Earl Grey

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Luna

21 luglio 2513, ore 3:40

Base Armstrong


L'ascensore si aprì, ed entrai nell'ufficio del comandante. Era costruito in cima alla cupola del centro di comando, ed era l'unica stanza della base ad avere finestre: il vetro era spesso venticinque centimetri per proteggere dalle radiazioni ed era miscelato con polvere di regolite, necessaria per oscurarlo e rendere sopportabile la luce solare, che altrimenti sarebbe stata accecante.


Rosenberg era in piedi davanti alla finestra orientale, vicino alla scrivania del comandante. Sorseggiava tranquillamente una tazza di tè, e guardava l'esterno: il sole stava sorgendo all'orizzonte, e proiettava lunghe e bizzarre ombre nel paesaggio lunare. Sulla scrivania era appoggiata con noncuranza la bustina usata di Earl Grey.

Mi aveva sicuramente visto nel riflesso del vetro, ma non reagì in alcun modo alla mia presenza. Mi guardai attorno, assicurandomi che fossimo soli, e mi avvicinai tenendolo sotto tiro.

«Non c'è bisogno di quell'arma.» disse all'improvviso Rosenberg. «Non opporrò resistenza.»

Abbassai leggermente il fucile. «Metà dei tuoi uomini è già morta, Rosenberg. Arrenderti è l'unica scelta per salvare quelli rimasti.»

«No, non credo che lo farò.» rispose lui, pacatamente. «Siamo andati troppo oltre per arrenderci.»

Sbarrai gli occhi e rialzai il fucile. «Pensi che non vi uccideremmo tutti, se servisse? Non avete possibilità, Rosenberg.»

Lui si limitò ad alzare le spalle, impassibile. «Tutti i miei uomini erano perfettamente consapevoli dei rischi. Immagino sia per questo che così pochi fossero disposti a seguirmi: non molti uomini sono disposti a morire.»

«Siete completamente matti. Avete lanciato un missile nucleare, incitato una ribellione, preso d'assalto una delle nostre basi e ucciso il personale di sicurezza. Tutto questo per la vostra "Repubblica Lunare"?»

«Per un futuro migliore. Un futuro in cui la Luna possa essere non una gigantesca miniera, ma una vera casa per gli uomini che la abiteranno.» Rosenberg sospirò mestamente. «Sai perché sono salito quassù?» mi chiese, girandosi verso di me. «In più di trent'anni passati qui, non avevo mai visto un'alba lunare.» continuò, senza attendere una risposta. «Questa è la nostra vita: chiusi per decenni in una gigantesca prigione di metallo senza poter mai vedere la luce del sole. Gli esseri umani non sono fatti per un'esistenza simile.»

«Ci sono modi migliori per ottenere un cambiamento, Rosenberg.» ribattei.

Rosenberg si diresse verso la scrivania del comandante: mentre lo tenevo sotto tiro, si sedette comodamente, appoggiando la tazza vuota sulla scrivania.

«Non sono d'accordo: per farsi sentire, a volte bisogna urlare. E in questo caso ci sono troppi interessi in gioco per smuovere qualcosa senza azioni drastiche.»

«E cosa ne sarà della tua causa, quando tu e i tuoi uomini sarete tutti morti? Se vi arrendete, c'è una seppur minima possibilità che possiate farvi ascoltare.»

Stranamente, Rosenberg sembrava iniziare a respirare con fatica, come se fosse incredibilmente stanco.

«Dalla prigione, vuoi dire.» ribatté stentatamente. «No, la gravità sarebbe un inferno per il nostro fisico. Meglio allora...»

Si interruppe di colpo, tossendo: capii subito che qualcosa non tornava.

Rosenberg guardò la tazza di Earl Grey, con l'espressione di chi aveva appena capito di aver commesso un errore.

«Sheiße...» esclamò nella sua lingua madre, rantolando mentre diventava paonazzo in volto. «Chinesisch hure...»

Ormai avevo capito cosa era successo, ma non potei far altro che guardare, impotente, mentre Rosenberg moriva avvelenato davanti ai miei occhi.


Adesso, nessuno poteva più ordinare agli uomini del Fronte di arrendersi. Se anche li avessimo informati della morte del loro capo, avremmo potuto ottenere l'effetto opposto convincendoli a combattere fino all'ultimo uomo.


Nei minuti seguenti, non potei far altro che informare Montréal di cosa fosse appena successo, e dire che non furono contenti sarebbe un eufemismo: riparare la base Armstrong ci sarebbe costato miliardi.

Vennero immediatamente lanciati i LAV delle basi Apollo e Artemis, e io rimasi a guardare per qualche secondo la cupola nord dalla finestra: dopotutto, era l'ultima volta che qualcuno l'avrebbe vista intatta.

Scossi la testa e mi allontanai mestamente: risalii sull'ascensore e iniziai la lunga discesa.


Ramon non si sarebbe mai perso uno spettacolo del genere: probabilmente, sarebbero state le più grandi esplosioni non nucleari nella storia dell'umanità, quantomeno sulla Luna, ma io non lo consideravo affatto un bello spettacolo: era solo la conferma del mio fallimento.

Avevo salvato gli ostaggi, ma non la base.


Al pianterreno, John e Marcel avevano finito di occuparsi degli ostaggi: alcuni avevano riportato delle ferite, ma fortunatamente nessuno era in condizioni gravi. Naturalmente, erano tutti in stato di shock. Tutti, tranne Mei Ling.

Rimasi nuovamente colpito dalla freddezza della diplomatica cinese: sentii il suo sguardo glaciale fisso su di me mentre mi avvicinavo ai miei compagni.

«Avete scoperto cosa ci facevano qui i cinesi?» gli sussurrai.

«Non dicono nulla.» disse John. «Credo che far parlare Tong non sarebbe difficile, se fosse da solo, ma sembra avere più paura di Mei Ling che di noi.»

«Possiamo prenderlo da parte, strapazzarlo per bene: parlerà di sicuro.» propose Marcel.

«No, non vale la pena rischiare un incidente diplomatico. Lasciamoli andare, non importa più cosa volesse la Cina da Rosenberg: lui è morto, e il Fronte è distrutto.»

Guardai di nuovo Mei Ling.

Mi chiesi di nuovo come facesse a essere così tranquilla, così fredda, come una persona per cui non era inusuale rischiare la vita. Come me.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro