11.

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Alice

Una ragazza con la macchina fotografica in mano si avvicina e mi chiede scusa, «Mi dispiace di avervi disturbato, ma eravate bellissimi. Le luci di Natale vi illuminavano i volti e non ho saputo resistere! Ecco guarda tu stessa», dice con un sorriso mostrandomi lo schermo. «Sembrate molto innamorati, state insieme da molto?».

Ritorno bruscamente alla realtà: sono in piazza Duomo, tra le braccia di uno sconosciuto e totalmente distaccata da qualsiasi cosa mi stia circondando.

Guardo stralunata gli occhi chiari della fotografa, «Ecco», non riesco ancora a formulare un pensiero coerente. «In realtà non ci conosciamo, io non sono fidanzata e non ho bisogno di tutto questo», gesticolo in preda all'ansia. Mi allontano ancora di qualche passo da Edoardo che finalmente distoglie lo sguardo dal mio.

Non so cosa mi sia successo, non sono una ragazza che si lascia abbindolare facilmente. Di solito ho sempre la situazione sotto controllo e riesco a razionalizzare tutto. E invece eccomi qui come una cretina con lo sguardo perso in quei pozzi chiari che sembrano carichi di chissà quali promesse future.

Noto lo sguardo dispiaciuto della ragazza e sento Edoardo intervenire. «Non preoccuparti», si rivolge a lei con un sorriso dolcissimo e imbarazzato. «Non potevi saperlo. Grazie comunque per la fotografia, è molto bella».

«Se mi lasci il contatto Facebook te la mando volentieri».

Edoardo sembra essere preso il contropiede. «Oh certo, cerca Edoardo Stigliani».

Rimango a guardarli senza più proferire parola, vorrei scappare in questo momento. Sento un leggero senso di nausea e mi manca un po' l'aria. Mi guardo intorno e cerco di allontanarmi un po', ma la mano calda di Edoardo non lascia la mia. Non mi ero nemmeno accorta che fossero ancora incastrate tra di loro e adesso non riesco a capire se la sensazione sia piacevole o meno. Tutti i suoni che prima mi sembravano distanti e ovattati sono tornati a impossessarmi dei miei sensi. Sento il freddo che mi punge le guance e le chiacchiere rumorose delle persone che passeggiano per la piazza.

Dopo qualche scambio di battute con Edoardo e alcune scuse proferite nei miei confronti, la ragazza della fotografia si allontana.

Due occhi chiari si rivolgono subito nella mia direzione. Non riesco a leggervi le emozioni che si susseguono come un tumulto e, ancora una volta, mi sento troppo esposta. La stretta della sua mano si allenta e stranamente non sento il sollievo che avrei pensato di provare una volta liberata da quella calda pressione.

Non so davvero cosa dire in questo momento e nemmeno Edoardo sembra trovare le parole giuste. Credo che stia cercando una maniera per non farmi andare via, cosa che in questo momento voglio fare con tutta me stessa. Ho vissuto per qualche istante una favola, ma ora è bene che io ritorni alla realtà. Non ho il coraggio di continuare a viverla, nonostante una parte di me mi stia urlando di provarci. Sono troppo spaventata all'idea di affidarmi a qualcuno e lasciargli carta bianca. Voglio essere io a scrivere la mia storia, voglio essere io a impugnare la penna e a scrivere il mio finale.

Prendo un respiro profondo, mi avvicino al volto del ragazzo e gli lascio un delicato bacio sulla guancia. «Grazie», sussurro appena. Lo guardo ancora una volta negli occhi e mi volto per andarmene. Non fa niente per trattenermi e io, da buona codarda, non mi giro per incrociare ancora una volta i suoi occhi. Scendo le scale della metropolitana in uno stato di trance e ringrazio il cielo notando il vagone già pronto a portarmi a casa.

Edoardo

Cazzo.

Guardo Alice che si allontana senza riuscire a muovere un muscolo. Si sta dirigendo velocemente verso le scale della metropolitana, un lembo della sua sciarpa pende sulla sua spalla e la vedo mentre cerca di sistemarsela meglio intorno al collo. Non si gira nemmeno una volta e io continuo a essere fermo sotto l'albero di Natale con il segno delle sue labbra sulla mia guancia. Il suo profumo aleggia ancora introno a me e mi sento un emerito imbecille.

Ma cosa mi è saltato in mente?

Pensavo che questo gesto eclatante l'avrebbe fatta cadere ai miei piedi? Un po' ci speravo, lo devo ammettere. Per un momento ho pensato quasi di avercela fatta: i suoi occhi erano incastrati nei miei, il suo respiro leggero accarezzava il mio volto mentre le parlavo e la sensazione della sua pelle liscia sotto la mia mano è stato qualcosa di indescrivibile. In quel momento c'eravamo solo noi due, c'ero io che provavo a convincerla a farsi conoscere e c'era lei, lei con le sue guance rosse e gli occhi profondi. Eravamo terribilmente vicini, riuscivo quasi a sentire la sensazione delle sue labbra sulle mie mentre il suo sguardo vi indugiava incerto. Per un momento ho pensato che stesse per baciarmi, sentivo il suo respiro accelerato colpirmi le guance e non vedevo l'ora che si sporgesse quel tanto che bastava. Ma poi tutto è scoppiato come una bolla di sapone e la realtà è tornata prepotente.

Lo sguardo mortificato della ragazza della foto, Alice che pronuncia quelle parole con un filo di panico nella voce – «Non ho bisogno di tutto questo», con uno sguardo quasi addolorato – il suo bacio e la fuga verso la metropolitana. Tutto è marchiato a fuoco nella mia mente. Vengo assalito da un senso di sconforto mentre guardo la piazza che mi circonda. La gente che vi passeggia non fa caso a me e non risulta essere partecipe del mio dispiacere. Lancio un'occhiata all'imponente albero che ho di fronte. Le sue luci non mi sembrano più così perfette come quando brillavano sul volto di Alice. La stessa atmosfera natalizia sembra aver perso di tono e allegria.

Il cellulare vibra nella tasca del mio cappotto. Mi affretto a prenderlo in mano sperando che sia un messaggio da parte del numero misterioso che mi ha condotto ad Alice, ma non è così. Una richiesta di amicizia campeggia sullo schermo, credo che sia la ragazza della fotografia. La accetto e subito mi arriva un messaggio: «Mi dispiace per aver interrotto qualsiasi cosa stesse succedendo, sono davvero mortificata. Appena arrivo a casa ti mando la fotografia così magari la puoi mandare alla tua bella e risolvere tutto!».

Scuoto la testa. Certo, come se mandarle la fotografia potesse aiutare in qualche maniera!

Recupero lo stereo e inizio a camminare verso casa, non ho per niente voglia di tornarci e sottopormi alle domande di Matteo e le sue sicure prese in giro per l'enorme due di picche che mi sono preso. Beh, effettivamente fossi nei suoi panni riderei anche io di me stesso: ho organizzato un ballo in piazza Duomo con una sconosciuta e sono stato rifiutato.

Ma è ormai l'ora di cena e devo ancora finire gli ultimi preparativi per il servizio di Dior che si terrà a Parigi tra qualche giorno. Quando Max me l'ha detto ho dissimulato la gioia che ho provato dietro un sorriso professionale ma, se avessi potuto, avrei urlato a squarciagola per tutto l'ufficio.

Il set verrà allestito all'interno del Louvre, sullo scalone che porta alla Nike di Samotracia, che è già suggestivo di per sé, ma il tutto sarà amplificato da giochi di luce e da una scenografia che vuole fondere insieme antico e moderno. Collaboreremo con un'azienda pubblicitaria parigina che si occupa di brand di lusso e che è solita lavorare con lo studio di Max. Insieme si sono sempre trovati benissimo e poter partecipare a una collaborazione del genere è straordinario. Ma in questo momento, non potrebbe interessarmi di meno. Stasera la strada verso casa mi sembra troppo corta e avrei bisogno di camminare ancora un po' per schiarirmi i pensieri, ma fa freddo e inizio a non sentirmi più le dita delle mani.

Mi dirigo verso casa, apro il cancello e salgo i gradini per arrivare alla porta, ma non faccio in tempo a mettere le chiavi nella toppa che la porta mi si spalanca davanti.

Matteo è evidentemente su di giri, «Allora? Come è andata? L'hai baciata? Quando vi rivedrete?».

Lo lascio farneticare mentre entro in casa e mi libero del cappotto e delle scarpe lasciandole vicino alla porta.

Mi siedo sul divano e mi copro il volto con un braccio, segno evidente che voglio essere lasciato in pace. Il mio coinquilino però non sembra cogliere il segnale e infatti mi assilla imperterrito scuotendomi per una spalla.

Sbuffo e gli lancio uno sguardo di fuoco.

«Ed, Edo, Edino, Educcio racconta al tuo fantastico coinquilino quello che vuole sentirsi dire e verrai lasciato in pace», ghigna sornione prendendo posto vicino a me sul divano. «Prometto che non ti prenderò in giro e cercherò di essere il più obiettivo possibile».

Prendo un respiro profondo e inizio il mio monologo.

«Era bellissima, l'ho vista lì, ai piedi dell'albero del Duomo. Le luci della città brillavano sul suo volto e io ero come ipnotizzato da lei. Ho fatto partire lo stereo e quando le prime note della canzone hanno incominciato a risuonare nell'aria, mi sono avvicinato e le ho chiesto di ballare. I suoi occhi hanno incrociato i miei e in quel momento tutto quello che mi circondava è sparito. Credo di aver trattenuto il respiro per un tempo che è sembrato infinito fino a quando lei non mi ha sorriso e ha accettato di ballare. Si è presentata e tutto era perfetto finché non le ho cantato l'ultima strofa di Perfecte lei si è subito chiusa a riccio. È arrossita,» scuoto la testa esterrefatto. «Chi lo fa ancora in maniera così genuina?», domando retorico a Matteo che mi sta ascoltando con interesse e con un segno del capo mi incita a continuare. «E poi si è allontanata di un passo. Ha cercato una qualche scusa per andarsene ma non gliel'ho permesso. Sono stato preso da una voglia incontrollabile di posarle una mano sul viso, per vedere se quel color cremisi fosse caldo e soffice come mi è sembrato da subito e lei me l'ha lasciato fare». Al solo racconto, sento le mani pizzicare di nuovo. Posso percepire ancora la morbidezza della sua guancia sotto ai polpastrelli. Sfrego il pollice e l'indice tra di loro e un brivido mi risale lungo la spina dorsale. Mi rendo conto di essermi perso nei miei pensieri quando Matteo mi incita a continuare, «Le ho raccontato come mi sono sentito dalla prima volta che l'ho vista, i suoi occhi non mi hanno mollato nemmeno per un secondo e sentivo il suo dolce respiro sul volto. Avrei voluto baciarla con tutte le mie forze, ma mi sono trattenuto perché non mi sembrava davvero il caso. Tutto era perfetto finché una ragazza non ha deciso di scattarci una foto: il flash ha distratto Alice e l'ha riportata lontana da me». Rabbrividisco. Non appena Alice si è allontanata, ho sentito di nuovo il freddo di Milano avvolgermi, ma non avevo lasciato la sua mano per sentire ancora un po' di quel calore che mi stava trasmettendo. Continuo a parlare per evitare di pensare troppo alle sensazioni che ho provato, «Se n'è andata così con un bacio lasciato sulla mia guancia a fior di labbra e un "grazie" appena sussurrato. Non l'ho inseguita, troppo sorpreso ancora per la sensazione delle sue labbra su di me». Fisso un punto invisibile sul muro mentre ripercorro mentalmente tutto quello che è successo. Le pareti bianche di casa mia non mi sono sembrate tanto fredde come adesso, nemmeno le fotografie che ho scattato io e che adornano il soggiorno mi danno il senso di pace e accoglienza che mi regalano ogni volta che le guardo.

«Ma come non l'hai seguita? Lo sai vero che sei un po' un coglione Edoardo? Cazzo, dovevi correrle dietro», sbotta Matteo colpendosi la fronte con una mano. Si alza dal divano mettendosi di fronte a me con uno sguardo corrucciato.

«Non voleva essere inseguita, avrei solo peggiorato la situazione», scrollo le spalle. Non mi va di continuare questa conversazione: sono stato uno stupido a organizzare tutto questo.

Matteo non sembra essere del mio stesso parere perché continua imperterrito nella sua filippica, «Non devi mollare la presa. Se quella ragazza ti interessa davvero non puoi mollare tutto. Scrivi al numero sconosciuto per organizzare un altro incontro. Cioè parliamone, cosa mai ti avrebbe spinto a un'azione così melensa e zuccherosa verso una sconosciuta se non ti interessasse così tanto?», alza la voce. «Ti conosco da una vita Edo e so che non l'avresti mai fatto per una qualsiasi».

È vero, non l'avrei fatto se non avessi pensato che ne sarebbe valsa davvero la pena. Le poche sorprese che ho fatto erano sempre per persone speciali e importanti. Che poi non siano andate sempre a buon fine, questa è un'altra storia. La più grande sorpresa che io abbia mai organizzato mi si è ritornata contro e ne sono uscito con il cuore spezzato. Eppure, nonostante questa delusione, ho voluto provare a stupire Alice, non sapendo nemmeno bene il perché. Forse perché c'è qualcosa in lei, nel suo sguardo che non so spiegarmi e che mi spinge a voler saperne di più, su di lei e su tutto quello che la riguarda.

«Senti Mat, sono stanco. Ho del lavoro da finire per domani e devo ancora preparare le ultime cose per Parigi», mi alzo e mi dirigo verso camera mia. Il mio amico non fa nulla per fermarmi, capendo finalmente il mio stato d'animo. Sa benissimo che in queste situazioni è meglio lasciarmi in pace per un po', in modo tale da darmi il tempo per riflettere su come reagire.

Accendo il computer per controllare le mail e programmare gli ultimi dettagli del servizio di Parigi da mandare a Max che mi conferma tutto il programma.

Dal momento che ho finito quello che dovevo fare, inizio a catalogare le ultime istantanee che ho scattato per Milano, indicando luogo e data e sistemandole nell'album. L'ultima che ho scattato è quella di questa sera, prima di chiedere a Alice di ballare.

La giro e scrivo: 13 dicembre 2017, Piazza Duomo, Alice.

Guardando la foto un'improvvisa tenacia si fa spazio in me: non mollerò, fosse l'ultima cosa che faccio.

Buongiorno!
L'undici è sempre stato il mio numero, dal giorno della mia nascita a oggi mi ha sempre accompagnata in svariate situazioni.
Oggi è l'11, pubblico il capitolo 11 e Mr. Harry Styles fa uscire il suo nuovo singolo!
La giornata potrebbe essere migliore di così?
NON CREDO PROPRIO!

Oggi troppo sclero per commentare il capitolo, pensateci voi, se vi va!;)

All the love,
Alice

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