12.

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Alice

Sono talmente persa nei miei pensieri che mi dimentico di scendere alla mia fermata e mi ritrovo al capolinea. La mia testa probabilmente è ancora sotto al Duomo e per questo non mi sono accorta delle fermate che si susseguivano tra loro. Scendo e decido di andare verso casa a piedi, alla fine non è molto distante dall'ultima fermata della metropolitana e ho bisogno di fare due passi. Mi stringo la sciarpa intorno al collo e salgo i gradini a due a due. Guardo sul telefonino la direzione che devo seguire e mi incammino. L'aria fredda della sera mi punge il naso e le guance, affondo le mani nelle tasche per cercare di scaldarmi le mani.

Decido di ascoltare un po' di musica per escludere il traffico di Milano che prepotente richiama la mia attenzione, ma io ho la testa da tutt'altra parte. Sento ancora gli occhi di Edoardo addosso e la strana sensazione che mi hanno provocato. Non saprei descriverla, non trovo le parole per dire quello che ho sentito in quel momento e non so nemmeno se ho il coraggio di provare a definirlo. Mi sono sentita esposta e vulnerabile, cosa che mi capita spesso quando lo sguardo di uno sconosciuto si posa su di me, ma questa volta era diverso. Diverso. E non saprei dire se in modo positivo o negativo.

L'insegna della farmacia mi informa che sono praticamente a casa. Imbocco la mia via e apro il portone digitando il codice d'accesso; non prendo l'ascensore e decido di salire le scale. Arrivo in cima con il fiatone, dettaglio che mi ricorda che dovrei fare più attività sportiva, e infilo le chiavi nella toppa, ma sento urlare da dentro un «Arrivo» e dei passi concitati che si avvicinano alla porta.

Tre paia di occhi mi squadrano dalla testa ai piedi, traboccano di curiosità e di un pizzico di malizia. Assottiglio lo sguardo rimanendo ferma fuori dalla porta.

«Non dovevamo vederci circa due ore fa in piazza Duomo per vedere insieme l'albero?», chiedo retorica allargando le braccia e posando le mani sui fianchi.

Sul volto di Arianna si apre un sorriso sornione e un po' troppo furbo, «Chi? Noi? Non mi sembra».

Scuoto la testa esasperata e entro in casa dirigendomi verso lo sgabuzzino per posare la giacca e le scarpe. Infilo le ciabatte e faccio per dirigermi verso camera mia, ma Marta mi afferra un polso e mi invita a sedermi sul divano dove hanno già preso posto le altre.

«Ali non devi dirci niente?», domanda la mia amica con un'espressione angelica in volto, di solito le si addice con quegli occhi azzurri e i lunghi capelli biondi, ma non ora, proprio per niente. Dal momento che lei, insieme alle altre due mie coinquiline, ha complottato alle mie spalle.

Replico indifferente, stringendomi nelle spalle «Dovrei?».

Non mi va di parlarne, non sono dell'umore giusto. Ho per la testa mille pensieri e ho lo stomaco in subbuglio. Non ho voglia di raccontare di come mi sono sentita perché mi spaventa. Mi spaventa formulare a parole quello che ho sentito e ho provato, soprattutto la sensazione piacevole della mano calda di Edoardo sul mio viso.

So di non averle convinte perché continuano a guardarmi, in attesa di un mio resoconto su quello che è successo in Duomo. Marta e Arianna sono in silenzio, pazienti, in attesa che trovi le parole per parlare. Chiara, invece, che non è mai stata paziente a causa del suo carattere da peperino, tuona, «E che cazzo Alice! Non fare la finta tonta e dicci come è andata! Dopo tutta la fatica che ci è costato questo teatrino vogliamo sapere cosa è successo!».

Mi irrito e non so nemmeno bene il perché. Nessuno ha chiesto loro di improvvisare questo "teatrino", anzi. Avevo chiesto loro di non contattare nessuno e invece eccomi qua a cercare di capire come mi sono sentita e per questo sbotto irritata, «È successo che vi stavo aspettando come una cretina dove c'eravamo date appuntamento e poi improvvisamente dal nulla parte Perfect di Ed Sheeran. In quel momento ho pensato che tutto fosse perfetto: le luci, l'albero, i mercatini; ero persa nei miei pensieri felici finché una voce calda e profonda alle mie spalle mi ha invitata a ballare. Abbiamo ballato, è stato strano e imbarazzante. L'ho ringraziato e me ne sono andata, anzi sono praticamente scappata. Ma cosa vi è saltato in mente?».

In realtà la descrizione che ho appena concluso non delinea nemmeno un millesimo di quello che è stato o di come mi sono sentita: strana, ma incredibilmente giusta. Tre paia di occhi mi guardano allibiti e un po' feriti. Non è da me esplodere in questa maniera, ma hanno tirato un po' troppo la corda e sinceramente non volevo che si immischiassero.

Arianna è la prima a parlare con un tono di accusa, «Cosa è saltato in mente a te piuttosto Alice!», mi rimprovera passandosi esasperata una mano tra i capelli ricci. «Come hai potuto andartene? Cazzo, hai vissuto una sorta di favola moderna e tu cosa fai? Te ne vai!».

Una risata sarcastica esce dalle mie labbra, «Certo! Tralasciamo il dettaglio che io non sono una principessa e che questo fantomatico ragazzo poteva essere un pazzo maniaco!». Non lo penso davvero, ma non riesco a controllare le parole, «Ma cosa più importante: vi avevo chiesto di non contattarlo e voi lo avete fatto lo stesso!».

«L'abbiamo fatto per te! Ne avevi e ne hai bisogno!», dicono all'unisono le mie amiche.

Bisogno? Sono sgomenta.

«Come prego? Bisogno? Cosa pensate che sia? Una disperata che non trova uno straccio di ragazzo?», sputo fuori dai denti.

Sono arrabbiata e non posso credere alle mie orecchie. Mi alzo, ma Arianna mi ferma prima che sbatta la porta del salotto, «Nessuno pensa a una cosa del genere! Però abbiamo pensato che ti potesse far bene una spinta da parte nostra, Alice. Sei barricata in una torre di ghiaccio che hai eretto intorno a te e non permetti a nessuno, te compresa, di provare a scalfirla. Non ti lasci andare mai e ti chiudi nel tuo riccio, escludendo qualsiasi possibilità a priori. Sei tanto romantica per la carta che studi, ma non vuoi vivere in prima persona un po' di quel romanticismo», urla ormai senza fiato la mia amica, i suoi occhi scuri non mi lasciano scampo e lei capisce di aver colto nel segno perché abbasso la testa e mi stringo nelle spalle.

«Mi dispiace», e non riesco ad aggiungere altro.

***

Il resto della settimana scorre veloce, io e le altre non ci siamo parlate molto dopo la discussione di mercoledì, solo qualche battuta di circostanza, ma niente di più. È strano per noi, ci conosciamo da una vita eppure in questi giorni sembriamo delle estranee e l'atmosfera in casa non è delle migliori. Le parole di Arianna sono impresse a fuoco nella mia mente, so che ha ragione: ho un castello di ghiaccio che mi circonda e non mi permetto di distruggerlo perché mi sento bene così, non ho bisogno di nessuno per sentirmi completa, mi bastano le mie amicizie e mi accontento dei grandi amori che leggo nelle poesie o nei romanzi. Non voglio scrivere una mia storia d'amore perché non sono sicura del finale che invece c'è sempre nelle storie che leggo. Nonostante i travagli e le incomprensioni dei protagonisti, il lieto fine è scontato: sono tutti felici e contenti. Nella vita invece questa sicurezza manca e credo di essere troppo codarda per scoprirlo. Non posso dire però di non aver pensato a Edoardo e a quello che è successo: se chiudo gli occhi ho ancora la scena davanti e il mio stomaco si stringe in una strana morsa che mi toglie il fiato.

La suoneria del cellulare mi risveglia dai miei pensieri, mi alzo dal letto per recuperarlo: è Aurora. Sono piacevolmente sorpresa dalla sua telefonata: se mi sta chiamando, infatti, significa che ha finito finalmente il suo portfolio e che può tornare a dedicarsi a qualcosa che non siano i suoi progetti. Rido nel vedere la fotografia che illumina lo schermo quando mi chiama. Siamo io e lei a quattro anni e in costume da bagno con la faccia sporca di gelato. Le nostre mamme ce l'avevano scattata mentre stavamo litigando per la sorpresa all'interno della confezione. All'epoca non ci sopportavamo, proprio per niente. Ma, dal momento che le nostre le nostre madri si conoscono da quando erano ragazzine, ci hanno imposto una frequentazione forzata che sfociava puntualmente in qualche dispetto o litigata. A volte litigavamo talmente tanto da prenderci letteralmente per i capelli. Una volta mi è addirittura rimasta in mano una sua ciocca: una tragedia per una come lei per cui i capelli sono sacri. Crescendo però ci siamo trovate e anche se non ci vediamo spesso sappiamo di poter contare l'una sull'altra.

«Ehi Milanese! Come stai?». Alzo gli occhi al cielo, sa quanto odi essere chiamata così ma lei ci scherza sempre. «E non alzare gli occhi al cielo! So che lo stai facendo!», sbuffa in una risata.

«Lo sai vero che sei un tantino inquietante?».

«Macché! So le tue espressioni perché ti conosco come le mie tasche!».

«Okay, bionda, cosa vuoi? Sei finalmente uscita dal tuo covo di lavoro matto e disperatissimo?», le chiedo ridendo. Bionda è riduttivo: ha praticamente i capelli color platino, il tutto contornato da una pelle diafana e un paio di occhi verdissimi che sono in grado di spezzare qualsiasi cuore.

«Sì finalmente! Sia lode al cielo», esclama trionfante. «Ti ho chiamata appunto per questo! Sei seduta?», mi chiede poi, ma non faccio in tempo a risponderle o a chiederle il perché continua a parlare a macchinetta, «Tieni forte: io, te e Parigi? Tra due giorni! Che ne dici?», mi domanda non riuscendo a trattenere l'entusiasmo.

«Okay, sei ufficialmente impazzita», le dico di rimando sedendomi sulla scrivania e passandomi una mano tra i capelli.

«Ehi! Qui la pazza sei tu milanese se non cogli al volo l'opportunità di venire con la sottoscritta a Parigi che necessita del tuo supporto morale e psicologico per un importantissimo colloquio di lavoro nel campo della pubblicità!», snocciola talmente in fretta le parole che faccio fatica a starle dietro.

«Calma, donna in carriera! Spiegati meglio e soprattutto respira che ho capito sì e no due parole», ribatto ridendo.

Aurora prende fiato e mi racconta di aver contattato un'importante agenzia parigina che si occupa di pubblicità e tratta brand di lusso, un campo in cui sogna di lavorare da sempre. Il colloquio è tra due giorni, il 19 dicembre, appena prima della settimana di Natale, e vorrebbe che la accompagnassi, «Non potrei chiedere a nessun altro di accompagnarmi che non sia tu! E se accetti in cambio ti prometto che potremmo visitare qualsiasi museo noioso tu voglia».

«Ehi, non ti permetto di affibbiare l'aggettivo noioso a nessun museo parigino!», dico con finta stizza.

«Okay, professoressa! Mi scusi!», ride. «Allora ci stai? Torneremo in tempo per Natale. Conto di partire il 18 in giornata e stare lì fino al 21». Sento che sta trattenendo il respiro.

Soppeso la sua richiesta, alla fine si tratterebbe solo di tre giorni e avrei ancora qualche giorno prima di tornare a casa per le feste. Poi, sinceramente, vedere Parigi sotto Natale è sempre stato il mio sogno e, ora come ora, ho bisogno di distrarmi un po' dai pensieri confusi che mi stanno affollando la mente da giorni. «Prepara la pazienza e la valigia! Ti accompagno volentieri!».

La sento urlare di gioia e subito dopo inizia a snocciolarmi tutte le informazioni su trasporti, albergo e quant'altro. La sua risata è contagiosa e io mi ritrovo con le lacrime agli occhi per le sue battute sui parigini che di sicuro cadranno ai suoi piedi.

Dopo mezz'ora di chiacchiere a vuoto la saluto, «Allora arriverò da te, a Torino, martedì sera verso le nove e mezza! Ma comunque ci sentiamo ancora in questi giorni! Buona serata».

Parigi! Non posso ancora credere che visiterò una delle città europee più belle e per di più sotto il periodo natalizio! Sono elettrizzata, so già quello che mi piacerebbe vedere e i dolci che vorrei provare. Inizio a scrivere l'elenco di tutto quello che voglio visitare: il Louvre in particolare, immaginandomi già sullo scalone d'ingresso di fronte alla Nike di Samotracia.


Buongiorno e buon sabato!

Capitolo dedicato interamente ad Alice, ai suoi pensieri e alla sua indecisione. L'atmosfera in casa non è delle migliori, ma meno male che sbuca Aurora e la convince a partire per Parigi con lei per qualche giorno!

Chissà cosa succederà! Alla fine la capitale francese è la città dell'amore, o no? Staremo a vedere;)

Spero che la storia vi stia piacendo! Come al solito, se vi va, fatemi sapere che ne pensate:)

Un bacio e a presto!

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