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Edoardo

Atterriamo a Charles de Gaulle alle dieci del mattino, il viaggio è stato piacevole e senza particolari intoppi. Osservo Max sonnecchiare con la mascherina sugli occhi, credo che stanotte non abbia praticamente dormito dal momento che è crollato in tempo zero non appena si è seduto al suo posto. Avrà sicuramente definito tutti i dettagli fino all'ultimo visto che il servizio che faremo domani è molto importante. Conoscendolo, avrà passato la notte a ricontrollare l'attrezzatura e i progetti dell'allestimento. Lo scuoto leggermente per una spalla per dirgli che siamo arrivati e lui, dopo un breve stiracchiamento, prende subito in mano il cellulare, incurante dell'occhiataccia appena ricevuta dalla hostess, per chiamare l'autista che dovrebbe scortarci in albergo. Guardo fuori dal finestrino mentre l'aereo compie le ultime manovre sulla pista di atterraggio, coperta interamente da un sottile strato di neve. Il tempo non potrebbe essere peggiore di così: una bufera di neve si sta abbattendo sulla città e sento l'aria gelida fischiare intorno al velivolo. Quando finalmente le porte vengono aperte, mi alzo e seguo il mio capo verso il ritiro bagagli, per recuperare parte dell'attrezzatura. Mentre aspetto che il nastro portabagagli parta, sento che è alle prese con un'altra telefonata, probabilmente con l'agenzia pubblicitaria parigina con cui collaboreremo da domani. Lo sento, infatti, parlare in un francese fluente e colgo tra le parole gli orari e gli appuntamenti che abbiamo nelle prossime giornate. Me la cavo abbastanza bene con il francese, l'ho studiato per molti anni a scuola, ma sono un po' arrugginito e credo che questa settimana possa aiutarmi a riprenderlo. Finalmente scorgo la valigia di Max e l'afferro, non è particolarmente pesante: le attrezzature più delicate, infatti, sono state messe nei due zaini che io e Max portiamo sulle spalle.

«Edoardo, ci sei? Hai recuperato i bagagli?», chiede il mio capo dopo aver chiuso la telefonata. «Forza sbrighiamoci che l'auto di servizio ci sta già aspettando fuori».

Uno dei vantaggi di essere il galoppino, cioè l'assistente, di un fotografo famoso è la comodità: niente mezzi di trasporto improvvisati, ma uno chaperon in limousine pronto a caricarti i bagagli e portarti in uno degli hotel più lussuosi di Parigi, il Ritz di Place Vendôme.

Il tragitto verso l'albergo scorre piacevole e riesco a dare una prima occhiata alla città: come a Milano, anche qui l'atmosfera natalizia addobba tutto quanto. Passando per les Champs-Élisées non posso fare a meno di notare le decorazioni che adornano i lampioni posizionati lungo la strada e le luci che illuminano tutti i ponti che attraversano la Senna. I parigini si mescolano tra i turisti che spesso si fermano per ammirare qualche vetrina o qualche monumento, sembrando incuranti del freddo gelido che imperversa per la città.

Dopo una buona mezz'ora arriviamo di fronte all'albergo, l'imponente facciata è elegantemente decorata e resto senza fiato. I tre ingressi sono illuminati da piccoli fiocchi di neve bianchi e un grosso albero di Natale campeggia sulla destra dell'hotel. Un maggiordomo in livrea si affretta a scendere i pochi gradini che separano l'auto dall'ingresso per aprire la portiera al mio capo e iniziare a scaricare i nostri bagagli. Scendo dall'auto anche io e recupero il mio zaino, il freddo pungente mi pizzica le guance e mi stringo meglio il cappotto intorno al collo. Max si sta dirigendo verso l'ingresso centrale dove un altro maggiordomo gli apre la porta abbozzando un inchino e un saluto cordiale. Seguo l'esempio di Max e faccio un cenno con il capo mentre il tipo si premura di chiudere la porta dietro di noi. L'interno dell'albergo è ancora più sofisticato dell'esterno: una luce calda illumina la hall circolare dove sono sparsi diversi divanetti color champagne sui quali gli ospiti possono godersi un tè caldo. Di fronte all'ingresso campeggia un enorme banco in marmo, dietro al quale una ragazza sta attendendo i clienti. Max si avvicina fornendole un foglio, «Buongiorno, sono Max Cardelli, ho fatto una prenotazione per tutta la settimana», dice il mio capo alla receptionist.

La ragazza della reception, una biondina dagli occhi chiari e le lentiggini, si sistema gli occhiali sul naso minuto prima di controllare i dati sul computer, «Bonjour monsieur Cardelli», cinguetta con il classico accento parigino. «Sì, ecco la prenotazione. Due suite che si affacciano sulla piazza vero?», il mio capo annuisce e la ragazza si adopera a battere qualcosa sulla tastiera del computer, «Ecco a voi le chiavi magnetiche. Avrei solo bisogno dei vostri documenti per completare il check-in», dice cordiale rivolgendo un sorriso a Max.

Suite? Credo di non aver capito bene e infatti guardo l'uomo al mio fianco con fare stralunato.

L'interessato si volta nella mia direzione, «Cos'è quella faccia? Pensavi che facessi dormire il mio assistente in un bugigattolo? Soprattutto dal momento che si è dimostrato più volte all'altezza dei compiti che gli ho affidato?», mi domanda quasi retorico, abbozzando un sorriso serafico.

Rimango un attimo interdetto, «Sì, cioè, no. Però non mi sarei aspettato un simile trattamento! La ringrazio davvero».

Lui liquida la cosa con un gesto della mano, come se la faccenda fosse di poca importanza. Sono piacevolmente colpito da questo suo gesto e mi fa piacere sapere che abbia voluto premiare il mio lavoro con questa camera.

Dopo aver concluso il check-in, ci dirigiamo verso l'ascensore che ci porterà alle nostre stanze, «Puoi riposarti un attimo e hai il pranzo libero, ma alle quattro in punto voglio che tu sia qui nella hall perché dobbiamo andare a fare un sopralluogo sul set e concordare alcuni dettagli con l'agenzia pubblicitaria», mi congeda una volta usciti dall'ascensore controllando l'orologio che ha al polso. Sul piano ci sono solo sei camere e la mia stanza è la seconda sulla destra, a qualche metro dalla sua.

«Mi raccomando, sii puntuale», mi ricorda ancora una volta.

Annuisco, «Certo Max, a dopo!». Dopo che si chiude la porta alle spalle, afferro il mio trolley e striscio il pass magnetico nella serratura.

La stanza che mi si apre davanti è a dir poco fastosa, il color oro fa da padrone: ricopre ogni superficie, dal lampadario alla moquette ai dettagli barocchi che incorniciano l'imponente specchio alla mia sinistra. Al centro del salotto è presente un'enorme scrivania in noce con tutto l'occorrente per scrivere e lavorare, ma la cosa che colpisce di più è l'ampia finestra che si affaccia sulla piazza. Anche dalla porta si possono scorgere la colonna centrale e tutte le gioiellerie che contornano la piazza. Alla mia destra un corridoio conduce alla camera da padronale in cui un letto a baldacchino riprende temi e colori del piccolo, si fa per dire, salotto d'ingresso. Non resisto e mi lancio di pancia sul letto nel quale sprofondo beato.

Lasciatemi qui per sempre!

Passo un buon quarto d'ora sdraiato sul letto con lo sguardo rivolto alla finestra che si affaccia sulla piazza: qualche fiocco di neve vortica nell'aria e il vento gelido di poco fa sembra essersi un po' quietato. Controllo l'ora sul cellulare, ho ancora qualche ora libera prima di iniziare a lavorare con Max e decido quindi di disfare i bagagli e editare un po' le fotografie che ho scattato in giro per Milano.

Recupero il portatile dallo zaino e colgo l'occasione di sfruttare la magnifica scrivania che c'è nel soggiorno.

Mi siedo, accendo il computer e mentre lancio l'apertura di Photoshop, do un'occhiata ai social: apro Facebook e trovo la notifica di un messaggio, «Ciao Edoardo! Come promesso ecco la fotografia dell'altra sera! A presto, Ilaria».

Con il cuore in gola e le mani che mi tremano, apro l'allegato e scarico la foto: ritrae me e Alice mentre le stavo parlando, la mia mano è sulla sua guancia e i nostri occhi sono incastrati gli uni negli altri. Visti da fuori sembriamo una coppia di innamorati e posso capire cosa abbia spinto Ilaria a scattare la fotografia: le luci dell'albero di Natale illuminano i nostri volti e sembriamo immersi in una realtà diversa e completamente nostra; ed era proprio così, non avevo occhi che per lei, non sentivo niente se non il suo dolce respiro. Milano, i passanti e il freddo pungente erano completamente esclusi.

Peccato che poi io mi sia beccato un bel due di picche in faccia!

Salvo la foto, ringrazio Ilaria e chiudo la pagina.

Ho passato gli ultimi giorni a pensarla, a pensare ai suoi occhi e al sorriso timido che le spunta spesso e volentieri sul volto. Se chiudo gli occhi sento ancora il suo profumo aleggiare nell'aria e non posso che sperare di avere un'altra occasione per incontrarla e parlarle. Anche se so che sarà un'impresa abbastanza difficile visto l'atteggiamento un po' restio che ha nei miei confronti. Ma sono sicuro di riuscire a fare qualcosa perché ho visto nei suoi occhi una scintilla particolare quando era così vicina a me: era come se imperversasse una battaglia in lei, come se volesse lasciarsi andare, ma fosse frenata da qualcosa. Vorrei abbattere i suoi muri e provare a chiederle di farmi entrare nella sua vita, sperando che riesca a farlo.

Con il pensiero di lei e un po' di musica in sottofondo, le ore successive passano in fretta mentre lavoro su qualche fotografia che ho scattato a Milano la settimana scorsa.

Verso l'una, pranzo in camera e poi mi faccio una doccia calda. Mi vesto pesante e infilo il cappotto cingendo poi il collo con la mia solita sciarpa. Alle quattro meno cinque sono nella hall e aspetto Max che, puntuale come sempre, arriva e mi porge il suo zaino con parte dell'attrezzatura, «Voglio fare alcune foto al set per avere più dettagli possibili e essere sicuro della riuscita del servizio», mi informa mentre ci dirigiamo all'esterno dove un'automobile è già pronta per portarci al Louvre. Annuisco e lo seguo in macchina.

Guardo Parigi scorrermi veloce davanti agli occhi mentre le luci natalizie si illuminano pian piano e quando arriviamo di fronte al museo rimango senza fiato per la bellezza delle strutture che mi si dispiega davanti agli occhi. Ho pochi minuti per osservarle perché Max mi incita a entrare; veniamo accolti da un ragazzo che ci dà alcune istruzioni su come raggiungere il set e si dichiara disponibile a essere disturbato per qualsiasi cosa di cui abbiamo bisogno. Ci informa sugli orari e sulla chiusura temporanea della sezione del museo al pubblico, per permetterci di avere la massima privacy. Finalmente, dopo aver percorso diverse sezioni del museo che mi riprometto di visitare, raggiungiamo il set allestito sulla gradinata ai piedi della Nike. Rimango senza fiato, la Nike si staglia in cima alle scale in tutta la sua bellezza e degli ampli teli bianchi sono stati disposti sui corrimani insieme ad alcune nuvole in cotone.

Max sorride di fronte alla mia espressione sbalordita, «Come ti avevo anticipato, l'idea è quella di ricreare uno scenario quasi divino, una sorta di monte Olimpo, sottolineando l'antichità; ma tutto ciò sarà in netto contrasto con i capi che indosseranno i modelli dal momento che saranno del tutto moderni. Vogliamo giocare sul contrasto cromatico: il set sarà completamente bianco mentre i capi avranno colori accesi», mi informa mostrandomi un menabò con i bozzetti dei vestiti e spiegandomi le disposizioni e le idee che ha per le fotografie.

Annuisco mentre tiro fuori il mio block-notes e inizio a prendere appunti. Faccio uno schizzo delle varie disposizioni mentre Max parla e mi spiega come vuole che posizioni le luci facendo ampi gesti con le mani. Spero di essere all'altezza del servizio e spero di non deludere Max, quindi non mi lascio sfuggire nemmeno un'indicazione.

Veniamo interrotti da un signore allampanato, pelato e con una spessa montatura nera posata sul naso, «Buonasera! Sono Guillaume, sono dell'agenzia di pubblicità! Lei deve essere Max Cardelli, siamo molto felici di collaborare con lei!», si presenta porgendo la destra al mio capo. «Mentre lei», dice gioviale rivolgendosi a me, «deve essere il suo assistente Edoardo».

Dopo le presentazioni, Guillaume si rivela molto disponibile e molto competente, ci informa sugli orari di domani e sulle scelte delle modelle e dei modelli per il servizio, «Ma ora basta parlare di lavoro! Per quello avremo tempo domani e nei giorni seguenti! Che ne dite di uscire a cena? Conosco un ottimo locale dall'altra parte della Senna all'altezza della Tour Eiffel; ovviamente sarete miei ospiti!», ci chiede sistemandosi gli occhiali sul naso.

Accettiamo volentieri e la serata trascorre piacevole: Guillaume tiene banco raccontandoci aneddoti sui retroscena delle sfilate e dei servizi fotografici e ci offre la cena nonostante le proteste del mio capo.

Una volta salutati i diversi commensali, dico al mio capo che mi piacerebbe tronare a piedi in hotel, visto che non è distante, e godermi un po' la città. Lungo il tragitto di fermo spesso per scattare qualche foto a Parigi di notte che risulta particolarmente affascinante e stranamente silenziosa pur essendo così grande. Torno verso il Louvre e decido di attraversare le jardin des Tuileries; per tutto il parco sono disposti dei mercatini di Natale e non posso fare a meno di pensare a quelli di piazza Duomo e inevitabilmente i miei pensieri ritornano ad Alice. Nelle ultime ore, nonostante fossi preso dagli eventi e dall'organizzazione del servizio, non ho smesso mai di pensare a lei e questa atmosfera natalizia non fa altro che trascinarmi di nuovo sotto il Duomo con lei mentre fissava incantata la piazza che la circondava. Un brivido mi corre lungo la schiena, non capisco se per il freddo o per altro, decido quindi di tornare verso l'hotel e verso quel magnifico letto a baldacchino dove, dopo una doccia veloce, crollo sfinito dalla lunga giornata.


Buon venerdì a tutti!

Oggi aggiornamento dedicato al nostro Edoardo che arriva a Parigi e si prepara per uno dei suoi primi servizi importanti. Nonostante la città, il set e le direttive del suo capo, sembra che i suoi pensieri continuino a vorticare intorno a qualcuno. Chissà perché!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Come al solito, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!

Un bacio e a presto,

Alice.

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