbe sapere cosa ti frulla in testa, al momento.»- ridacchia. «Qualsiasi cosa tu stia pensando, dilla Ali... Non te ne pentirai, la affronteremo insieme.» -passa ad accarezzarmi la guancia- «Tanto, lo sai che l'ho capito prima di te.»

Sono di ghiaccio, esattamente come gli occhi di Michelangelo. Non riesco a muovere un muscolo. 

Mi sento inspiegabilmente nuda ai suoi occhi, come se mi stesse lentamente spogliando, e volesse studiare l'interno del mio corpo.

Il problema è questo: voglio che entri nel buio del mio cuore?

«Non hai bisogno davvero di me, o hai semplicemente paura di dirmelo?» -afferma, ed io avverto il suo sorriso nel buio. Me lo immagino, starà facendo il solito sorriso beffardo.

Deglutisco. «Si.» -sussurro, lievemente.

Aggrotto le sopracciglia. Si cosa?

Si volta leggermente, a guardarmi. I nostri occhi si sono abituati al buio. «Si cosa?»- chiede, confuso.

Ecco, appunto.

Poi, qualcosa in me cambia, e decifro la risposta che mi suggerisce il cuore. Faccio una fatica immensa a pronunciare queste semplici parole. «Io ho bisogno di te.».

Mi metto sdraiata su tutta la schiena e prendo fiato, come se avessi appena fatto una gara di corsa. Mi sento sollevata.

Si avvicina al mio orecchio e, col respiro, mi fa il solletico:«Chi non ne avrebbe?».

Alzo un sopracciglio.«Ridicolo.» -mormoro, soffocando una risata.

Si schiarisce la voce. «Comunque...» -dice. «Non credere che non me ne sia accorto. Hai deviato l'argomento, prima.»

Resto in silenzio, confusa. «A cosa ti riferisci? Parliamo molto, sai com'è.».

Soffoca una risata. «Prima a cena, quando ho detto di stare con una secchiona, ho utilizzato un termine particolare.» -spiega.

Cerco di ricordare con la mente le sue parole.

'Sono fidanzato con una secchiona'. Oh, merda. Se n'è accorto.

Deglutisco. «Si, l'ho notato.» -rispondo.

«E...?» -chiede. Sono sicura abbia un sorriso beffardo in volto, ancora.

Tiro un lungo sospiro. «E mi va bene, Michelangelo.».

Oh Dio, aspetta. L'ho detto davvero?

Tutti gli spettatori fanno una standing ovation per il coraggio di Alisya De Stefano.

«Vuoi essere la mia ragazza?» - sussurra.

Spalanco gli occhi, ringraziando di cuore il buio della mia stanza. Voglio essere la sua ragazza? 

Dannazione, certo che vuoi!, mi urla Sybil. Coraggio, Alisya, forza!

Tiro un lungo sospiro. «Si, tu? Cioè.. » -mi correggo, imbarazzata- «Si e basta.»

Dannazione. Sbuffo sonoramente, mentre lui ridacchia e mi stampa un bacio sulle labbra.

Quindi... Siamo fidanzati. Da un lato, non è cambiato nulla tra di noi; dall'altro, però, sapere che abbiamo una relazione certa, mi fa stare meglio.

Cercando di dare spiegazioni alla mia strana risposta, comincio a blaterare:«Il problema è che quando sono con te, mente e labbra si separano all'istante: è come se ci fosse un corto circuito, e nel mio corpo non funzionasse più niente.»

Non fiata per qualche secondo. Si diverte ad usare il mio muscolo cardiaco come una maracas!?

«Ti sbagli, Alisya.»- risponde. «Una parte di te funziona perfettamente. E' solo quella a cui dai meno importanza.»

«E cioè, quale?»- chiedo, guardandolo negli occhi.

Sospira. «Il tuo cuore

Deglutisco, non aprendo bocca. Il mio cuore, eh?

Non do importanza al mio cuore? Forse si sbaglia. 

Certo che gli do importanza! E' solo che dovrei aiutarlo a divenire più coraggioso; forse, Michelangelo mi sta aiutando proprio in questo.

Il sonno grava sugli occhi, così mi rannicchio sotto il suo collo. 

 Si avvicina al mio orecchio. «Buonanotte» -sussurra, dandomi un bacio sulla guancia. «Ah, Alisya..».

«Mh?» - chiedo, curiosa e assonnata.

«Sarò il tuo angelo.».

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