Capitolo 5. Il mausoleo (2)

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«Dov'è tua sorella?» chiese Alexander in un sibilo.

Alexia non si era presentata alla funzione e non si era fatta vedere neanche durante il resto della giornata. Allo stesso modo mancava anche Arthur, e David si era fatto un'idea piuttosto precisa su dove la stupida sorella potesse essere andata. Non sarebbe stata una mossa astuta mentire a suo padre, l'avrebbe capito subito e, comunque, non aveva alcun senso neanche proteggere Alexia: aveva fatto la sua scelta e ne avrebbe pagato le conseguenze, com'era giusto.

«Credo che sia già partita con Arthur alla ricerca di Justin,» rispose David, appoggiando una mano sulla superficie laccata della bara della moglie.

Alexander soffocò un moto di stizza, ma voltò con un movimento secco la testa verso di lui.

«Alexia è una deficiente,» mormorò con rabbia, ma c'era una nota sommessa nella sua voce che poteva sembrare quasi orgoglio represso. «Ci ha fatto fare una figura di merda immensa davanti agli altri. Verrà punita per questo affronto.»

David sapeva che era vero, dopotutto Alexander non era il tipico vecchio cane che abbaiava e non mordeva: lui parlava e, alle parole, faceva sempre seguire i fatti tangibili. Eppure, in fondo, sotto quelle dure parole, David era sicuro che suo padre fosse gonfio d'orgoglio per il comportamento riprovevole della figlia. Lui adorava Alexia, perché era come lui da giovane.

«Possiamo procedere, papà?» chiese David. All'improvviso si sentì stanco per quella giornata e la costante vicinanza con il feretro della donna che l'aveva accompagnato negli ultimi anni di vita quasi lo schiacciò.

Aveva amato Martha? No, ovviamente. Dopo quello che in famiglia avevano chiamato "l'incidente di Sheila", Alexander si era premurato di trovare una nuova consorte meritevole per suo figlio, e David non aveva ribattuto, né si era opposto alla cosa. Dopo Sheila non aveva più senso fare nulla; a che valeva lottare? A che serviva consumare le forze nel tentativo di sfondare un'immensa barriera secolare? Se si fosse ribellato al volere del padre, avrebbe rischiato che le conseguenze delle sue decisioni si abbattessero su altre persone, e non voleva che nessuno soffrisse per causa sua. Non più, con Sheila era già stato troppo. Troppo doloroso. Troppo orribile.

Non aveva mai amato Martha, ma era stata una compagna piacevole. Lei, nel profondo, era una persona orribile e malvagia che pensava soltanto al tornaconto personale, ma con lui si comportava sempre in modo affabile e gentile, forse credendo che a lui non importasse il modo in cui tormentava Justin ogni giorno. No, David non aveva mai creduto che lei lo amasse davvero o che provasse qualcosa di concreto per lui, era anzi sicuro che il suo atteggiamento fosse l'ennesima recita volta a farsi benvolere da chi importava in famiglia; eppure, malgrado lo sapesse, non era brutto stare con lei, e saperla all'interno di quella sterile bara di legno per l'eternità lo travolse come una valanga d'acqua gelida. Ci aveva provato a non far soffrire più nessuno, ma non c'era riuscito. Intorno a sé aveva solo infelicità e dolore, e sopra quell'oceano salato di lacrime e sangue torreggiavano gli orribili occhi di suo padre: controllavano e verificavano che tutto andasse come lui desiderava. Ed era così, perché tutto procedeva sempre secondo i suoi piani, perché il volere di Alexander Maverick era legge e persino la realtà stessa si piegava ai suoi desideri.

L'anziano capostipite annuì con aria grave, poi oltrepassò la bara e si fermò davanti alle pesanti porte di metallo serrate che conducevano all'interno del mausoleo. David sentì i passi di Jacob percorrere i gradini dietro di lui, ma non si voltò a cercarlo. Tutti gli altri partecipanti erano rimasti fermi a osservare i movimenti del capofamiglia, che aveva alzato le braccia e rivolto i palmi verso l'ingresso. I mastodontici battenti si mossero con esasperante lentezza e l'unico suono che non veniva coperto dal ticchettio della pioggia sul marmo era il fastidioso cigolio dei secolari cardini che ruotavano su sé stessi.

Solo quando le porte si furono spalancate, David si mise in marcia. Richiamare la magia, per lui, era un riflesso naturale, un po' come lo era respirare o sbattere le palpebre; non doveva né pronunciare le formule nella loro lingua arcaica, né figurarsi nella testa i glifi appartenenti a quel perduto popolo che aveva gettato le fondamenta per la loro tradizione arcana: semplicemente pensava a ciò che desiderava e la magia rispondeva. Era il frutto di decenni di addestramento, ciò che aveva guadagnato quando aveva deciso di essere un Maverick. Il feretro di Martha si alzò dal terreno e prese a fluttuare nell'aria, e David iniziò a camminare verso l'interno del santuario, seguito dal suo silenzioso figlio.

Jacob si era comportato in maniera esemplare: non aveva parlato, non aveva versato una singola lacrima; si limitava a mantenere uno sguardo ricolmo di contegno e di tacita sofferenza. Non c'era dubbio che fosse lui, in tutta la famiglia, quello che amava Martha più di tutti. Si somigliavano, David e Jacob; si poteva dire che il figlio avesse ereditato dal padre molti più tratti di quanti ne avesse presi da Martha: a un osservatore esterno, il più giovane dei figli di David pareva una fotocopia del genitore, ma con i capelli più chiari e il mento rubato alla madre. Proprio l'opposto di Justin, che di David aveva preso la forma del naso e nient'altro. Justin era la fotocopia maschile di Sheila, e guardarlo in faccia era come strapparsi la sutura da una ferita appena richiusa.

Tre generazioni di Maverick oltrepassarono il portone e si ritrovarono all'interno della sala principale del mausoleo. L'interno ricalcava alla perfezione la pianta esterna: il luogo di sepoltura della famiglia era composto da un unico salone a pianta rotonda che si innalzava verso l'alto per metri e metri, fino a raggiungere la sommità della costruzione; brevi finestre composte da vetri opachi intervallavano file e file di opulenti sarcofagi di marmo candido, posti su nicchie scavate a distanza e altezza regolare lungo tutta la parete che chiudeva la sala. L'illuminazione era fioca e l'interno era gelido, si respirava odore di umido e di antico, come quando si entra nel negozio di un vecchio rigattiere di periferia. Al centro, sul pavimento lavorato a mosaico dai colori slavati, poggiava un unico blocco di marmo grezzo.

David alzò la mano, sotto l'attento sguardo del padre, e lasciò che la magia fluisse attraverso l'aria; arrivò ad accarezzare la gelida estensione del marmo e iniziò a intaccarla, inviando schegge di potere arcano attraverso quel nobile materiale, distruggendo i collegamenti atomici e rimodellandone la superficie e la densità, come se fosse pasta frolla fresca. Il blocco di pietra si deformò e si compresse su sé stesso, pareva quasi aver assunto forma liquida tanto erano fluidi i movimenti e il suo ondeggiare nell'aria.

Come un abile scultore, David disegnò nella mente ciò che voleva realizzare e la magia fece il resto. Gli spigoli si smussarono e si allargarono, e il cubo di marmo assunse una forma allungata e rettangolare; una voragine si aprì al suo interno e sull'esterno, lungo i bordi, si disegnarono complicate decorazioni a foggia floreale. Come ultimo ritocco, una porzione di pietra si staccò dal resto e andò a formare un semplice coperchio che si appoggiò delicatamente sul sarcofago che si era appena formato davanti agli occhi dei tre Maverick. Il luogo di sepoltura di Martha era pronto, ma mancava un ultimo dettaglio.

Jacob si allontanò da David, lasciando scivolare la mano sulla bara ancora bagnata della madre, e si accostò al grosso sarcofago. Dopo aver esitato qualche istante, appoggiò un dito sul marmo e iniziò a mormorare le arcaiche parole di un incantesimo che avrebbe modellato la roccia. Sulla superficie, al centro del coperchio, una mano invisibile iniziò a tracciare dei solchi nel duro materiale, fino a formare un bassorilievo che ritraeva il volto di Martha. Sotto la scultura apparve l'incisione del nome completo, insieme alla data di nascita e di trapasso.

Il ragazzo si sistemò la giacca scura e ritornò a grandi passi al fianco del padre, a testa china, forse convinto che così nessuno si sarebbe accorto che stava piangendo.

Insieme, Alexander e David, alzarono di nuovo una mano e la magia risuonò intorno a loro. La bara di Martha si alzò in aria, mentre il coperchio del sarcofago slittava di lato per permettere al feretro di alloggiarsi al suo interno; con un lieve tonfo, la chiusura tornò al suo posto e uno scricchiolio flebile annunciò che il marmo si era serrato magicamente, andando così a sigillare la bara all'interno, per sempre. I due Maverick, insieme, alzarono in volo il pesante sarcofago e lo appoggiarono su una delle nicchie libere più un basso. Senza aggiungere nulla, tutti e tre si girarono e lasciarono Martha al suo eterno riposo, insieme a tanti altri Maverick di generazioni precedenti.

Con un gesto distratto, Alexander intimò alle porte di richiudersi alle loro spalle e, mentre David e Jacob rimanevano a guardare gli scuri battenti serrarsi con un tonfo, scese con passo rapido le scale e tornò dal resto del corteo; la pioggia era scemata nei minuti che avevano speso all'interno, tanto che adesso si poteva stare all'esterno anche senza ombrello. Tutti i presenti erano abbastanza avvezzi alle usanze della famiglia da sapere che la parte solenne della funzione era ormai finita, e alcuni conoscenti dell'anziano capofamiglia iniziarono a confabulare tra di loro con tono sommesso.

«So che è tuo figlio come me,» esordì Jacob con un filo di voce, stringendo i pugni. «Ma deve pagare per quello che ha fatto.»

Si guardava le scarpe e tremava, ma non certo per il freddo. David gli si accostò e fece quello che non aveva mai fatto in tanti anni come padre: lo abbracciò, lievemente ma con affetto, e sentì il corpo del figlio irrigidirsi sotto quell'inaspettato contatto. Avrebbe tanto voluto che nessuno di loro finisse invischiato in quella storia, ma avevano avuto la sfortuna di nascere nella stirpe sbagliata.

«Io non sono convinto che sia stato Justin,» annunciò David sottovoce, ancora stretto al figlio.

Jacob fece per ritrarsi, ma il padre strinse le braccia e lo tenne fermo sul posto.

«Ascoltami, Jacob: sta succedendo qualcosa di strano e Martha lo aveva scoperto. Conosceva qualcosa che tuo nonno sta nascondendo a tutti quanti e io credo che sia morta per questo motivo.»

Il ragazzo rilassò i muscoli e premette per allontanarsi, David lo liberò ma continuò a tenergli una mano sulla spalla e a fissarlo in quegli occhi scuri, così identici ai suoi.

«Justin è scappato e Ingrid l'ha visto con il coltello in mano,» protestò, corrugando la fronte.

«Ieri sera Ingrid era controllata mentalmente,» spiegò David. «Nessuno l'ha percepito: l'aura di magia che la permeava era ben celata, ma non abbastanza da ingannare i miei sensi. Ingrid ha pronunciato solo ciò che era stata istruita a dire.»

Jacob parve spaesato e sorpreso, tanto che non riuscì a ribattere.

«Da gennaio sono successe cose troppo strane,» continuò David, imperterrito. «Quell'incidente causato da Colin Dove ha avuto ripercussioni inquietanti: molti maghi in tutto il mondo sono morti, poi è iniziata questa strana guerra di opinioni che sta dividendo le comunità europee a metà e Alexander ha iniziato attivamente a organizzare incontri con altri esponenti di altri paesi per formare questo consiglio europeo unito. Lui non si è mai comportato così: non gli è mai interessata l'unità e l'armonia con gli altri maghi; lui vuole solo il controllo, e temo che stia per ottenerlo.»

«E la mamma cosa c'entra in tutto questo?» chiese Jacob, con gli occhi lucidi.

«Tuo nonno ha sempre avuto dei segreti, persino con la sua famiglia, e penso che tua madre avesse messo le mani su qualcosa che non doveva essere scoperto.»

«Il nonno ha ucciso la mamma?» chiese il ragazzo, spalancando gli occhi e alzando le sopracciglia. «No, non è... »

Non riuscì a completare la frase, e David annuì mesto. Anche lui, per quanto giovane, sapeva bene che era plausibile che Alexander Maverick arrivasse a uccidere addirittura un famigliare per preservare i suoi segreti e i suoi obiettivi.

«Tuo nonno ha in mente qualcosa,» continuò David. «Credo che stia usando Justin come distrazione, per allontanare l'attenzione della famiglia e dargli abbastanza spazio di manovra per completare ciò che deve fare.»

«Che cosa facciamo?» chiese Jacob.

«Tu farai ciò che devi fare: partirai e cercherai Justin, ma, quando l'avrai trovato, lo dovrai riportare da me,» spiegò David, lanciando una fugace occhiata al campanello di persone che parlava davanti alla scalinata.

«E gli altri?» chiese Jacob, nervoso.

«Sandy e Eugene odiano troppo Justin e non sentiranno ragioni. Conosco Sandy e so quanto è motivata: non perderà l'occasione per diventare il braccio destro di Alexander. Alexia... beh, lei è come papà e potrebbe arrivare a uccidere per vedere suo figlio in una posizione di rilievo. No, Jacob: tu sei l'unico di cui mi possa fidare.»

Jacob si dondolò sulle gambe, esitante, e si guardò intorno, come se stesse cercando una via di fuga da quella situazione spinosa. Poi annuì e sbuffò.

«Justin mi è sempre stato sul cazzo, papà,» esordì, serrando la mascella. «È un grandissimo stronzo e, lo dico con onestà, lo invidio perché la magia gli riesce facile come fosse nato dalla Rete stessa.»

Il cuore di David perse un battito, ma non lo diede a vedere. Solo Alexander conosceva la natura di Sheila, ma la predisposizione di Justin all'arcano non era rimasta nascosta, alla fine.

«Non sopporto Justin, ma, malgrado tutto, sopporto te.» Jacob fece un timido sorriso e David fece fatica a mantenere il suo duro contegno da genitore intransigente. «Troverò Justin, capirò che cos'è successo e lo riporterò qui. Farò del mio meglio per tenerlo lontano dagli altri e dal nonno.»

«Grazie, Jacob.» David sorrise e gli batté una debole pacca sulla spalla. Quel giorno aveva proprio dato il meglio di sé con le effusioni genitoriali.

Guardò il figlio allontanarsi per raggiungere i due gemelli e rimase immobile a fissare la sua scarna famiglia per qualche secondo. Ci mise più tempo del necessario per sentire quel lieve prurito dietro l'orecchio che, aveva imparato, gli faceva presagire che qualcuno lo stesse guardando. Spostò lo sguardo di qualche centimetro e raggelò: Alexander Maverick stava parlando coni genitori di Martha, ma i suoi occhi erano fissi su David. Non sbatteva le palpebre e non spostava le pupille: pareva un gufo infernale, un gatto appena partorito dall'inferno stesso. Li aveva sentiti parlare, ne era convinto; non sapeva come, non aveva percepito magia intorno a loro, ma aveva la certezza che l'anziano Maverick, come sempre, sapeva.

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