24.

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Edoardo

«Sistema quella luce, Edoardo», mi intima il mio capo per la centesima volta nel giro di mezz'ora. Siamo dentro alla basilica di Notre-Dame da diverse ore per la continuazione del servizio al Louvre: la chiesa è stata chiusa al pubblico per l'intero pomeriggio e tutto il giorno di domani per concludere la campagna per la primavera-estate del 2018. Tutto è perfetto, dalla scenografia alle luci, ma Max non è per niente convinto della disposizione di questa maledetta luce in alto a sinistra. Dopo aver cambiato l'angolatura, di nuovo, Max fa qualche scatto di prova. Lo sento borbottare qualcosa tra sé e sé sbuffando per diverse volte; non posso che alzare gli occhi al cielo, non riuscendo a capire quale sia il problema: tutto è sistemato alla perfezione e non dico tanto per dirlo dal momento che ho guardato tutti gli scatti e non c'è niente che non vada.

Esasperato mi azzardo a chiedergli cosa pensa che possa essere cambiato e lui mi guarda stralunato, «Tutto! Non c'è niente che funziona su questo set», sbotta abbassando la macchina fotografica e rivolgendomi uno sguardo severo, come se non riuscissi a capire l'evidenza.

Sostengo il suo sguardo, stringendomi nelle spalle, «Max, ho controllato le luci e le foto che hai scattato come prova: vanno benissimo, nessun punto è in ombra e anche la scenografia risalta», gli faccio notare avvicinandomi a lui. Sembra di essere in un'altra dimensione: le volte e le vetrate sembrano dipinte e tutto è nitido; non riesco davvero il perché di questo suo comportamento, sembra nervoso e io non l'ho mai visto nervoso. È sempre stato padrone di se stesso quando scatta delle fotografie per un qualsiasi servizio, trasudando competenza e professionalità, ma adesso sembra un'altra persona: sta camminando avanti e indietro per la navata laterale con la macchina fotografica in mano, inveendo contro il designer del set. Il poverino sta cercando di capire cosa Max voglia precisamente, ma con scarsi risultati, dal momento che quest'ultimo continua a borbottare frasi sconnesse e sembra essere intenzionato a rivoluzionare l'intero set. Il povero designer sbianca e cerca di spiegargli che non si può fare perché è la casa di moda di Dior ad aver dato indicazioni precise su alcuni particolari che sono necessari per i capi da fotografare. Lo sento inveire, di nuovo, per poi allontanarsi di scatto e uscire, sbattendo le porte della chiesa. Rivolgo uno sguardo dispiaciuto al ragazzo che sembra essere sull'orlo di una crisi di nervi e raggiungo il mio capo fuori. Le temperature si sono abbassate e qualche fiocco solitario ha incominciato a cadere: la piazza antistante la cattedrale è poco gremita, nonostante sia una delle più frequentate della città, e solamente qualche turista si aggira nei dintorni tirando fuori il cellulare per immortalare la facciata della chiesa. Scorgo Max appoggiato sul parapetto lungo la Senna mentre si stringe intirizzito nel cappotto : sta provando ad accendersi una sigaretta con fare nervoso per poi imprecare perché il vento continua a spegnergli la fiammella. «Cazzo, accendino del cazzo», sbraita e lo lancia nel bidone vicino a lui quando mi avvicino e gli porgo il mio che afferra con un gesto brusco. Lo guardo in attesa mentre finalmente riesce ad accendere la sigaretta e a prendere un lungo tiro sbuffando poi il fumo dalle labbra. Inizia a rilassarsi dopo qualche tiro e si appoggia meglio al parapetto lungo il fiume incrociando le braccia al petto.

«Pensavo non fumassi», mi dice picchiettando la sigaretta tra l'indice e il pollice per far cadere la cenere. Un refolo di vento si insinua sotto al mio cappotto e mi stringo istintivamente nelle spalle.

«E infatti è così, non fumo, ma ne ho sempre uno dietro perché ho notato che il novanta percento delle volte il tuo non funziona», gli dico semplicemente accennando un sorriso. Mi guarda sorpreso aggrottando appena le sopracciglia, «Beh, grazie», dice sincero rivolgendomi un'occhiata ammirata. «Sei sempre attento ai dettagli, vero? È una dote importantissima nel mondo della fotografia», afferma sicuro facendo un altro tiro.

Accenno un sorriso, e adesso che ha praticamente finito la sigaretta che stringe tra le labbra e sembra più rilassato, provo a chiedergli cosa c'è che non funziona secondo lui sul set, «Max, posso sapere cosa non ti convince del set? È tutto perfetto». Azzardo poi un commento personale, sperando che non si arrabbi, «Di solito non sei così critico e poco convinto di quello che fai». Ed è vero: è sempre molto sicuro delle sue scelte e delle sue idee, mai una volta ha fatto trasparire qualche tipo di incertezza o dubbio. Trattengo il respiro sperando di non aver superato il limite, mentre il mio capo sembra soppesare le mie parole. Il suo sguardo è assente, come se fosse in un universo tutto suo, lo vedo trattenere il fiato e poi rilasciarlo tutto d'un colpo, scrollando poi la testa tornando alla realtà.

Non mi guarda quando fa l'ultimo tiro della sigaretta, «Voglio che sia tutto più che perfetto», dice solenne. «Deve essere così», conclude risoluto spegnendo il mozzicone sul muretto primo di lanciarlo nel cestino.

«Ma lo è già, davvero», gli faccio notare. «Anche, e soprattutto, quella luce in alto a sinistra», cerco di trattenere un sorriso mentre lui ne accenna uno. «Quante volte te l'ho fatta spostare?», mi chiede guardandomi dritto negli occhi e sistemandosi la spessa montatura nera degli occhiali sul naso.

«Ho perso il conto dopo la ventesima». Ormai il mio sorriso è ben presente sul mio volto, incapace di trattenermi ancora.

«Perdonami, Edoardo. Ma oggi sul set ci sarà una mia vecchia conoscenza e voglio davvero fare bella figura», cambia tono di voce quando pronuncia la parola 'conoscenza', il suo timbro si scurisce e il tono di voce si abbassa.

Ah, ecco quindi il perché!

Alzo le sopracciglia sorpreso: deve essere qualcuno di importante se Max è così nervoso e io non posso essere che curioso, ma non gli chiedo niente, non volendo spingermi oltre il limite.

E poi non sono una pettegola come te!

«Non guardarmi così, sono umano anche io», sbuffa una risata staccando la schiena dal parapetto per voltarsi e appoggiarci sopra gli avambracci rivolgendo la sua attenzione al lento scorrere della Senna.

Su questo potrei avere qualcosa da ridire!  Max è praticamente una macchina da guerra, ma mi guardo bene dal dirglielo.

«E so quello a cui stai pensando», mi dice guardandomi da sopra una spalla. «Sei scettico e sei anche curioso, però non mi chiedi niente. Discreto come al solito, bravo Edoardo. Anche se potresti averne il diritto soprattutto dopo che ti ho tartassato per quella ragazza».

«N-no», ribatto, ma lui mi dà un buffetto sulla spalla. «Andiamo, so che lo stavi pensando. Comunque, questa sigaretta mi ha rilassato quindi adesso possiamo rientrare e aspettare che arrivino Guillaume e i modelli».

Detto ciò, mi dà le spalle e si dirige verso la chiesa. Rimango un attimo indietro e ovviamente i miei pensieri si rivolgono ad Alice, ai suoi occhi lucidi e alle guance rosse dopo il nostro bacio. Non faccio altro che pensare a lei da quando l'ho salutata qualche ora fa, ovviamente mi sono concentrato sul lavoro, ma spesso e volentieri i miei pensieri si sono incentrati su di lei, soprattutto lì dentro alla cattedrale, quella stessa cattedrale di cui mi ha parlato con tanto entusiasmo e trasporto raccontandomi di Notre-Dame de Paris. 

Controllo l'ora sul cellulare: sono le sette e mezza; a quest'ora dovrebbe essere già arrivata a Milano e mi riprometto di scriverle questa sera per sapere come è stato il viaggio e chiederle se è andato tutto bene. Dopo il bacio che ci siamo scambiati, sento l'impellente necessità di rivederla e di averla nuovamente vicina. Da quando ho testato la morbidezza delle sue labbra, anche solo per una volta, non credo che riuscirò mai più a farne a meno. Dio, passerei le mie giornate a baciarla e in questo momento mi sento come un adolescente alla prima cotta.

Dopo un ultimo sguardo alla piazza antistante la cattedrale, raggiungo Max all'interno. Lo vedo parlare al designer e colgo qualche stralcio della loro conversazione: sembra che il mio capo si stia scusando per prima dal momento che vedo il volto del povero ragazzo riassumere a poco a poco un colorito sano. Mi avvicino alla macchina fotografica e la sistemo un'ultima volta: faccio l'ennesimo scatto di prova e, come era prevedibile, va tutto alla perfezione. Mi rivolgo quindi a Max per mostrargliela e lui annuisce accennando finalmente un sorriso soddisfatto.

Sta per dirmi qualcosa, ma la porta alle nostre spalle si apre facendo entrare un refolo di aria gelata; ci giriamo in contemporanea, pensando che finalmente siano arrivati i modelli insieme a Guillaume, ma non è così. Una donna bionda e alta sta percorrendo la navata principale, i suoi lunghi capelli le scendono lungo le spalle, strette intorno a un cappotto nero contornato da un grosso collo di pelliccia e che le arriva alle ginocchia . Un sorriso le si apre sul volto non appena i suoi occhi chiari incontrano quelli del mio capo che sembra improvvisamente teso.

Hai capito la vecchia conoscenza di Max!

«Max, che piacere rivederti!», si avvicina portando dietro di sé una scia di profumo dolce. Un ampio sorriso le incornicia il volto mentre i suoi occhi si posano sul viso di Max, «Quanti anni sono passati? Due?», chiede posando una mano sul bicipite del mio capo.

Vedo che si irrigidisce, assumendo una postura severa e distaccata. «In verità, quasi quattro», le dice con una strana nota di dolore nella voce.

La donna sembra pensarci su, senza però distogliere lo sguardo, «Ah, già! Da quella sera di Londra, vero?».

«Già, Londra», annuisce solenne il mio capo. Il mio sguardo si alterna tra i due, cercando di capire la connessione che li lega. Deve essere successo qualcosa di importante e probabilmente di doloroso, vista la postura rigida che sta tenendo Max e la scintilla di dispiacere e rimpianto che gli sta velando lo sguardo. Cerco di allontanarmi per concedere loro spazio, ma il mio capo non me lo permette perché distoglie improvvisamente l'attenzione dalla bellissima donna al suo fianco per rivolgerla a me.

«Chiama Guillaume», mi esorta cercando palesemente una via di fuga dalla situazione in cui si trova. «Digli che siamo pronti e che appena arriva possiamo iniziare». Annuisco prendendo il telefono dalla tasca dei pantaloni: sto per comporre il numero quando vengo richiamato dalla voce della bionda. «Visto che il nostro fotografo di fama mondiale non ci ha presentati, lo faccio da sola. Piacere, sono Silvia», dice cordiale allungando la sua mano smaltata verso di me. La stringo e mi presento, «Sono Edoardo, l'assistente di Max».

Lo sguardo della donna si accende e alza le sopracciglia, «Ah, Edoardo! Se Max ti ha scelto, avrai una brillante carriera davanti. Ti terrò d'occhio per il futuro». Una nota di orgoglio risuona nella sua voce mentre il suo sguardo si sposta nuovamente verso l'interpellato, che con una scrollata di spalle si allontana prendendo in mano il cellulare, credo per chiamare il direttore creativo.

Silvia scuote la testa, borbottando qualcosa che suona come un, «Non mi perdonerà mai». Chissà che cosa è successo tra questi due. Non che siano affari miei, si intende, ma mi fa molto strano vedere il mio capo così abbattuto e taciturno: sembra una persona completamente diversa da quella forte e inscalfibile che è solitamente.

Le mie elucubrazioni vengono però interrotte dall'arrivo di Guillaume e dei modelli, già pronti e truccati per il servizio. Il direttore creativo incede lungo la navata cercando con lo sguardo il mio capo così mi allontano da Silvia e lo accolgo: mi aggiorna subito sui capi e sulle indicazioni della casa di moda; annuisco e gli mostro come è stato disposto il set e gli scatti di prova che abbiamo realizzato io e Max.

«Molto bene», si complimenta Guillaume per poi dare le ultime direttive ai modelli che si stanno disponendo sul set per prendere i posti che ha deciso l'uomo al mio fianco. Dopo gli ultimi ritocchi da parte dei truccatori, il servizio è pronto per iniziare, ma manca Max.

«Dov'è finito?!, mi domanda Guillaume alzando un sopracciglio con fare interrogativo. Mi guardo intorno e non trovandolo da nessuna parte, mi allontano dal set e inizio a cercarlo tra le navate, ma sembra che si sia volatilizzato nel nulla. Faccio il giro dell'abside, la grossa croce d'oro sopra l'altare brilla di un tenue bagliore colpita dalla luce che filtra dai rosoni. Notre-Dame mi ha sempre affascinato, sin dalla prima volta che l'ho vista su un libro di scuola e poi dal vivo. Le sue pareti trasudano la sua storia secolare e il leggero odore di incenso sembra trasportarti di un'epoca del tutto differente. Proseguo lungo il transetto e finalmente, dietro a un confessionale, scorgo l'imponente figura di Max; lo sento parlare sottovoce in maniera concitata e la sua testa è leggermente inclinata verso qualcosa. Mi avvicino ancora di un passo e lo richiamo per evitare di coglierlo di sorpresa: si irrigidisce per poi voltarsi verso di me.

«Scusami Max, ma volevo dirti che è tutto pronto. Aspettiamo solo te». Abbozzo un sorriso e mi avvicino ancora di qualche passo mentre lui sembra ritornare alla realtà e soppesare qualcosa. Appare indeciso sul da farsi: mi scruta per un lungo momento e poi rilascia un sospiro.

«Edoardo», esordisce solenne. «Oggi ti affido la direzione del servizio, sarai tu a fare le fotografie».

Lo guardo allibito e credo di essere sbiancato, se mi avesse tirato uno schiaffo a mano aperta probabilmente mi avrebbe sconvolto di meno. Sono a corto di parole e mi trovo decisamente in difficoltà. «Sono sicuro che tu possa cavartela alla grande», mi rassicura notando la mia espressione scioccata.

Pronto?! Cosa diavolo ti salta in mente Max? Stiamo parlando di Dior, non della gelateria di zio Peppino!

Cerco di farlo ragionare, ovviamente sono più che lusingato dalla cosa, ma non mi sembra il caso di affidarmi un servizio così importante come primo compito da svolgere da solo. Non riesco nemmeno a capire il perché di questa decisione, finché non vedo uscire dall'ombra Silvia, che mi guarda con un sorriso rassicurante in volto. Max non era chino su qualcosa, ma su qualcuno; un qualcuno decisamente destabilizzante per lui. Alterno il mio sguardo tra i due, Silvia mi guarda riflessiva e poi sposta il suo sguardo su Max.

Sentendosi osservato, il mio capo si volta verso la bionda, «Edoardo, sono sicuro che te la caverai alla grande», dice senza guardarmi. «Per qualsiasi cosa chiamami, ma sono sicuro che filerà tutto liscio. Alla fine, abbiamo studiato insieme i dettagli per questo servizio», conclude rivolgendo finalmente la sua attenzione verso di me.

Non faccio in tempo a ribattere che afferra la mano di Silvia e si allontana verso l'uscita. Si volta un'ultima volta urlandomi, «Ci sentiamo domani mattina per l'editing delle foto».

Resto di sasso: in questo momento vorrei urlare, strapparmi i capelli e imprecare, ma non mi sembra il luogo adatto per farlo.

«Cazzo, cazzo, cazzo», borbotto portandomi le mani tra i capelli cercando di valutare la situazione. Mi prendo un attimo per fare un respiro profondo e calmare la tensione che si è appena accumulata sulle mie spalle, «E adesso che cosa faccio?». Sono tentato di nascondermi in qualche confessionale, ma poi probabilmente Max mi ammazzerebbe. «Porca miseria Max!», inveisco contro il mio capo, sentendo la voce di Guillaume: sta chiedendo al designer dove sia finito Max.

Merda!

Devo avvisarlo dell'improvvisa fuga del mio capo e della sua consegna del servizio a me; mi affretto a raggiungerlo e appena mi nota mi chiede, «Ah eccoti Edoardo! Dov'è Max? Siamo pronti per iniziare?».

Prendo l'ennesimo respiro profondo, cercando di evitare di fargli prendere un infarto, «Ecco, in realtà Max se n'è andato».

Guardo la faccia stralunata del pubblicitario parigino, che, come era più che prevedibile, sembra sull'orlo della crisi di nervi. «Mi ha affidato il servizio», dico d'un fiato stringendomi nelle spalle.

Guillaume sbianca di colpo, si porta una mano alla fronte e si appoggia con l'altra a uno dei banchi della navata. «E ne sei in grado?», mi chiede lanciandomi uno sguardo in tralice. Mi stringo nelle spalle, vorrei urlargli un secco no con un rantolo di panico, ma mantengo una parvenza di compostezza, «C-credo di sì. Mettiamoci al lavoro».

Mi guarda scettico per un attimo, soppesando le mie parole: dopo quella che sembra un'eternità sbuffa un sospiro, «Bene, allora cominciamo!». Si volta e inizia a dare ordini a destra e a manca in un francese strettissimo mentre io cerco di evitare un attacco di panico. Mi avvicino alla macchina fotografica per cercare di calmarmi e trovare un po' di tranquillità: lascio che le mie dita scorrano lievemente sui tasti per poi afferrarla e passarmi il cinturino intorno al collo. Non appena sento il peso dell'apparecchio sul petto, mi calmo improvvisamente allontanando qualsiasi dubbio e incertezza e sentendomi finalmente a mio agio.

Quando tutti sono in posizione, alzo la macchina fotografica nascondendomi dietro all'obiettivo e, dopo un ultimo respiro profondo, inizio a scattare.


Buonasera a tutti e buona domenica! Spero che abbiate passato un buon Capodanno e che il vostro anno sia iniziato alla grande! Se così non fosse, non disperiamo perché siamo solo all'inizio e «everything is gonna be fine» (cit. dotta per dotti;))

Eccoci arrivati al capitolo 24 tutto incentrato su Edoardo e sul lieve attacco di panico che il poverino stava per avere. Nonostante il lavoro, i suoi pensieri corrono inevitabilmente ad Alice (poverino come è messo male!) e alla voglia che ha di vederla! 

Vi prometto che nei prossimi capitoli esaudirò il suo desiderio quindi, se volete sapere cosa succederà, restate collegati;)

Come sempre, se vi va, mi fareste un immenso piacere a dirmi cosa ne pensate!

Un bacio e a presto,

Alice.

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