Rimini

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Avevo degli amici che avevo incontrato al mare e che studiavano a Urbino, così ero salita in sella alla vespina ed ero partita per andare a prendere il treno il più possibile lontano dalla stazione della cittadina.

Era piena notte ma non era freddo, percorrevo le strade interne verso sud con l'idea di prendere il primo treno della mattina in direzione Pesaro da dove prendere l'autobus. Sarei rimasta in giro qualche oretta, magari gironzolando per Rimini, fermandomi a un forno, prendendo una pasta come facevamo alla fine delle rare volte in cui avevo avuto il permesso di passare la sera fuori.

Mi sentivo la libertà come qualcosa di troppo grande da gestire una volta che si era avvicinata Rimini e l'orologio segnava appena le quattro e cinque minuti. La stazione di Rimini mi aveva poi impressionato negativamente per i volti che vi avevo visto gironzolare attorno, gruppetti che mi avevano squadrato e che, nonostante adorassi essere guardata, non mi avevano lasciata tranquilla.

Vicino alla stazione c'era una sede dell'Università e ci avevo trovato anche un paio di bacheche con annunci vari, comprese condivisioni stanze tra universitari. O meglio universitarie, era infatti più facile trovare un posto per una ragazza che un ragazzo, bastava una occhiata agli annunci per capire che essere ragazza era un bene.

Improvvisamente, Urbino non era più il mio primo pensiero, potevo rimanere a Rimini, si stava avvicinando la stagione turistica, magari avrei potuto trovare lavoro in un bar, in una caffetteria, sarebbe stato bellissimo poter stare in prima linea la bancone a flirtare con gli universitari e stare finalmente lontani da quella famiglia che non mi dava più niente.

<Ehi bella, cerchi amici>

Nemmeno il tono interrogativo aveva usato, come a dare per scontato. Era decisamente alto, con un accento che poteva essere calabrese come della cintura di Milano, nel giro di pochi secondi si era già toccato il cavallo due volte.

Non ero abituata a stare in giro da sola a quell'ora, in un posto per me totalmente nuovo. A Rimini ero andata poche volte per shopping, al centro commerciale o poco altro. Non mi ricordo nemmeno chi mi aveva detto che era importante non innervosire chi avevi davanti

<Faccio un giro, sono nuova>

<Faccio un giro con te, vuoi qualcosa?> e di nuovo mano alla patta.

<Due passi>

Avevo proseguito con lui che non sapeva dove mettersi se davanti, di fianco, dietro, poi aveva assestato il colpo che mi aspettavo diverso.

<Ti faccio fumare se succhi>

<Non fumo>

<Non ci credo>

<Non crederci>

<Allora succhia e basta> e la sua risata era uscita un po' nervosa.

Non avevo dimestichezza con il sesso. Sapevo perfettamente quali erano le migliori pose per foto che strappassero allusioni sessuali ai ragazzi che mi seguivano su instagram e nei social anonimi avevo già fatto la conoscenza della bassezza a cui potevano arrivare i maschi nel parlare di sesso quando si potevano nascondere dietro a uno schermo. Ma amavo stare al centro dell'attenzione ed a tutti dedicavo un commento possibilmente di lieve presa in giro. Ma lì era diverso, lì c'era uno in carne ed ossa, che continuava a toccarsi il cavallo con una evidente erezione, ed io, non scappando a gambe levate, gli stavo dando una impressione sbagliata.

<Non hai molte soluzioni, bella> mi aveva detto con un tono più serio, e per la prima volta mi ero resa conto che non ero nelle condizioni di poter dire di no, e nemmeno di scappare, perchè lo zaino che avevo sulle spalle era tutto tranne che leggero. Così lo avevo preceduto mentre mi indicava un fabbricato della stazione un po' scostato, e girato l'angolo mi aveva toccato la testa come a spingermi in ginocchio, liberando con l'altra mano il cazzo già duro.

Io ero titubante, lui si sentiva il re della situazione con quel respiro pesante e quelle parole che mi mandavano sempre più in basso, me lo aveva fatto afferrare e nell'avvicinarmi avevo sentito chiaro l'odore di sudore e urina vecchia, ma anche qualcosa di più difficile da decifrare, che avevo associato al maschile.

<Prendimelo in mano troia> mi aveva detto e la mia mano si era stretta al suo sesso, avevo liberato la punta carnosa e la zaffata di odore mi aveva colpito le narici, sentivo sulle dita l'umido quasi viscido che ricopriva l'asta dura, mentre segavo senza avere il coraggio di fare quello che mi aveva chiesto.

<Basta segare succhialo> aveva detto strozzando un mugolio, la sua mano invitava la mia testa in maniera nemmeno tanto gentile, non era così che immaginavo il mio primo rapporto, quante volte avevo schernito le mie amiche che si erano prestate a pompini a ragazzi solo perchè erano bellini, rimanendo letteralmente con l'amaro in bocca.

Un fascio di luce aveva invaso la scena

<Ehi, non è il posto dei pompini!> aveva detto una voce che sembrava trattenere una risata, il tizio non si era nemmeno tirato su i jeans ed era scappato a gambe levate lasciandomi in ginocchio a tirare un sospiro di sollievo.

<Giulietta non parti bene a fare pompini in stazione alla tua età> mi aveva detto una specie di guardiano, che evidentemente si era domandato perchè non fossi a mia volta fuggita per continuare la fellatio con Romeo.

<Tutto a posto?>

<Si, certo, tutto ok>

<Sei sicura?>

<Si, sicura>

Lo scampato pericolo mi aveva buttato addosso una stanchezza insostenibile ma non volevo assolutamente dormire in stazione. Non avevo trovato di meglio che passare le successive due ore a dormicchiare al Burger King, quando la tipa del turno era stata sul punto di smontare e mi aveva svegliata per evitare di avere problemi.

<Stai bene? Ti sei fatta?>

<No, no, nottataccia>

<Lo vedo>

<Tu sai se hanno bisogno di personale qui?>

<Per ora no, ma se cerchi lavori stagionali, fai un giro in centro che iniziano a mettere fuori cartelli>

Avevo così fatto passare qualche ora fino a che i negozi del centro e del lungomare avevano iniziato ad aprire mostrando le vetrine ed i relativi cartelli di ricerca del personale. La mia prima ipotesi che riguardava i bar era stata in fretta accantonata al pensiero di fare la commessa in un qualche negozio di bell'abbigliamento del centro di Rimini. Adoravo certe commesse perfette che sapevano tutto di quello che vendevano e soprattutto sapevano come venderlo e come valorizzare i punti forti delle persone che entravano nel negozio.

Il primo giro per il centro però non mi aveva lasciato particolari sensazioni positive per cui mi ero rifugiata in un piccolo bar alla ricerca di un po' di tranquillità per pensare a come mi sarei dovuta comportare nelle successive ore, soprattutto in vista della notte: non volevo spendere tutto in alberghetti schifosi per poi essere costrette a tornare a casa con la coda tra le gambe dopo due giorni.

Ogni tanto, guardavo le commesse in pausa caffè. Volevo essere io al loro posto con i capelli perfetti, i tacchi, i gioielli e la camicia leggera senza che nessuno me lo facesse pesare. Alla quinta chiamata di mia madre che aveva ignorato il mio messaggio di addio, avevo risposto senza nessuna voglia.

<Alice ma dove sei?! Stiamo morendo dall'apprensione! Ci stai facendo stare male!>

<Mamma te l'ho detto, me ne sono andata e non torno indietro>

<Ma sei pazza, hai sedici anni! Come pensi di saperti gestire in autonomia?!>

<Lo imparerò un po' alla volta, a casa non lo avrei certo imparato con voi, per me il discorso è finito>

Avevo riattaccato ignorando le successive chiamate, ed avevo ricominciato a guardare in giro, fino a che non avevo notato una ragazza superba nei suoi pantaloni aderenti a vita alta, la pelle di una tonalità simile alla cannella che faceva il paio con dei fantastici capelli mossi di colore dell'ambra. Le labbra appena carnose trattenevano una sigaretta mentre apriva la porta di un negozio di accessori maschili.

Era un negozio relativamente piccolo in cui dominava il legno e le tonalità del corda, la clientela verosimilmente doveva essere di una certa età, non ragazzi e nemmeno gente poveraccia, come stavo per diventare io.

Mi ero talmente rifugiata nei pensieri e nei ragionamenti legati al tipo di gente che poteva entrare in un negozio del genere che nemmeno avevo notato a lato, una targhetta discreta, quasi d'altri tempi, che non avevo riconosciuto perchè abituata a fogli A4 scritti a penna o al massimo in Times New Roman

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Mi ero persino stropicciata gli occhi per essere sicura di quello che avevo letto, avvicinandomi sempre di più alla vetrina come non facevo dai tempi dei negozi di giocattoli durante i sabati al centro commerciale.

Volevo essere perfetta, volevo dare l'idea della ragazza giusta per quel posto: ero tornata di corsa al bar che mi aveva ospitato per un paio di ore alla mattina ed avevo chiesto alla cameriera se poteva tenermi lo zaino per il tempo di una commissione, poi ero tornata di corsa al negozio quasi sbagliando strada un paio di volte. Prima di entrare avevo preso un bel respiro, mi ero sistemata un secondo i capelli, poi avevo spinto la porta.

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