Capitolo 9. Il paziente speciale

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Darren seguì Jacob su per le scale immerse nel buio; alle sue spalle sentiva i respiri affannati di Alex e i passi leggeri di Theresa.

Non era per nulla contento di come aveva gestito quella giornata: se solo si fosse imposto un po' di più con la nipote, adesso non si sarebbero ritrovati invischiati in quel casino. Però, tutto sommato, un lato positivo c'era, anche se si doveva scavare molto in fondo in quella montagna di merda per trovarne traccia.

Theresa aveva imparato sulla sua pelle che combattere per davvero non era come incrociare delle spade finte con i compagni d'allenamento, mentre Alex stava sviluppando le sue peculiari capacità. Sarebbe diventato un grandissimo cacciatore di taglie se solo avesse avuto la stessa indole di suo zio, ma era chiaro che il ragazzo non si fosse trovato a suo agio in quell'occasione, glielo si poteva leggere chiaro in volto.

Non che Darren fosse contento di vedere l'aspirante paladina sfoggiare quel viso così tirato e rattristato, ma almeno poteva dire con certezza che Theresa avrebbe ripensato a quella disavventura prima di lanciarsi in ridicoli discorsi etici e morali per poi finire a inneggiare il suo ruolo da combattente della giustizia. Non gli faceva piacere, proprio no, ma era una lezione che andava imparata. Comunque, dopo aver trovato Erika in buona salute, la nipote pareva meno abbattuta e un cipiglio di determinazione era tornato a farsi strada tra i lineamenti morbidi del suo bel viso. Nulla avrebbe potuto abbatterla in modo definitivo.

Le scale sfociarono in un corridoio avvolto nella penombra, molto simile a quelli che avevano percorso al piano terra del Sentara Albemarle. C'era silenzio, tanto che l'edificio poteva sembrare abbandonato da anni, ma sia Darren che i suoi compagni sapevano che non era così: l'ultimo membro di quella combriccola di fuorilegge si nascondeva in una stanza di quel reparto e nessuno dei presenti si sarebbe potuto dire davvero al sicuro prima di aver posto fine a quella schermaglia notturna.

Il novizio con cui avevano parlato poco prima aveva indicato la camera dove il paziente speciale era stato rinchiuso, quindi Jacob avanzava sicuro attraverso i corridoi deserti del reparto. Tutte le altre stanze che avevano superato erano vuote, forse addirittura da prima dell'arrivo del FBI e del loro paziente segreto, segno inequivocabile che l'ospedale non avesse più lo stesso giro di clientela che poteva vantare un secolo prima, quando tutto era diverso.

A prima analisi doveva sembrare un qualcosa di positivo: meno paziente significava meno persone bisognose d'aiuto. La realtà era ben diversa, invece: il costo delle cure mediche era impennato nel corso degli ultimi decenni, anche a causa dell'introduzione della magia applicata alla sanità privata. Le persone che potevano permettersi un'assicurazione sanitaria degna di quel nome erano pochissime e persino tra quei pochi eletti c'era chi non riusciva a far fronte alle spese di un intervento sanitario magico, erogato dai sacerdoti del dio della vita che stanziavano in gran parte degli ospedali della nazione. La crisi del lavoro, il crollo degli stipendi medi e la recessione avvenuta negli ultimi cinquant'anni non avevano certo aiutato la gente meno fortunata a non doversi preoccupare della propria salute. Per quanto le cose fossero in lieve miglioramento grazie alle politiche interne della presidentessa Lawson, la crisi era ben lontana dall'essere passata.

E pensare che esisteva gente come Jacob metteva ancora di più il nervoso addosso al mezzelfo. Seguivano le stupide regole pedissequamente, senza questionare nulla, senza un briciolo di critica costruttiva! Poco importava a loro che alcuni leggi fossero state introdotte con il chiaro scopo di mantenere un monopolio statale su determinate realtà; poco importava che la gente soffriva e faticava a vivere in modo decente. Jacob e tutti i suoi colleghi non erano altro che poveri automi, educati soltanto a percorrere la strada che qualcuno aveva tracciato per loro. Osservandoli da quel punto di vista si poteva dire che fossero i più sfortunati di tutti.

Il federale si bloccò di scatto e alzò la mano in un eloquente gesto. Indicò la porta in fondo al corridoio cieco, unico sbocco di quel lungo passaggio silenzioso e cupo.

Avevano raggiunto la loro metà: la stanza del paziente speciale.

Darren si portò una mano alla cintura e sganciò il coltello e nello stesso istante Jacob estrasse dalla fondina la pistola. Sentì Theresa, alle sue spalle, estrarre lentamente la spada che strisciò contro il bordo del fodero, mentre il respiro di Alex si faceva più veloce e intenso. Bene: non avrebbe mai dovuto dimenticare che sapore avesse la paura davanti a un combattimento.

Portarono a termine gli ultimi metri che li separavano dalla soglia e l'agente del FBI appoggiò la mano libera sulla maniglia, abbassandola di qualche centimetro.

«Entrate a vostro rischio e pericolo,» annunciò una voce dall'altra parte del liscio pannello di compensato.

Il movimento di Jacob s'interruppe di scatto e Darren vide con la coda dell'occhio Alex sobbalzare. Beh, era chiaro che fossero attesi: non avevano agito in modo furtivo e l'ultima sparatoria contro il mezzorco al piano di sotto doveva essere risuonata in tutto l'ospedale. Era strano che il capo di quel gruppo di briganti non avesse già ucciso il suo ostaggio e non se la fosse data a gambe; che cosa lo tratteneva ancora lì? Davvero pensava di poter tenere testa a tutti loro da solo?

«FBI,» annunciò Jacob, con le dita sempre serrate intorno alla maniglia. «Cessate ogni ostilità, arrendetevi e uscite con le mani bene in vista.»

L'interlocutore all'interno della stanza ridacchiò.

«Ho già avuto a che fare con l'FBI, non mi spaventa un agente solitario,» replicò. «A maggior ragione nella situazione in cui mi trovo: ho due ostaggi, li ammazzo se osate aprire quella porta.»

Darren notò uno spasmo di nervosismo attraversare le dita contratte dell'agente federale.

«Ragiona,» disse Jacob, dopo essersi schiarito la voce. «Non puoi rimanere chiuso lì dentro per sempre. Tra qualche ora questo posto pullulerà di polizia e il Bureau manderà altri agenti quando verrà a sapere cos'avete fatto. Arrenditi, è finita.»

«Nessuno oserà farmi nulla finché tengo per le palle i miei ostaggi,» rispose l'uomo. «Che deficienti! Non avete la minima idea di cosa io abbia per le mani.»

Darren si accostò alla porta con passo felpato e appoggiò le spalle alla parete, sforzandosi di percepire ogni singolo rumore fuori dall'ordinario proveniente dall'interno della camera. Su una cosa quel tizio aveva ragione: non avevano abbastanza informazioni. Oltre quella porta con il capo dei tagliagole c'era il primario dell'ospedale, ma il mezzelfo aveva forti sospetti che anche il paziente misterioso lì custodito dovesse avere una certa importanza: era arrivato con un plotone di agenti federali e un'intera struttura sanitaria era stata sequestrata soltanto per lui. Non andava bene così, non sapevano abbastanza. Il loro avversario aveva più informazioni di loro ed era in una posizione di netto vantaggio.

«Così non va, Jacob,» sussurrò Darren, avvicinandosi al federale. «Siamo in uno stallo, devi ribaltare la situazione in qualche modo.»

Lui gli elargì un'occhiata infuocata prima di riprendere nel suo vano tentativo di negoziazione.

«Facci entrare e parliamone faccia a faccia,» incalzò, voltandosi a guardare per un istante Alex. «Entreremo disarmati, lo prometto.»

Darren inclinò gli angoli della bocca e fece schioccare la lingua. Da una parte lo infastidiva il fatto di non aver avuto quell'idea prima del federale; d'altro canto, però, non avrebbe mai messo in pericolo Alex, non di nuovo. Infilarlo in quella camera insieme a un pazzo criminale sarebbe stato forse troppo per i nervi già provati del ragazzo; oltretutto, nessuno di loro poteva sapere quando sarebbe arrivato al limite. Darren era un cacciatore di taglie, non un mago: non riusciva neanche a immaginare quanto sforzo mentale e fisico fosse necessario ad Alex per mettere in moto le sue capacità. Era un piano troppo rischioso, ecco perché la sua mente rapida e flessibile non l'aveva contemplato fin da subito.

Il mezzelfo appoggiò il palmo sull'avambraccio del federale e alzò le sopracciglia, scuotendo lentamente il capo in un tacito segno di dissenso. In risposta, Jacob inclinò la testa e indicò Alex che sgranò gli occhi e si guardò intorno, teso.

«Pensate che sia un coglione?» chiese il bandito dall'altro lato della porta. «Appena entrerete mi sparerete addosso come avete fatto con i miei uomini.»

«Non metterei mai in pericolo degli innocenti,» ribatté Jacob in tono fermo. «Fammi aprire la porta, così ci vedrai entrare disarmati.»

Seguì qualche istante di silenzio teso.

«Lo sapete che se entrate qui dentro non vi farò più uscire, vero?» domandò l'uomo, ma la sua voce aveva assunto un timbro differente. Stava forse cedendo?

«Questo lo vedremo; sono convinto che riusciremo a trovare un accordo,» replicò il federale. Fece passare gli occhi su Darren, Alex e Theresa e annuì, energico. «Sto appoggiando la mia pistola a terra.»

Dannata testa di cazzo. Li avrebbe portati tutti quanti verso morte certa! Eppure avrebbe dovuto sapere che non era possibile ragionare con persone del genere. Darren ne aveva visti tanti di autoproclamati capi di bande criminali: uno più pazzo dell'altro, ritrovavano la loro maggior qualifica nel numero di persone a cui avevano tolto la vita. Non c'era onore tra i ladri, e Jacob l'avrebbe scoperto a breve. Non sulla pelle dei suoi nipoti, sperò Darren.

Facendo un tsk contrariato, Darren rinfoderò il coltello e si slacciò la cintura a cui era legato il fodero di cuoio e il supporto di alcuni piccoli coltelli da lancio. Si soffermò sulla borsa che portava a tracolla, ma fece spallucce e la lasciò al suo posto: a qualsiasi occhio esterno sarebbe potuta sembrare una banalissima borsa da viaggio, nessuno avrebbe potuto immaginare le sue proprietà magiche e i trucchi che il cacciatore di taglie nascondeva all'interno. Si stava buttando in un vespaio, una minima garanzia di successo era d'obbligo.

Lasciò cadere la cintura e le lame tintinnarono quando incontrarono il pavimento. Anche Theresa, seppur con il viso tirato dalla preoccupazione, si chinò per appoggiare a terra la sua innocua spada. Alex aveva ricominciato a sudare e stava lasciando liberi gli occhi di correre dalla porta all'agente del FBI, in un evidente stato di tensione e nervosismo.

Darren non avrebbe mai voluto metterlo in quella situazione, ma ormai erano in ballo e anche il nipote avrebbe dovuto fare la sua parte. Non aveva mai fallito un incarico, era sicuro che tutto si sarebbe risolto al meglio se avesse dimostrato la sua solita calma e il suo autocontrollo analitico. Avrebbe riportato i suoi nipoti fuori da quell'ospedale, si sarebbero fatti una dormita di dodici ore e poi sarebbero ripartiti per Miami, senza più sentir parlare di antiche armi risvegliate, di cittadine distrutte e di medici presi in ostaggio.

E, cosa principale, non avrebbe mai più lasciato libera scelta a Theresa sulle tappe di un prossimo viaggio.

Il suono di passi strascicati si fece più vicino alla porta e Jacob indietreggiò di qualche centimetro; la maniglia si abbassò e uno spiraglio si aprì tra il battente e il telaio, lasciando filtrare una lama di luce proveniente dall'interno. Sulla porta si stagliava un uomo sui cinquant'anni, con il mento coperto da una barba grigia ben curata e un'evidente espressione turbata che gli campeggiava sul viso stanco, marchiato da pesanti borse sotto gli occhi. A Darren bastò un veloce sguardo ai suoi abiti per identificarlo subito come il primario, George Kendrick.

«Se fate qualcosa di strano gli pianto una pallottola nella schiena,» urlò la voce di prima, da un punto invisibile oltre l'accesso. «Entrate con le mani bene in vista.»

Il primario li scrutò senza dire nulla. Non che ce ne fosse bisogno, la sua faccia era fin troppo eloquente: era preoccupato a morte, di sicuro non solo per sé stesso.

Jacob fu il primo ad avanzare. Prima di seguirlo, Darren regalò un sorriso confidente a Theresa e Alex, senza però ricevere nulla in cambio se non vaghe espressioni turbate. Era stata una notte davvero difficile per loro e non erano abituato a quel genere di emozioni. Ci avrebbero messo qualche giorno per tornare quelli di prima.

La stanza era molto più grande di quelle che avevano visto al piano di sotto, malgrado la tenda verde tirata a tagliare la lunghezza dell'ambiente. Due file di finestre si aprivano sulla parete opposta all'ingresso e il ticchettio della pioggerellina che sbatteva contro i vetri riverberava all'interno, quasi seguendo il tremolio del paio di lanterne a olio appoggiate su delle mensole, uniche fonti di luce. La porzione visibile della camera era occupata da un paio di sedie, un tavolino piazzato al centro e un armadio bianco e sterile appoggiato nell'angolo; il classico letto da ospedale doveva trovarsi nascosto dalla tenda e, con esso, il misterioso paziente speciale.

Edgar Allan, così si chiamava il capo dei banditi che aveva assalito l'ospedale, era seduto a gambe incrociate su una delle sedie e teneva un grosso revolver puntato contro la schiena del primario. L'arma era malconcia e sporca, versava in uno stato di cattiva manutenzione e Darren si sarebbe stupito di vederla esplodere un colpo senza cadere in pezzi. L'uomo che la impugnava, invece, esibiva un volto sorridente incorniciato da delle basette castane ben curate che si allacciavano a una barbetta fine; portava i capelli lunghi tirati all'indietro e l'abito elegante che sfoggiava lasciava ben intendere dove andasse a finire gran parte dei proventi della vita criminale che conduceva. Ne aveva visti tanti di ladri del genere: prendevano ciò che altre persone si erano guadagnate con il sudore della fronte e lo sperperavano per sé stessi, convinti di poter sembrare uomini di alto rango. Feccia, nient'altro che lurida feccia.

Edgar attese che tutti e quattro i suoi nuovi ospiti fossero entrati, poi fece un cenno con la pistola e George Kendrick si mosse per richiudere l'uscio alle loro spalle. Si muoveva lento e in modo meccanico, terrorizzato dall'arma da fuoco rivolta verso di lui.

«Il signor Allan, presumo,» disse Jacob, analizzando la sorridente figura del brigante.

«Presente,» rispose lui, toccandosi la tempia in un gesto di saluto da vero sbruffone. «Da quando l'FBI collabora con i ragazzini? Siete conciati proprio male a Washington, eh?»

Theresa schiuse le labbra e fece per ribattere, ma Alex le afferrò l'avambraccio appena in tempo per impedirle di dire qualche cazzata. La situazione era già abbastanza complicata senza che si aggiungesse anche lei.

«Penso che tu non abbia ancora realizzato la condizione in cui ti trovi,» rispose Jacob, incrociando le braccia sul petto per darsi un'aria autoritaria. «Sei da solo, i tuoi uomini sono stati catturati o uccisi. Arrenditi e potrei mettere una buona parola per te.»

Edgar ridacchiò e si grattò la guancia con la canna della pistola.

«Dimmi: quanto guadagna un agente del FBI?» chiese, cambiando posizione sulla sedia e protendendo il busto in avanti.

Jacob alzò gli occhi al soffitto.

«Abbastanza da essere immune ai ricatti degli avanzi di galera come te,» replicò perentorio.

«Già, lo immaginavo,» mormorò Edgar, annuendo. «Ma se ti dicessi che i tuoi capi stanno nascondendo qualcosa? Qualcosa di davvero grosso che potrebbe cambiare gli equilibri della nazione? La tua fedeltà va agli Stati Uniti d'America o al Bureau?»

«Non sei il primo idiota che millanta cospirazioni con cui ho avuto a che fare.» Il volto del federale si accese di un sorrisino lugubre. «Voi siete i peggiori: siete davvero convinti di agire per il bene della nazione e del popolo. La realtà è che venderesti tua madre per ricavarne un guadagno.»

Gli puntò il dito addosso e il sorriso si tramutò in una smorfia di disgusto. Sembrava aver appena mangiato delle cervella crude tanto il viso era contratto, e Darren non si sarebbe affatto stupito se avesse iniziato a vomitare bile davanti a tutti.

«Non osare mettermi al tuo livello,» proseguì Jacob. «Adesso getta la pistola e arrenditi, questa cazzata che hai fatto si è protratta fin troppo.»

Edgar sospirò e tornò ad appoggiare il busto minuto allo schienale. La sua arma consunta, però, era sempre alzata contro di loro e il suo dito appoggiato sul grilletto.

Sarebbe stato bello riuscire a risolvere quel conflitto a parole, ma quella già flebile speranza stava sfumando via dalle dita di Darren ogni secondo che passava. Ancora di più a causa del pessimo temperamento del federale: gli erano bastati pochi attimi e aveva già abbandonato l'atteggiamento da ponderato negoziatore che avrebbe dovuto esibire in una situazione come quella. Che cazzo insegnavano a Quantico? A insultare i criminali squilibrati per farli incazzare ancora di più? Avrebbe tanto voluto tirargli uno schiaffo sul collo e prendere in mano la situazione. Se non ci fossero state di mezzo le vite di Alex e Theresa avrebbe corso il rischio, forse. Si stava proprio rammollendo.

«Va bene,» annunciò Edgar, ma non abbassò la pistola. La puntò invece verso la tenda tirata a coprire l'altra metà della camera. «Avanti, andate a prendere il paziente speciale. Così me l'hanno presentato. Altro che speciale, cazzo.»

Rimase scoperto solo per un battito di ciglia e Darren non fu abbastanza pronto per cogliere l'occasione; il criminale in completo elegante spostò di nuovo l'arma contro il primario e mosse le spalle, noncurante.

«Paziente speciale, come no,» ripeté, scuotendo la testa con estrema lentezza.

Jacob fece passare un paio di volte lo sguardo da Edgar alla tenda e viceversa.

«Dopo abbasserai l'arma e ti arrenderai,» annunciò.

Edgar fece spallucce, di nuovo.

«Dopo vorrai farmi tante domande e scommetto che sarai incline ad ascoltare le mie proposte,» ribatté.

«Certo, sognatelo,» mugugnò Jacob, incamminandosi verso la tenda.

«Aspettate!» esclamò il primario, spostandosi in avanti per frapporsi tra il federale e la sua meta.

«Non ti immischiare, prete del cazzo, o ti spacco in due la testa!» urlò Edgar, alzandosi in piedi e stendendo il braccio per minacciarlo direttamente con la pistola.

Theresa soffocò un gridolino e Alex assottigliò le palpebre; Darren lo aveva già visto così: era l'espressione che assumeva quando si preparava a rilasciare la sua capacità.

Il mezzelfo si limitò a serrare i pugni e preparare i muscoli a scattare in avanti. Sperava che non ce ne fosse bisogno, ma quella faccenda stava degenerando in modo ormai irrimediabile.

«Silenzio!» tuonò Jacob, alzando entrambe le braccia e piazzandosi a mo' di scudo umano tra il primario e la pistola del pericoloso brigante. Dimostrando un impressionante sangue freddo, si voltò verso il sacerdote di Galadar e aggiunse: «Sono un funzionario delle forze dell'ordine. Si sposti o dovrò arrestare anche lei.»

«Quello che c'è oltre quella tenda non cambierà nulla,» disse George Kendrick, sudato e pallido in viso. «La prego di ragionare con la sua testa, agente, e non con quella di quest'uomo.»

«Ti ho detto di spostarti!» ringhiò Jacob, appoggiando una mano sulla spalla del primario per scostarlo di lato in malo modo. Darren era sicuro che il federale avrebbe usato la pistola se solo non l'avesse abbandonata nel corridoio.

Ignorando il sacerdote che incespicava e quasi rovinava a terra, l'agente del FBI colmò in due passi la distanza che lo separava dalla tenda; afferrò un lembo e strattonò verso sinistra, lasciando slittare i perni metallici per rivelare ciò che il tessuto verdognolo nascondeva.

Non c'era molto nella modesta porzione di camera che era stata rivelata, solo un letto con la testiera appoggiata alla parete e un comodino nell'angolo. Ma fu la persona che giaceva addormentata sul materasso che fece sussultare il cuore di Darren.

Fu come se qualcuno l'avesse preso di peso e buttato di faccia in un lago ghiacciato; si sentì le ginocchia tremare come la prima volta che aveva sentito un proiettile fischiargli accanto alla guancia. Spalancò la bocca e indietreggiò fino a toccare con le spalle la parete. Avrebbe davvero voluto chiudere gli occhi, riaprirli e ritrovarsi nel piccolo hotel di South Mills che avevano lasciato quella mattina. Cazzo, sarebbe stato incredibile anche come sogno.

«Dimmi che non è vero,» squittì Theresa, coprendosi la bocca con entrambe le mani. I suoi grossi occhi si erano fatti ancora più giganteschi, fissi sul volto della donna che occupava il letto a qualche metro da lei, il volto che nessun cittadino degli Stati Uniti d'America avrebbe potuto confondere.

«Che cazzo vuol dire?» bisbigliò Jacob, girandosi lentamente verso il sorridente Edgar Allan. I bulbi oculari del federale avrebbero potuto emanare luce propria tanto scintillavano di rabbia.

Edgar alzò il palmo della mano libera e indicò il letto.

«Il paziente speciale,» rispose, incapace di nascondere quell'ingombrante ghigno sornione. «Adesso volete ascoltare la mia proposta, vero?»

In realtà, Darren voleva soltanto imboccare la porta, lasciare quell'ospedale maledetto e cavalcare fino allo sfinimento o finché non avesse raggiunto la stazione più vicina, poi mettere i suoi nipoti sul primo treno per Filadelfia e dimenticare per sempre quella giornata di merda. No, non voleva proprio sapere più nulla di tutta quella faccenda! Era complicata già prima che... prima che ci fosse di mezzo lei.

Jacob continuò a incenerire con lo sguardo il capo della banda criminale, che scrollò le spalle e cambiò posizione sulla sua sedia.

«Ero a Elizabeth City di passaggio, qualche giorno fa,» iniziò, accavallando le gambe come un ricco membro dell'alta società a una serata di gala. «Avevamo degli affari da sbrigare prima di muoverci verso ovest. Una sera stavo bevendo una birra con il mio vice in un baretto vicino all'università, quando ci si avvicina una gnoma.»

«Una gnoma?» lo interruppe Alex, a mezza voce e con lo sguardo perplesso.

«Sì, uno gnomo femmina. Sai, con le tette e i capelli lunghi, ma molto bassa,» rispose lui, guadagnandosi un basso ringhio da parte di Jacob. «Non era neanche male, probabilmente ci avrei anche potuto provare con qualche birra in più. Purtroppo non era in cerca di compagnia, ma di una figura professionale: mi ha detto che mi avrebbe pagato diecimila dollari per infiltrarci qui dentro la notte tra il 12 e il 13 giugno e rapire un paziente speciale che era tenuto in custodia in questa stanza.»

«Ci stai dicendo un grandissimo mucchio di stronzate,» replicò Jacob. Era fuori di sé e aveva la sclera arrossata e pervasa da minuscoli capillari scarlatti.

«No,» disse Alex, abbassando il mento e guardandosi in tralice la spalla. «No, dice la verità.»

Edgar puntò il dito contro di lui e annuì vigorosamente.

«Il cicciotto ha ragione: non dico cazzate,» disse con voce ferma. «Ero dubbioso anch'io, lo ammetto, e mi sono convinto soltanto quando mi ha sventolato sotto il naso una mazzetta di banconote. Tremila dollari d'anticipo, il resto alla consegna. Sono un gran bel mucchio di soldi, diecimila dollari; come rifiutare?»

Il primario si asciugò un rivolo di sudore che gli stava attraversando la fronte.

«Ci ha riempito di dettagli: ci ha detto che camera cercare, ci ha avvisati che avremmo dovuto aspettare un orario preciso, ci ha persino elencato che tipo di resistenza avremmo trovato.»

Più Edgar proseguiva con il suo racconto, più lo stomaco di Darren turbinava a velocità crescente. Era la storia più folle del mondo, ma era tutto fottutamente vero! E la dimostrazione era in quel letto.

«Quindi l'abbiamo fatto,» continuò il criminale. «All'ora prestabilita ci siamo mossi. Abbiamo sentito l'esplosione e visto quella fortissima luce, ma noi siamo professionisti e non ci siamo lasciati distrarre. Siamo entrati dalla porta di servizio, abbiamo sistemato i pochi agenti federali che erano rimasti e chiuso medici e pazienti da qualche parte. Poi siamo arrivati qui e... meraviglia! Il paziente speciale!»

Esplose in una risata di pancia.

«Cazzo, secondo voi vale diecimila dollari?» chiese, indicando il letto. «Sono stato fregato, ovvio! Per rapire una persona del genere avrebbero dovuto offrirmi qualche milione. Quindi ho deciso che non mi andava di venire truffato; ho inviato uno dei miei uomini in città con l'ordine di presentarsi all'appuntamento stabilito con la gnoma e pretendere i soldi giusti per il lavoro, nel frattempo avrei tenuto in ostaggio questo posto.»

«Pensavi davvero di poterti rinchiudere qua dentro a lungo?» chiese Jacob, scuro in viso. «Dopo aver visto lei? Sei davvero un povero idiota, ma un povero idiota molto fortunato. Se non fossimo arrivati noi, ti saresti ritrovato l'esercito addosso al culo entro qualche ora.»

«E avreste rischiato di mettere in pericolo la sua vita?» ribatté Edgar. «La vita della persona più importante del paese dipende dal dito che ho appoggiato sul grilletto. No, mio caro: sono seduto accanto a un caveau pieno di lingotti d'oro e non me ne andrò senza la mia ricompensa.»

Spostò la pistola e la puntò contro il paziente speciale, immobile sul suo letto, ignara di ciò che le stava accadendo intorno.

«Quindi ecco la mia offerta: noi cinque ce ne andiamo con l'ostaggio, ci facciamo pagare il giusto e darò a voi pezzenti una parte della ricompensa. Ne avrete abbastanza per vivere da nababbi perꟷ»

All'improvviso, Edgar rovesciò gli occhi all'indietro, le braccia gli cedettero e le dita persero la presa sul calcio della pistola. In un battito di ciglia, il criminale si era accasciato contro lo schienale e aveva iniziato a russare con la bocca spalancata.

«Mi ero stufato,» disse Alex, massaggiandosi la tempia con i polpastrelli. «In realtà stava iniziando a convincermi e non volevo correre il rischio di fare la scelta sbagliata.»

Theresa aggrottò la fronte e tirò al fratello un sonoro scappellotto sul collo.

Darren rilassò il petto e gli sembrò di tornare a respirare soltanto in quell'istante, come se fosse appena emerso da una sessione d'apnea lunga decine di minuti. Non erano più sotto tiro per mano di quel pazzoide, ma c'era un problema enorme da risolvere.

Si avvicinò a Jacob e, insieme, rimasero a osservare la donna immobile che stava sdraiata sul letto. Theresa gli si affiancò qualche attimo più tardi, dopo aver redarguito con voce squillante Alex per aver anche solo pensato all'offerta di quel criminale senza morale.

«Zio, è davvero...» chiese lei, coprendosi di nuovo le labbra, come in preda a un forte spavento.

La donna era vestita con una semplice tuta color crema e una maglietta bianca aderente che lasciava risaltare il seno e l'addome; era magra, troppo, segno evidente che soffriva di denutrizione e che era tenuta in quello stato comatoso da chissà quanto tempo. Anche il volto pareva emaciato, anche se non aveva perso la morbidezza dei lineamenti, accentuati ancora di più dal pallore della pelle e dalle ombre disegnate dalla fioca luce delle lampade. La corona di capelli ramati che le incorniciava il bel viso, unita al grazioso naso leggermente all'insù, contribuiva a rendere il paziente speciale una delle donne più belle che Darren avesse mai visto in vita sua.

Vederla dal vivo, con il viso pulito e non coperto di trucco, faceva un effetto del tutto diverso.

Già, era una donna davvero meravigliosa. Tanto bella quanto pericolosa.

Amanda Lawson dormiva quieta davanti a lui, il seno che si alzava e si abbassava seguendo il placido ritmo del suo respiro.

Darren avrebbe dato tutto ciò che aveva per districarsi da quella situazione: erano andati ad aiutare dei dottori ed erano finiti coinvolti in quello che sembrava a tutti gli effetti il rapimento del presidente degli Stati Uniti d'America.

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