Capitolo 25 - L'occhio della Signora dell'Equilibrio

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Alex e Hiss erano un po' ai ferri corti da dopo gli eventi di Elizabeth City.

Il serpente era sparito nel nulla, abbandonandolo a sé stesso mentre combatteva quel demone in una lotta che sembrava impossibile da vincere, ed era tornato a farsi vedere soltanto dopo che la testa di Cropfield aveva smesso di rotolare sulla sommità del palco della commemorazione.

Ad Alex non ea proprio andata giù; loro avevamo sempre fatto tutto insieme e avevano affrontato ogni sfida fianco a fianco. Nell'esistenza del giovane bibliotecario di Filadelfia non c'erano pochi punti fermi: uno era composto da Theresa e da Darren, l'altro da Hiss.

Ora Theresa lo incolpava perché si era fidato di Tracy e Annabelle e Hiss gli aveva voltato le spalle nel momento più buio. Gli sembrava di essere rimasto solo, l'ultima forma di vita al mondo, proprio come in quel vecchissimo romanzo dove un uomo rimaneva da solo a combattere una piaga di vampiri a New York.

Quando si erano incontrati nei sogni, Alex aveva provato a interrogare il serpente, ma Hiss era stato vago e distaccato; sembrava turbato, ma se lo era davvero aveva provato a far finta di nulla.

Non avevano più parlato e anche nelle notti successive non avevano esplorato alcun sogno, ma si erano limitati a restare all'interno del subconscio di Alex, in silenzio e scambiando poche frasi di circostanza. Era stato come ripiombare all'indietro di quindici anni, quando le notti erano buie, solitarie e spaventose.

Eppure, malgrado fosse ancora offeso con lui, l'istinto continuava a suggerirgli di tornare dal suo amico rettile. Era come un bisogno, come se non fosse più capace di vivere in modo normale senza interagire con lui.

Osservando zio Darren afferrare le chiavi delle camere e seguendo gli intricati filamenti di magia che si distaccavano dalla nuca del receptionist, Alex sentì il bisogno di chiedere il parere di Hiss.

Il rettile del sogno fluttuava a pochi centimetri dalla sua spalla e osservava il ragazzo mantenendo un silenzio immoto, del tutto estraneo alla sua solita allegria. Non si rotolava nell'aria, non sibilava con aria canzonatoria e non gli si avvinghiava intorno alle braccia. Che cos'era successo a Elizabeth City per farlo cambiare così tanto?

Era un incantesimo, quello? Una persona non poteva essere così felice senza una spintarella. Forse della droga? E allora la magia che gli usciva dal corpo? Sembrava, però, un incantesimo complesso e potente... paurosamente potente. Nulla che un receptionist di quell'età avrebbe potuto gestire in autonomia.

«Proseguite lungo il corridoio e poi prendete le scale in fondo, le vostre camere sono al secondo piano.»

Il ragazzo sputò quelle parole con foga e gioia, sporgendosi dal bancone per indicare la porta aperta nella parete alle sue spalle. Era persino più felice di un bambino nel giorno di natale.

Darren ringraziò e imboccò il passaggio senza indugio, seguito da una stranita Theresa che continuava a fissare il receptionist più felice del mondo.

«Secondo voi era drogato?» sussurrò Jacob.

«No, è sotto l'effetto di un incantesimo,» rispose subito Alex.

Amanda si bloccò all'improvviso a metà del corridoio per voltarsi a fissarlo.

«Quale incantesimo?» chiese con voce roca.

Alex fece spallucce e distolse lo sguardo. Perché sembrava arrabbiata? Mica era colpa sua.

«Non so, ma credo che stia condizionando il suo umore.»

Hiss sibilò sommesso vicino al suo orecchio e Alex fece un mezzo passo di lato, corrugando la fronte. Non era il momento migliore per tentare di attirare la sua attenzione! Ci mancava soltanto che la presidentessa lo vedesse litigare con un'entità invisibile.

«Ma è imperdonabile!» proruppe Theresa, a bocca aperta. «Dobbiamo fare qualcosa.»

«No, non ci riguarda,» ribatté Darren, categorico. «Siamo qui per trovare quel prete di Ilimroth, non per—»

«Non per aiutare le persone?» fece Amanda, laconica. «Beh, mi spiace deluderti, Darren, ma io non perderò mai occasione di aiutare un cittadino americano.»

Theresa annuì così forte che ad Alex sembrò di sentirle scricchiolare le articolazioni del collo.

Jacob si schiarì la voce e indicò l'imboccatura del corridoio alle sue spalle.

«Non è meglio parlarne in camera?»

«Ne convengo,» disse Amanda, ma lei e il mezzelfo continuarono a fissarsi a vicenda in una lotta silenziosa per la supremazia.

Dopo qualche secondo fu zio Darren a schioccare la lingua contro il palato, scoccare un'ultima fugace occhiata a Theresa e poi voltarsi per salire sul primo gradino per il piano di sopra.

Le camere erano costate uno sproposito, ma almeno erano grandi e contenevano tre letti a una piazza e mezza ciascuna. Ad Alex tornò in mente il grosso stanzone pieno di brande dell'orfanotrofio, ma sbatté le palpebre e si accostò alla finestra per guardare la strada all'esterno: due gnomi stavano passeggiando sul marciapiede reggendo dei sacchetti di tela scura ed erano intenti a chiacchierare tra di loro. Sorridevano, sembravano allegri e... fini spaghi di energia lucida si dipanavano dalle loro nuche e sparivano nell'aria a qualche metro sopra di loro.

Il simpatico portiere del loro albergo non era l'unico, quindi.

La coda di Hiss gli solleticò il collo e Alex sbuffò aria dalle narici.

«Va bene, ma dopo!» mormorò, girandosi per trovare i vispi occhietti del rettile dalla pelle cangiante.

Darren buttò la sua borsa sul letto senza tante cerimonie e si lasciò cadere sul bordo con un cigolio molesto del materasso.

«Dobbiamo chiedere al ragazzo di sistemare le camere,» disse Amanda, guardandosi intorno con aria critica. «Voi avrete bisogno di un altro letto nell'altra camera.»

Alex si voltò appena in tempo per osservare la sfumatura divertita di zio Darren accendersi sul suo viso affilato.

«Ma tu non dormirai da sola, Amanda,» rispose il mezzelfo con un sorriso.

«Sciocchezze!» protestò lei, incrociando le braccia sotto al seno.

«No, stavolta devo dargli ragione.» Jacob si intromise appena in tempo per impedire a Darren di rispondere a tono. «Uno di noi dovrà rimanere sempre con lei. Non la possiamo lasciare sola neanche di notte.»

Amanda non aveva proprio l'aria di qualcuno a cui si poteva imporre delle decisioni scomode. Alex si appoggiò con la schiena al davanzale e si preparò alla sfuriato dell'autorità più alta del paese.

«D'accordo,» rispose, invece, la presidentessa.

Alzò la mano e puntò il dito contro Theresa, silenziosa in un angolo della stanza.

«Ma sarà lei a stare con me.»

Sua sorella si irrigidì come il tronco di una quercia e spostò gli occhi verso zio Darren.

«I... io?» pigolò.

«Sì, è ovvio,» replicò il cacciatore di taglie.

Bah, certo che era ovvio, e quel suo stupore genuino lo faceva incazzare ancora di più! Era scontato che tutti quanti avrebbero scelto Theresa per proteggere la presidentessa: erano due anime affini a livello ideologico e la paladina era forte, bella e capace e... e aveva sconfitto quel demone, al contrario di Alex e degli altri maghi rachitici che non erano riusciti neanche a scalfirlo.

Uno spasmo fugace percorse la lunga gamba della novizia e gli occhi le si inumidirono all'improvviso.

«Io... io metterò tutta me stessa in questa sacra missione,» annunciò con voce flebile e rotta dall'emozione.

Alex alzò gli occhi al soffitto. Neanche fosse stata eletta somma sacerdotessa di Deladen; doveva soltanto controllare che una politica non finisse nei casini, cazzo.

«Perfetto,» disse Darren, battendo le mani per richiamare su di sé l'attenzione di tutti. «Adesso faremo così: io e Amanda rimarremo qui in hotel, non è sicuro che lei giri per la città.»

«Non dovrei stare io con lei?» protestò Theresa, accigliata.

«In questo caso preferisco che tu vada con Jacob e Alex a cercare questo paladino,» rispose il mezzelfo. «Non sappiamo nulla di lui e sono più tranquillo a sapere che sarai tu a parlare con lui per la prima volta.»

Lei abbassò il mento, all'apparenza delusa e Alex arricciò un angolo della bocca per celare un sorrisetto compiaciuto. Era proprio un verme: non avrebbe dovuto gioire dei dispiaceri della sua famiglia, eppure era così appagante vedere che anche un gigante di virtù come Theresa potesse rimanere mortificata da qualcosa.

«E il tizio alla reception?» chiese Alex.

«Ve l'ho detto: non ce ne frega!» sbottò Darren, scuotendo la testa.

«E se, per caso, la medesima cosa stesse succedendo anche ad altre persone là fuori?» insistette Alex, indicando il vetro della finestra.

La presidentessa e Theresa sgranarono gli occhi nello stesso istante, neanche si fossero accordate.

«Ma questo incantesimo che male sta facendo?» chiese Jacob, mentre Darren sbuffava e accavallava le gambe esili.

Alex alzò i palmi delle mani con aria noncurante.

«Sta condizionando il loro umore: le persone sono felici, tutto qui.»

«E che male c'è in questo?» domandò il federale, studiando la reazione di Amanda.

Theresa si girò verso di lui con la stessa rapidità di un uccello predatore che ha avvistato un topolino indifeso.

«Scherzi, vero?» sibilò. «Ti piacerebbe venire manipolato? Prendere decisioni senza cognizione o essere felice o triste senza motivo? Non è affatto bello.»

«Thera, ci stiamo complicando la vita così,» mormorò Alex, sospirando.

«Zio, Alex non era così menefreghista prima di conoscere quelle donne!» strillò la paladina, puntando il dito contro il fratello con aria accusatoria.

Già, e lei non si atteggiava a salvatrice del mondo prima di lasciare quella topaia che era la chiesa di Deladan di Filadelfia.

«Theresa, non è il momento per—» protestò lui, ma Darren si alzò in piedi di scatto e lo azzittì con una parola secca.

«Basta!»

Lo zio aveva la fronte aggrottata ed era scuro in viso. Raramente l'aveva visto così arrabbiato.

In due rapidi passi fu davanti a Theresa e prese a fissarla così intensamente che la novizia fu costretta ad abbassare lo sguardo.

«Ho lasciato perdere questa vostra lite perché ero convinto che foste abbastanza adulti da capire quando è il caso di smetterla,» disse il cacciatore di taglie. «Pare che mi sbagliassi, quindi mi tocca intervenire: smettetela, tutti e due. Alex non ha venduto la sua anima ad Annabelle, ha soltanto sfruttato un'occasione.»

Si voltò verso il ragazzo, immobile davanti al davanzale.

«E tua sorella, Alex, si sta preoccupando per te. Tantissimo, perché è fatta così, la conosci: lei non si crede migliore di te o di me, ma ci vorrà proteggere sempre e comunque. Molte persone pagherebbe milioni per avere accanto qualcuno così, proprio tu lo dovresti sapere.»

Alex distolse gli occhi dalle pupille roventi dello zio e iniziò a studiare con attenzione i motivi variopinti che scintillavano sulle squame di Hiss.

Aveva ragione. Lo aveva sempre saputo, sotto sotto, ma era sempre stato più semplice riversare tutta la sua frustrazione sulla sorella, troppo buona per ribellarsi a quel trattamento ingiusto. Era più facile pensare di essere Alex culone per via della vicinanza a una sorella irraggiungibile piuttosto che per colpa sua: non avrebbe smesso di essere Alex culone sfottendo Theresa e le cose in cui credeva.

«Bene, se è tutto chiaro, possiamo tornare a discutere sui nostri prossimi passi,» disse Darren, dando le spalle a Theresa per tornare a sedersi sul bordo del letto. «Trovate Michael Hemsworth, poi proveremo a capire che cazzo sta succedendo in questo posto, visto che ci tenete così tanto.»




Alla fine superare i controlli per il centro città fu molto più semplice del previsto.

Jacob, Theresa e Alex avevano deciso di sondare il terreno e provare a superare il posto di blocco fingendo di non avere con sé documenti d'identità. Era una tattica stupida che non avrebbe portato ad alcun risultato, secondo il federale, ma nessuno era riuscito a trovare altre idee meno rocambolesche.

In barba a ogni pronostico, i poliziotti al posto di blocco si rivelarono sorridenti e ridanciani. Appena si trovarono davanti il viso teso di Jacob, i due agenti iniziarono a raccontare aneddoti sulla città e a dar loro indicazioni sui migliori ristoranti della zona o sul bar migliore dove andare a farsi una bella bevuta. Dopo qualche minuto di chiacchiere leggere, gli uomini li lasciarono passare senza neanche chiedere i documenti. Non sembravano neanche poliziotti in orario di lavoro, erano come due amiconi incontrati sulla porta del pub e in procinto di offrirti da bere per il compleanno.

Quella città era davvero strana, e la cosa più curiosa era che Jacob non ricordava di aver mai sentito voci o letto rapporti riguardo i comportamenti delle persone a Richmond. Perché una cosa del genere non poteva passare inosservata! Non aveva alcun senso che nessun agente del Bureau di passaggio non si fosse accorto che l'intera metropoli era un carrozzone di clown allegri e spensierati.

Forse Theresa e Amanda non avevano tutti i torti a insistere sul volerci vedere chiaro su quella faccenda.

Al contrario del resto della metropoli, il centro di Richmond aveva mantenuto l'architettura di un tempo: i vecchi palazzi in cemento dall'aspetto grigio e vecchio delimitavano ampie strade in asfalto ben conservato. La città era vissuta e percorsa da ogni genere di individuo, i negozi a bordo strada esibivano vetrine ben fornite e lungo la carreggiata si potevano vedere anche alcuni modelli di costosissime automobile, sicuramente proprietà di qualche politico facoltoso diretto al Campidoglio.

E come fattore comune in quella mescolanza di razze diverse che era la popolazione di Richmond c'era il sorriso: i negozianti uscivano dai negozi per accompagnare i clienti, scambiandosi sorrisi e frasi di cortesia; i passanti che si incrociavano lungo il marciapiede si facevano un inchino e si scagliavano addosso sorrisi e saluti calorosi. Un gruppo di poliziotti a cavallo si era fermato a un incrocio e aveva interrotto il traffico di carri, passanti e uomini a cavallo per aiutare due gnome dall'aria anziana ad attraversare la strada, e nessuno aveva urlato o si era lamentato.

Cazzo, era la cosa più inquietante del mondo. Jacob non aveva mai visto così tanta armonia e allegria in tutta la sua vita ed era sicuro che se degli agenti di polizia avessero bloccato il traffico di Washington solo perché due gnomi dovevano attraversare la strada, i frenetici e nervosi abitanti della città sarebbero stati capaci di assalire e ricoprire di botte sia i poliziotti che gli gnomi.

Avrebbe dovuto fargli un effetto diverso, forse? Si sarebbe dovuto lasciar contagiare dall'allegria dilagante e mettersi a ridere e ballare in mezzo alla strada come in un fottuto musical teatrale?

Ma cazzo, era troppo... troppo artificiale. Non metteva allegria, metteva una paura del cazzo!

«Questo posto mi mette i brividi,» mormorò Alex, osservando l'altro lato della strada dove un gigantesco umano con evidente sangue d'orco nelle vene si stava inchinando davanti a un anziano nano per stringergli la mano.

«A chi lo dici,» gli rispose l'ex federale.

Per fortuna non erano lontani dalla loro meta.

La chiesa di Richmond dedicata a Ilimroth non era troppo distante dal campidoglio e si trovava proprio di fronte al VCU Medical Center. Occupava un tozzo edificio color crema costruito in un curioso stile asiatico che ricordava una costruzione dell'antico egitto; dall'altro lato di una piccola piazza, solo a pochi passi di distanza, sorgeva la chiesa monumentale dedicata a Galadar.

Jacob non era mai stato a Richmond prima, ma non era difficile trovare una chiesa, a prescindere dalla città: cerca un ospedale e ci troverai una chiesa accanto, la saggezza di suo nonno gli era venuta in soccorso ancora una volta.

Fuori dalle porte della chiesa stavano fermi due uomini in abiti scuri, il torso ricoperto da un corpetto rigido protettivo. La clessidra color cenere impressa al centro del corpetto attirò subito l'attenzione di Jacob. Soldati della chiesa di Ilimroth: anche se aderenti a un culto diverso erano colleghi di Theresa, e quelle poche settimane insieme erano bastate per insegnare al federale quanto potessero essere pericolosi quei guerrieri della chiesa, sia per le loro capacità combattive, sia per la loro testardaggine e scarsa apertura mentale. Non si poteva ragionare in modo logico con Theresa, non si poteva ragionare in modo logico con nessun paladino. E quelli appartenevano anche al culto più rigido e austero del Paese.

«Buon pomeriggio, signori,» disse uno dei guerrieri, chinando il capo rasato.

Gli angoli delle labbra si mossero verso l'alto e gli occhi grigi brillarono di allegria. Era un sorriso, quello? Un paladino della Signora dell'Equilibrio aveva appena sorriso? Che cazzo stava succedendo in quella città?

Theresa abbassò il viso per ricambiare il saluto e Jacob fece lo stesso. Alex, invece, rimase fermo a fissare i due uomini con volto intellegibile, ma quella che in una situazione normale sarebbe stata letta come mancanza di rispetto venne ignorata dai due paladini.

«Che cosa vi porta nel nostro sacro tempio in questo gioioso pomeriggio?» domandò il secondo combattente, unendo le mani dietro la schiena con aria marziale.

«Siamo alla ricerca di un valoroso guerriero e alcuni amici ci hanno comunicato che avremmo potuto trovarlo in questo luogo,» rispose Theresa, assumendo una posa rigida e formale. «L'onorevole Michael Hemsworth si trova presso la vostra chiesa, non è così?»

C'era un'etichetta in particolare da seguire durante un incontro tra paladini o era Theresa che aveva deciso di sua spontanea iniziativa di parlare con quel tono e con quel lessico così impostati?

I due uomini, comunque, sembrarono gradire il contegno della novizia, perché annuirono e arricciarono le labbra in quel sorriso forzato che doveva costar loro una grandissima fatica.

«Lord Hemsworth si trova invero presso la nostra sacra sede,» rispose il paladino rasato. «Ahimè, è al momento occupato in un importante incontro con le alte cariche della chiesa di Galadar. Temo che dovrete richiedere un appuntamento e tornare un altro giorno.»

Theresa si portò la mano destra al petto e se l'appoggiò sul cuore.

«Ebbene, se le cose stanno in questo modo, è così che procederemo,» rispose.

No, invero non avrebbero proprio proceduto in quel modo! Come se avessero il tempo di stare a correre dietro all'etichetta e all'agenda di un gruppo di preti troppo zelanti.

«Scusate se mi intrometto,» disse Jacob, alzando la mano. Theresa gli scoccò un'occhiata in tralice che avrebbe spaventato pure un demone. «Ma abbiamo bisogno urgente di vedere il signor Hemsworth. È davvero importante.»

I due combattenti lo fissarono qualche istante con le labbra immobili in un'espressione neutra, poi gli rifilarono uno di questi sorrisetti stitici.

«Dobbiamo domandare il vostro perdono, ma Lord Hemsworth è proprio affaccendato in questo momento. E comunque a Richmond e nel resto dello stato della Virginia vige perfetta armonia e stabilità, tanto che la Signora dell'Equilibrio gioisce quando volge il suo sguardo in questo luogo. Che faccenda così grave e urgente potrebbe turbare le vostre menti e quelle di Lord Hemsworth?»

D'accordo, quell'incantesimo della lobotomia di massa stava iniziando a stargli sulle palle.

«Ditegli che è la presidentessa degli Stati Uniti che lo desidera,» sbottò Jacob.

Theresa mugolò sommessa nascondendosi la faccia dietro la mano e Alex mascherò una risata con un colpo di tosse repentino. Non era stata una mossa ponderata, ma era l'unico modo che avevano per smuovere le acque chete di quella conversazione a senso unico.

I due paladini si guardarono qualche secondo, poi quello biondo annuì e si voltò per imboccare l'ingresso alle sue spalle.

«L'incontro è in corso all'interno proprio in questo momento, l'ingresso è consentito in via esclusiva al corpo clericale delle chiese di Ilimroth e di Galadar,» spiegò il combattente rasato, traducendo l'espressione contrariata da Jacob.

I due fratelli e l'ex federale rimasero in attesa insieme al paladino che non perse occasione per dare inizio a una lunga discussione con Theresa relativa allo stato della chiesa organizzata e alla percezione che il popolo aveva della Signora dell'Equilibrio.

Jacob si sarebbe volentieri sparato in bocca, se soltanto quella stronza della direttrice Kennedy non gli avesse rubato la pistola: era come trovarsi costretto a fare presenza a una conferenza universitaria di una materia inutile, come la filosofia o l'algebra.

Dopo un tempo che gli sembrò infinito, il paladino riemerse dalle pesanti porte scure socchiuse accompagnato da un secondo uomo, vestito nella medesima tenuta dei combattenti della chiesa di Ilimroth. Sulla sua divisa, però, la classidra era color oro e a differenza degli altri due portava una cintura nera in vita alla quale era appeso un falcetto dalla lama ricurva arrugginita e dal manico di semplice legno chiaro.

Michael Hemsworth li fissò con penetranti pupille nere come il carbone e dall'alto del suo metro e novanta abbondante sovrastava anche la scultorea Theresa, rimasta immobile con la bocca aperta a fissare il nuovo arrivato.

«Mi hanno detto che è urgente,» disse Michael, scostandosi dalla fronte un ciuffo dei suoi lunghi capelli scuri che gli ricadevano lisci fino alle spalle.

Non sorrideva e la mascella quadrata sembrava rigida e contratta in un'espressione fin troppo ostile per gli standard di quella città. Possibile che lui fosse libero dall'incantesimo di cui aveva parlato Alex?

Theresa balbettò una parola incomprensibile, poi si schiarì la voce e riconquistò il suo contegno abituale. Era un'aspirante paladina con una morale invidiabile, ma rimaneva pur sempre un'adolescente di diciassette anni: gli uomini dal fisico prestante e dallo sguardo magnetico avrebbero sempre fatto un effetto evidente su di lei, malgrado gli addestramenti fisici e mentali a cui si era sottoposta.

«Lord Hemsworth, mi chiamo Theresa e sono qui al suo cospetto per portare alla sua attenzione un—»

«Poche chiacchiere, Theresa,» la bloccò Michael con tono duro. «Vedo che porti il simbolo di Deladan, ma posso presumere che tu sia ancora una novizia. Ora, con tutto quello che ho da fare non posso proprio permettermi di venire distratto dalle parole di una semplice novizia.»

Era ostile, ma era quasi bello incontrare una persona normale in mezzo a quell'oceano di felicità e armonia artefatta.

Il labbro inferiore di Theresa tremò e la ragazza abbassò gli occhi, incapace di proseguire nel suo discorso.

Jacob sbuffò seguendo con la coda dell'occhio Alex che si avvicinava alla sorella per proteggerla o per darle conforto silenzioso. Avevano litigato fino a poche ore prima, ma l'istinto a spalleggiarsi a vicenda non li aveva abbandonati; era quello il significato di famiglia. Avrebbe tanto voluto avere dei figli come loro.

«La presidentessa degli Stati Uniti richiede la sua presenza,» disse Jacob, spostandosi per frapporsi tra Theresa e il duro cipiglio del paladino di Ilimroth. «La faccenda è urgente ed è necessaria la sua conoscenza riguardo fenomeni ultraterreni.»

«Sono esattamente dove devo stare,» replicò Michael, incrociando le braccia sull'ampio petto. «Voi non siete ancora stati colpiti dal maleficio che impera su questa città, quindi non vi sarete accorti di quello che sta succedendo qui.»

«Lo sappiamo invece,» rispose Alex, piccato. «Una potente forma di magia circonda la testa di ogni persona che abbiamo incontrato da quando siamo arrivato a Richmond. Ma tu sei normale, come mai?»

Michael sbuffò con il naso prima di rispondere.

«Comando l'ordine dei paladini di Ilimroth; la Signora dell'Equilibrio cammina al mio fianco ogni giorno. La mia anima è salda e la mia mente non è semplice da manipolare, neanche con un incantesimo talmente potente. Sono qui per scoprire la fonte di questo sortilegio e mettere fine a questa depravazione.»

«Anche noi lo vogliamo!» esplose Theresa, facendo capolino da dietro la schiena del federale.

«E allora cosa c'entra la presidentessa?» tuonò il paladino, serrando ancor di più la mascella.

«Avrà sentito degli eventi di Elizabeth City, credo,» disse Jacob, deciso a giocarsi il tutto per tutto.

Lui inclinò il capo e lo studiò in silenzio per alcuni lunghissimi secondi.

«Mi è giunta qualche voce,» mormorò, cauto.

«Faccia allontanare i suoi uomini,» ordinò Jacob, facendo un cenno verso il paladino rasato e quello biondo, intenti ad ascoltare con espressioni vacue.

Michael esitò un momento, poi alzò la mano destra e i due uomini chinarono il capo e si ritirarono oltre le porte della chiesa.

«Noi siamo i terroristi di Elizabeth City,» annunciò Jacob, azzardando un sorriso sardonico. «Questa è la ragazza che ha ucciso il demone che si celava dietro l'identità di Andrew Cropfield.»

Il paladino scrutò Theresa a lungo. Il vociare allegro delle persone che camminavano sul marciapiede riverberava fino a loro.

L'uomo addolcì l'espressione e si aggiustò una ciocca di capelli fluenti dietro l'orecchio.

«Tu hai ucciso il demone,» ripeté, lento. «E non scorgo menzogna nelle parole del tuo amico. Un'impresa che farebbe impallidire un qualsiasi combattente della chiesa.»

Theresa chinò il capo e balbettò delle parole di ringraziamento.

«Voi avete un problema di demoni e vi portate addosso un fardello non indifferente. D'accordo, verrò a parlare con la vostra presidentessa degli Stati Uniti, ma sappiate che le vostre parole saranno soppesate.»

Appoggiò una mano sulla sommità del falcetto che portava alla cintura.

«Non da me, ma da Ilimroth, la Signora dell'Equilibrio. Sotto il suo attento occhio non esiste menzogna che possa ingannarla.»

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