Trentuno.

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Fatico a crederci. E' proprio vero che le soddisfazioni giungono, per chi sa aspettare. Sono così emozionata, così appagata che potrei cominciare a ballare El Teke Teke nell'atrio della mia scuola.

Vecchia scuola, vorrai dire.

Si, il mio vecchio liceo; un percorso terminato, con un risultato a dir poco soddisfacente. Scorro il mio indice sul foglio bianco, percorrendo la casella che va dal mio nome al mio cento e lode.

Sarà la quinta volta che compio questo gesto, ma meglio esserne certi.

E' quello che speravo, devo ammetterlo. Certo, la lode non l'avrei mai prevista.

Sarà il premio per tutti questi anni in cui mi sono rimboccata le maniche e data da fare, con stage, progetti e laboratori vari. Amo l'arte in tutte le sue sfumature e questo si evince dall'amore che provo verso il suo studio.

Il prof. Lamberti, all'esame di stato, mi consegnò la cartellina verde con tutti i miei disegni. La conservo nel mio cassettone e, a volte, mi ritrovo ad ammirarli.

«Dobbiamo festeggiare, piccola mia!» -esclama Lorena, con le lacrime agli occhi.

«Dai, ma cosa dici!» - rispondo, imbarazzata. «E non chiamarmi piccola mia, Lorena!»- ringhio a bassa voce, così che non possa sentirmi quello stormo di oche -con cui ho condiviso l'ossigeno per quattro anni.

Fisso le mattonelle giallognole e le pietre scure incastrate all'interno, con lo sguardo che va oltre il mio vestitino nero semplice e largo, con le spalline formate da tante margherite.

Aggiusto una piega immaginaria con il palmo della mano: sto cercando in tutti i modi di non attirare la loro attenzione.

Troppo tardi.

Che noia. Jasmine, Liliana e Teresa si avvicinano pericolosamente alla bacheca in legno, proprio dove sostiamo io e la mia madrigna.

La sento solo io, la sigla delle Superchicche in sottofondo?

«Piccola Alisya solitaria, che sorpresa rivederti!» - dice Teresa, con tono falsamente meravigliato.

Piccola Alisya Solitaria. Ma è normale questa ragazza?  

Ha un lobo dilatato di due centimetri e i capelli castani rasati, sono sovrastati da una cresta celeste. Mastica a bocca aperta una gomma, sembra una capra.

La capra Teresa. Dovremmo aggiungerla alla fattoria di zio Tobia.

«Ciao, ragazze.» -dico, sorridendo con gentilezza. In realtà vorrei scoppiare in una grassa risata, perché so che Lorena le reputi figlie del diavolo.

E' strano che non abbia fatto il segno della croce.

Non è per il loro aspetto, se le considera piccoli demoni; la mia madrigna è sempre stata molto aperta di mente su queste cose.

Intanto che Teresa guarda Lorena dalla testa ai piedi, sposto il mio sguardo su Jasmine; ha i capelli scuri ed un eyeliner spesso, sembra Nefertiti. E' forse la meno bastarda di questo odioso trio, non ho idea di come ne faccia parte.

L'ultima componente, Liliana, agita il caschetto fucsia, divertita. «Hai avuto anche la lode, complimenti.».

Qui si scorge la differenza tra me e loro: sono andate a vedere il mio risultato, consumate dall'invidia. Come fanno, certe persone, ad essere così cattive?

Non possono, semplicemente, essere felici per me? I loro voti non li ho visti, dal momento che non mi importa niente.

Se hanno preso un bel punteggio, non può farmi che piacere. Invece per loro è diverso: se ti accade qualcosa di bello, devono per forza azzerare tutto il tuo entusiasmo.

Non ho più sedici anni, questa soddisfazione non ve la darò.

«Lo so, dopotutto me la merito.» - affermo, con un tono così sfrontato e impudente da lasciarle a bocca aperta. «Ci si vede in giro.».

Prima che aggiungano qualcosa, giro i tacchi e prendo sottobraccio Lorena.

«Vuoi farmi rotolare?» -sbotta. «Non correre, Alisya!» - sussurra, indispettita.

Soffoco una risata. «Sarebbe divertente vedere una suora rotolare, sai?» -mormoro,prendendola in giro.

Mi volto verso l'entrata e, con il saluto da Papa, affermo:«Addio, caro liceo.»

E' da Pasqua che non vedevo la mia 'vecchia dimora'. L'istituto dell'Addolorata è sempre stato lo stesso, per quanto io possa averne memoria.

Percorriamo il vialetto grigio, una stradina solitaria illuminata dai raggi del sole, attorno cui ci sono tantissimi alberi.

Osservo la tecnica edilizia, con cui è costruito l'edificio: opus latericium.

Appoggio la schiena alle piccole mattonelle rettangolari e marroni chiaro, mentre Lorena prende, dalla borsa nera a tracolla, un mazzo di chiavi.

Ne approfitto per guardarla meglio. Indossa l'abito religioso chiaro, con le maniche a tre quarti ed un tailleur grigio, con la gonna sotto al ginocchio.

Ha quasi quarant'anni, ma sembra averne venti in meno. La pelle candida e il naso all'insù la rendono pura ed innocente, ma conosco bene il suo carattere forte e deciso. Non so come avrei fatto, senza questa donna. La adoro.

Finalmente apre il cancello dalle esili ringhiere grigie, così entriamo.

Il vialetto di ghiaia è circondato da tanti alberi e fiori diversi, e mi tornano alla mente varie immagini di una bambina con le treccine spettinate, che si stendeva ai piedi di un albero, per giocare con i legnetti e le pietre.

Arriviamo davanti l'edificio: grande, imponente e allo stesso tempo semplice. E' di colore rosa chiaro, come la sfumatura del cielo al tramonto.

Da qualche parte ci sono i segni neri del pallone che, puntualmente, lanciavo contro il muro.

«Eccola qui, è arrivata!» -sentenzia, aprendo la grande porta color tronco.

Finalmente un'ora dopo siamo a tavola. Il grande refettorio dalle bianche pareti presenta, al centro, un lungo tavolo in legno scuro. Recitiamo insieme le preghiere, prima di mangiare pasta al sugo.

«Alisya, stai pregando il tuo Angelo Custode la sera, prima di andare a dormire?» -chiede suor Elisabetta, autoritaria come al solito.

Dio, ci risiamo con questa storia.

Sbuffo sonoramente, alzando gli occhi al cielo:«No, Elisabetta: l'ho dimenticato.»

Non ho bisogno di farlo, vorrei dire. Da quando sono andata a vivere da sola me la sono sempre cavata, senza pregare nessuno.

Non credo esista un angelo protettore. Ritengo, invece, che esista qualcuno assegnatoci dal destino, che ha il coraggio di entrare nella nostra vita, prendersi cura di noi e migliorare le nostre giornate.

Ed io quel qualcuno -forse- l'ho trovato.

«La sera ha qualcun'altro a cui pensare, eh bambina?» -mi chiede suor Lorena, con un ghigno malefico in volto.

Le do un piccolo calcio sotto al tavolo, chiedendole silenziosamente di tacere. Come diavolo fa a capire tutto al volo?

Sobbalza e ridacchia, per poi offrirmi una fetta di pane.

Cerco di deviare il discorso:«Non sono una bambina, Lorena! Tra qualche settimana farò diciannove anni! Diciannove!» - scandisco bene l'ultimo numero - «Smettila di chiamarmi così!».

Mi rivolge un piccolo sorriso 'complice' ed io faccio un lungo sospiro. Okay, Alisya. Devi sputare il rospo. «Ve la ricordate Perla?» -chiedo.

Cala il silenzio.

Non ho bisogno di alzare la voce, perchè oggi l'attenzione è rivolta del tutto a me. Sono la 'piccola' di casa.

Tutto d'un fiato, aggiungo:«E' tornata da Catania, adesso viviamo insieme nel suo appartamento.» - faccio una pausa, per verificare le loro reazioni; mi sembrano tranquille. «Per pagare le spese, sto lavorando in un bar.»

Ascolto una serie di mormorii come 'Oh, menomale', 'Almeno non sei da sola', 'Perla è una brava ragazza'.

Pfiu, l'hanno presa bene. Faccio un lungo respiro di sollievo. Forse, il mio timore è dovuto al fatto che non sanno ancora di Michelangelo.

«E gli affari di cuore?» - chiede suor Anna.

Rettifico: non lo sapranno mai.

«Ma che affari di cuore, Anna!» -balbetto, liquidandola con un repentino gesto della mano.

Quando finiamo di pranzare, ad un certo punto, Lorena mi appiccica i palmi sugli occhi, ostacolando la mia vista. «Ma che fai!?» - sbotto.

Sento vari rumori, qualcosa che si apre, qualcosa che si chiude. Dopo alcuni secondi, mi libera la vista ed esclama:«Sorpresa!».

Spalanco gli occhi, interdetta. Mi brillano, e non credo sia per il riflesso della candelina nelle mie pupille.

Una torta. Mi hanno preparato una torta!

«Ma come facevi a sapere il mio voto?» - chiedo sorpresa a Lorena.

«Ci sono andata stamattina presto, a scuola.» -risponde. «Che credevi! Al tuo compleanno non vuoi mai niente, così in qualche modo dovevo premiarti...» - aggiunge, passandomi un braccio attorno alle spalle e lasciandomi un bacio sui capelli.

Mi scoppia il cuore dalla gioia; la ringrazio e la stringo in un forte abbraccio.

Sono le quattro del pomeriggio. Dopo aver scattato alcune foto-ricordo, decido di sdraiarmi un po' sul lettino della stanza di Lorena.

Mi raggiunge:«Ti stendi sempre tutta storta, fa' la signorina ogni tanto!» -ridacchia nervosamente.

Dopo qualche minuto, mi faccio forza:«Lorena...» - comincio.

«Che c'è, piccola?» -chiede, stendendosi nel lettino accanto al mio. Ha tolto il velo e adesso il suo cuscino è ricoperto dai lunghi capelli scuri.

Si tocca nervosamente il lobo dell'orecchio, ed io so che è una cosa che fa quando è in agitazione.

«Sapevi di Perla, vero?» -chiedo, con lo sguardo puntato verso il soffitto giallino. Non ho notato alcuna briciola di sorpresa sul suo volto, e la cosa mi ha incuriosito. «Perchè hai finto?».

Sospira, piegando le braccia dietro la testa. «Alisya, mi sembrava giusto tenerti sott'occhio anche da lontano. Se te l'avessi detto, forse ti avrebbe dato fastidio...» -spiega, facendo un debole sorriso.

«Chi te l'ha detto?» -domando, curiosa. Come fa a saperlo!?

«Documenti di scuola. Sono sempre quella che fa le tue veci, ricorda.» -mormora, agitando un dito.

Ah, giusto. Mi sento in colpa per aver pensato male di lei, per cui resto in silenzio.

«Alisya, devo dirti alcune cose.» - continua.

Cinque parole. Solo cinque parole, in grado di aumentare la frequenza del battito cardiaco. E' possibile una cosa del genere?

Si, con Michelangelo ho scoperto che è possibile.

«Dimmi.» -rispondo, cercando di sembrare calma.

Sospira. «Da quando non vivi più con noi sono in un'ansia costante.» comincia.

Alzo gli occhi al cielo:«Ma dai!». Era questa la cosa che doveva dirmi!?

Trattengo una risata. Non risponde, così aggiungo:«Perché ti preoccupi così tanto!?».

«Dico sul serio.» - risponde, con voce tremante.

«Sì, va bene...» - sminuisco, ridacchiando. Che noia che è, quando comincia con questi discorsi.

«Hai il brutto vizio di camminare da sola per strada, anche di sera.» - continua. Sta facendo affermazioni random, o è una mia impressione?

«E quindi, qual è il problema?» - chiedo, confusa.

Sospira. «Promettimi che starai attenta.» - ribatte. Oh, santo cielo.

«Quand'è che devo partire per la guerra?» - ironizzo.

«Non scherzare, Alisya! Sono seria!» -dice, alzando la voce; si mette a sedere, di scatto.

Il mio sorrisetto diventa un'espressione stupita, perchè noto che i suoi occhi neri sono lucidi.

Un discorso simile me l'aveva fatto anche prima che me ne andassi, ma era uno di quelli pieni di raccomandazioni da madrigne preoccupate. I soliti, insomma.

«Se qualcuno dovesse farti del male... Io... Non potrei sopportarlo.» -biascica, mentre camuffa un singhiozzo con un colpo di tosse. La guardo stordita.

Sono confusa e mi sento terribilmente in colpa. Ma che cosa sta dicendo?

Mi metto a sedere, lasciando penzolare le gambe. «Lorena...» -mormoro. Non so cosa fare, non so cosa dire. Non so come comportarmi. Ma che le è preso!?

«Scusa, ma chi dovrebbe farmi del male?» -chiedo, confusa.

«Grazie a Dio, nessuno!» -sbotta, agitando le mani.

Sbatto le palpebre, stordita. «E allora, qual è il problema?» -ripeto.

Tira su col naso, e i suoi singhiozzi terminano.

Fa un sorriso e sembra calmarsi:«Nessuno, tesoro mio. Scusa se ti ho fatto preoccupare; ormai mi conosci. Capita anche alle suore di avere brutti pensieri.»

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