Chapter 8 - La Calma Prima Della Tempesta

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Non appena riuscimmo ad intravedere le mura e le porte di Alexandria, Carl virò a destra, procedendo così per circa quindici metri; alla fine giunse di fronte ad un tombino, dove mi posò lì vicino seduta per un istante per poterlo aprire.
"Per quanto rimarrò qui?" Chiese Siddiq, mentre scendeva nel tombino.
"Fino a quando non ne parlerò con mio padre." Lo rassicurò Carl, con un sorriso.
"Verremo presto, tranquillo." Tentai di rassicurarlo anch'io, mentre Carl si caricava per la milionesima volta il mio peso sulle sue spalle.
Ci dirigemmo verso le porte, la ferita che mi faceva sempre più male; lui era coperto dal sangue della carcassa su cui era finito, il viso stanco e affaticato.
"Va tutto bene?" Gli chiesi, mentre qualcuno ci apriva; lui semplicemente annuì, non aggiungendo nient'altro.
"Che vi è successo?" Chiese l'uomo che ci aveva aperto, avvicinandosi.
Mi sembrava di averlo già visto ad Alexandria, ma non mi ricordavo dove: aveva i capelli lunghi e castani che gli coprivano ai lati il viso, intervallati qua e là da qualche ciocca grigia; gli occhi verdi sembravano spenti, come se non fossero mai stati illuminati in tutta la sua vita, tranne per qualche raro periodo. La barba era brizzolata e incolta, questo perché -come tutti noi- il tempo non gli aveva dato modo di potersela tagliare; lo sguardo sembrava penetrarti fin nelle ossa, leggendoti dentro nel profondo.
"Una vecchia ferita che si è riaperta." Gli spiegò in breve Carl. "Non è che potresti aiutarla tu? Io devo fare una cosa." Gli chiese successivamente, mentre l'altro annuiva e rispondeva con un "Certo".
L'uomo mise sulle sue spalle l'altro mio braccio -quello libero-, mentre Carl scappava verso casa sua. La conversazione che avvenne nel tragitto fino all'infermeria fu composta solo dai miei gemiti ed espressioni represse di dolore. Quando fummo entrati mi posò sopra ad uno dei lettini per distendermi, per poi dirigersi verso gli scaffali a prendere l'occorrente. Precedendolo, tirai fuori l'orlo della maglia dai pantaloni, alzandola per scoprire il taglio; intanto lui si avvicinò con il necessario, togliendo le garze e le bende ormai zuppe di sangue. Il tutto fu seguito da un fischio.
"Però, è un brutto taglio." Commentò, premendo qualcosa di soffice e umido sulla ferita, non facendomi urlare per miracolo, visto che avevo stretto i denti per reprimere il grido. "Scusa," disse, smettendo per un secondo. "è del cotone con il disinfettante, brucerà un po', ma devo farlo."
Il tutto durò un paio di minuti, quando infine mi bendò con tutte le garze disinfettate e sterilizzate.
"Grazie." Mormorai con il fiatone, faticando a sedermi; infatti lui mi diede una mano.
"Di niente; mi chiamo Daryl Dixon, comunque." Si presentò, allungandomi una mano, che io strinsi debolmente.
"Piacere, io sono Gwendoline, ma preferisco Gwen." Risposi, cercando di sforzare un sorriso; in fondo era stato gentile con me, non mi aveva fatto niente.
"Come ti sei fatta il taglio?" Le chiese, iindicandolo con un gesto della mano.
"Sono caduta da un albero." Gli dissi, spiegandogli, prima che si mettesse a ridere: "Prima ero da sola, dormivo sugli alberi per sfuggire ai Vaganti."
"An, capisco." Ribattè, guardandomi con sguardo nostalgico.
"Che c'è?" Gli domandai d'istinto, tappandomi la bocca subito dopo, capendo che forse ero stata troppo diretta. "Scusa, non volevo-"
"No, tranquilla," mi rassicurò con un sorriso. "è solo che mi ricordi una ragazza che conoscevo, e che gran donna che era!" Si mise a ridere per un secondo, lasciandosi travolgere dai ricordi. "Era dolce, autonoma e coraggiosa, imprudente e un po' timida alle volte; ma io le volevo bene per questo, era come una figlia per me."
Gli strofinai un braccio, sentendo che mi stava piacendo sempre di più come persona.
Passai il resto del pomeriggio a parlare con Daryl in infermeria, fin quando non si era fatta quasi notte e Carl era venuto a dirmi che sarebbe andato da Siddiq a portargli il cibo, dopo avergli già sistemato una branda su cui dormire. Alle mie proteste -perché avrei voluto aiutare anch'io-, rispose che dovevo riposarmi, per questo non mi aveva chiamato, e non dovevo dare troppa leggerezza ad un taglio del genere, come se fosse un misero taglietto sul dito. Raggiungemmo un tombino non molto lontano dalle mura, che Carl cominciò a spostare, e non con poca fatica.
"Carl, Gwen." Ci girammo entrambi a guardare da chi provenisse la voce improvvisa, trovando Michonne con uno sguardo sollevato. "Vi stavo cercando." Si avvicinò ulteriormente a noi. "Siamo quasi pronti per andare, che fate."
"Aiuto qualcuno." Rispose Carl per entrambi, facendo prima un sospiro di sollievo. "Un viaggiatore." Non specificò il nome, rimase sul vago.
Michonne e Carl rimasero a guardarsi per un po' negli occhi, come se stessero parlando una specie di lingua muta, però che conoscevano solo loro.
"Nella fogna." Sembrava abbastanza dubbiosa lei, come se la preoccupasse ciò che lui aveva in mente.
All'improvviso si sentirono dei colpi in lontananza, provenienti dall'entrata di Alexandria; ci voltammo tutti e tre in quella direzione.
"Forse vi chiederete perché dai vostri punti di osservazione non hanno diramato l'allarme." Disse una voce a me -purtroppo- molto familiare oltre le mura, attraverso l'uso di probabilmente un megafono, facendo sussultare tutti i presenti e ribollirmi il sangue nelle vene. "Vedete, noi siamo gentili: non so quando si riprenderanno da un colpo di quel genere, ma dovrebbero riprendersi; quindi lasciamo perdere le stronzate." Scossi la testa, sussurrando il suo nome, quello di colui che avevo visto uccidere e sterminare un gruppo di persone solo perché non aveva eseguito i suoi ordini: Negan. Per quanto ci avevo, ci stessi e ci avrei provato, la sua voce non sarebbe mai scomparsa dalla mia mente, ma mi avrebbe accompagnato per il resto dei miei giorni. "Avete perso. È finita." Cercò di imprimere enfasi e paura in quelle quattro parole, tentando di diffondere terrore. "Vi metterete in fila davanti alle vostre casette e mi farete le vostre scuse; il più patetico di voi verrà ucciso. Poi io ucciderò Rick davanti a tutti. Avete tre, contateli, tre minuti per aprire il cancello, o inizieremo a bombardarvi a cazzo." Quello fu l'ultimo avvertimento, dopodichè non emise più neanche una parola.
"Sono usciti." Mormorò Michonne, ma non riuscii a capire il significato di quelle parole.
Era arrivato, così all'improvviso, un fulmine a ciel sereno.
La pace e la calma erano finite ormai.
La guerra stava solo iniziando.

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