25.

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Alice

«Ancora niente?», mi chiede Arianna lanciandomi uno sguardo dal lato opposto del divano. È avvolta in una pesante coperta rossa, solo la testa le sbuca fuori, e ha in mano un'enorme ciotola di popcorn. Accenno un sorriso, dopo il mio arrivo di questo pomeriggio, abbiamo passato la serata a rimpinzarci di schifezze: abbiamo spaziato dai dolciumi che ho portato da Parigi, alla pizza fino ai popcorn che adesso sta mangiando la mia amica.

«Non so di cosa tu stia parlando», fingo indifferenza stringendomi nelle spalle mentre controllo per la milionesima volta il cellulare, aspettando una notifica da Edoardo. Mi aveva detto che mi avrebbe scritto entro stasera, ma sono già le dieci e mezza e non ho ancora ricevuto niente. Scrollo le spalle, alla fine non è obbligato a scrivermi, anche se mi farebbe davvero piacere sentirlo. Ho resistito all'impulso di scrivergli io stessa perché sapevo che questo pomeriggio sarebbe stato impegnato sul set e non mi andava di disturbarlo. Quindi adesso sono qui a lambiccarmi pensando se abbia fatto bene o meno. Mi do mentalmente della scema per queste paranoie da ragazzina, ma è più forte di me: non riesco a non pensarci.

«Vedrai che ti chiamerà», afferma convinta portandosi alla bocca l'ennesima manciata di popcorn e bofonchiando ancora qualcosa che non riesco a cogliere dal momento che ha la bocca piena. Le sorrido alzando gli occhi al cielo quando rischia di strozzarsi, mi alzo per prenderle un bicchiere d'acqua. Mentre apro il rubinetto aspettando che l'acqua si raffreddi, i miei pensieri, come hanno fatto per buona parte della serata, si rivolgono al saluto di Edoardo lungo i binari della stazione ed ecco subito tornare la piacevole morsa che mi stringe lo stomaco ogni volta che ripenso alla sensazione delle labbra di Edoardo sulle mie. Arrossisco al pensiero: Dio, sono peggio di una quindicenne alla sua prima cotta! Non mi riconosco quasi: mi sento così in preda alle sensazioni e alle emozioni, come poche volte mi è capitato in vita mia. Sono sempre stata una persona riflessiva e razionale e non credo di aver mai provato le farfalle allo stomaco, o almeno non in maniera così intensa e prepotente, se non per la lettura di qualche storia particolarmente coinvolgente. Mi sono sempre lasciata coinvolgere emotivamente dalle storie di carta e mai da quelle di carne. Mi sento strana, leggera come una piuma e un sorriso ebete campeggia sulle mie labbra. Riempio il bicchiere e lo porto ad Arianna che mi ringrazia con un cenno del capo. Mi siedo nuovamente sull'altro divano, cercando di concentrarmi ancora un po', ma invano, sul film che stanno passando alla televisione.

Lancio l'ennesima sbirciata al telefono: ancora nulla; decido quindi di alzarmi e andare a dormire: è stata una lunga giornata e sono decisamente stanca, sarei anche andata a dormire prima, ma ho tirato un po' più tardi del solito per la telefonata di Edoardo e adesso l'unica cosa che voglio è infilarmi nel letto. Saluto le mie coinquiline, augurando loro la buonanotte, per poi andare in bagno, lavarmi i denti e infilare il pigiama. Metto in carica il telefono e sto per spegnerlo quando si illumina improvvisamente vibrando. Mi risale il cuore in gola e sento i battiti accelerare: è lui. Con dita tremanti scorro il tasto di risposta, «P-pronto?».

Edoardo

Sono le dieci e mezza di sera e io sono ancora sul set di Dior. Sto scattando le foto degli ultimi capi, ancora qualche scatto e dovremmo aver finito. Il pomeriggio, nonostante la fuga improvvisa di Max, è passato senza nessun intoppo: dopo il quasi attacco di panico di Guillaume, il servizio è filato liscio come l'olio e sono particolarmente soddisfatto di come sono venute le fotografie. Nonostante il mio iniziale nervosismo, mi sono pian piano sciolto e rilassato mentre mi immergevo completamente nelle immagini, nelle giuste angolazioni e nelle luci che facevano risaltare i capi indossati dai modelli.

«Un ultimo scatto e dovremmo esserci», dico rivolgendomi a Guillaume, che è dietro allo schermo del pc sul quale può visionare in diretta le fotografie che sto realizzando. Il suo viso è concentrato mentre dà qualche indicazione al direttore creativo di Dior, alza poi lo sguardo per rivolgermi un cenno di approvazione e un sorriso soddisfatto. Un paio di click ancora e finalmente potrò chiamare Alice, non vedo l'ora. Nonostante sia stato impegnato tutto il pomeriggio, non c'è stato un momento in cui ho smesso di pensare a lei: ogni volta che lanciavo uno sguardo alle vetrate della cattedrale, mi venivano in mente le sue parole sul romanzo di Hugo, il modo leggero in cui le sue labbra si schiudevano e la luce particolare che le illuminava gli occhi. Non riesco nemmeno a descrivere la sua espressione sognante mentre mi parlava delle letture che l'hanno appassionata e non vedo l'ora di sentire nuovamente il suo tono accorato e scorgere quella scintilla.

Scatto per l'ultima volta, alzando poi lo sguardo dall'obiettivo per rivolgerlo ai modelli e far loro un cenno di assenso, per congedarli. Guillaume mi si avvicina e si congratula con me, «Bravo Edoardo! Questo ultimo scatto è venuto particolarmente bene! Abbiamo finito, per oggi». Scambiamo ancora due parole dopo aver mandato i modelli a cambiarsi, confermandomi gli appuntamenti per la giornata di domani, che dovrebbe essere l'ultima del servizio vero e proprio. Venerdì, invece, io e Max saremo nell'agenzia di Guillaume per rifinire gli ultimi dettagli e poi, una volta tornati a Milano, ci metteremo a lavorare sull'editing finale del servizio. A Natale sarò dai miei e spero di passare qualche giorno di riposo e magari sentire anche i piani di Alice, per poterci vedere di nuovo. Non so nemmeno se abiti sempre a Milano o sia solo una studentessa fuori sede. In qualsiasi caso, vorrei passare un po' di tempo con lei e conoscerla meglio: potrei proporle di passare il Capodanno insieme, sempre che non abbia già qualche piano. Se devo essere sincero non ho mai apprezzato i festeggiamenti per l'anno nuovo, anzi tutt'altro, soprattutto viste le diverse feste caotiche e con un tasso alcolemico decisamente troppo alto alle quali ogni anno mi ha trascinato Matteo. Inutile dire che ogni volta mi è toccato fargli da balia e riportarlo a casa in stati pietosi perché non riusciva nemmeno a reggersi sulle gambe. Alzo gli occhi al cielo sorridendo al pensiero, più tardi lo chiamerò per accertarmi che non abbia dato fuoco alla casa mentre non c'ero. Come per altro è quasi già successo quando – non si sa bene per quale congiunzione astrale – si è appassionato alla cucina e ha deciso di comprare un fiammatore e caramellare qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, compreso lo strofinaccio con cui aveva avvolto un budino del supermercato, perché ovviamente era troppo faticoso farne uno in casa. Il pianoro in legno della cucina porta ancora i segni dei suoi esperimenti e non posso che scuotere ancora la testa esasperato. Devo aver fatto davvero qualcosa di terribile nella mia vita passata per trovarmi un amico così; meno male che gli voglio un gran bene altrimenti l'avrei già ucciso.

Matteo però non sarà la prima persona che chiamerò appena uscito da qui, proprio per niente. Un leggero formicolio mi pizzica le dita al solo pensiero: spero di trovarla ancora sveglia altrimenti sarò costretto ad aspettare fino a domani e sinceramente non mi va per niente, dal momento che le avevo promesso che l'avrei chiamata entro sera.

Finisco di sistemare l'attrezzatura di Max nei borsoni e contatto Jacques, sperando che non sia occupato con il mio capo e Silvia: chissà cosa sta combinando e cosa è mai successo tra quei due per spingerlo ad abbandonare il servizio fotografico di Dior e andare via con lei.

Fortunatamente l'autista mi informa che Max gli aveva già dato disposizioni in proposito e che sta arrivando a prendermi. Saluto Guillaume e gli altri ragazzi del set e finalmente esco nella fredda serata parigina. Rispetto a qualche ora fa e nonostante l'ora tarda, la piazza della cattedrale è gremita: i turisti, sfidando i fiocchi di neve che stanno cadendo lievi, si fermano ad ammirare tutto ciò che li circonda, alzando lo sguardo per ammirare l'imponenza della facciata della chiesa alle mie spalle.

È tutto così bello che non resisto e tiro fuori dallo zaino la mia macchina fotografica, pronto a scattare: mi prendo qualche minuto per regolare l'esposizione e la nitidezza e poi clicco immortalando qualche immagine per poi controllare velocemente il risultato perché fa freddissimo e mi si stanno congelando le mani. Il suono di un clacson richiama la mia attenzione facendomi alzare lo sguardo: la lussuosa limousine nera di Jacques mi sta aspettando all'angolo della piazza e mi affretto a raggiungerla. L'autista, vedendomi arrivare, scende per aiutarmi con le diverse borse sistemandole prontamente nel bagagliaio; lo ringrazio e saliamo in macchina. L'aria calda dell'abitacolo mi investe appena chiudo la portiera e rilascio un sospiro sollevato sfregando le mani tra di loro per riscaldarle. Jacques mi lancia uno sguardo dallo specchietto retrovisore mentre mette in marcia, «Bonsoir Edoardo, tout est allé bien?», mi domanda mentre si immette nello scarso traffico parigino. Annuisco e lo aggiorno brevemente sulla giornata cercando di essere il più conciso possibile: non voglio essere scortese e liquidare il tutto in poche parole, ma voglio chiamare Alice prima che sia davvero troppo tardi. Lui sembra accorgersene perché mi scocca un sorriso furbo, «Je sais ce que tu veux faire, appelle-la». Rimango un attimo di stucco e lui mi incita facendomi un occhiolino, «Ah, l'amour». Batte poi una mano sul volante rilasciando un sospiro profondo e sorridendo apertamente di fronte alla mia espressione basita.

Sorrido anche io scuotendo la testa e afferrando il cellulare: scorro velocemente i contatti e finalmente premo sul nome di Alice. L'ho salvato vicino a un piccolo girasole, lo stesso che le marchia la pelle delicata del collo. Faccio partire la chiamata e trattengo il respiro: uno squillo, due... «Ti prego, fa' che non stia dormendo», sussurro tra me e me, mentre guardo fuori dal finestrino la città scorrere veloce intorno a me.

«P-pronto?», esordisce timida con un filo di voce. Un sorriso spontaneo mi si apre sul volto e realizzo quanto mi sia mancata la sua voce, anche se per poco. In questo momento me la immagino con le sue guance rosse e un pigiama buffo, intenta a leggere qualcosa.

«Ciao. Come stai?», esordisco. «Mi dispiace tantissimo per l'ora, ma sono stato sul set fino a poco. Ci tenevo a chiamarti però, te l'avevo promesso, d'altronde», dico sicuro e lo penso davvero.

La sento trattenere un sospiro come se fosse incerta sulle parole da usare, ma la anticipo io, «Lo sai che ti avrei chiamata in qualsiasi caso, vero?». Questa volta sono io a trattenere il fiato, in attesa di una sua risposta.

«Sì, certo cioè... avrei capito se avessi cambiato idea e non mi avessi chiamata. Alla fine, non sei obbligato a farlo, se non ti va. In fondo puoi fare come vuoi», parla talmente in fretta che alcune parole le si ingarbugliano in bocca. Mi viene da sorridere di fronte alla sua insicurezza su determinate cose: è tanto sicura di sé su diversi aspetti, ma su altri proprio per niente. Forse non ha ancora realizzato l'enormità dell'interesse che ho verso di lei, verso la bellissima ragazza che è, in tutti i sensi possibili, tanto da togliermi il fiato.

«Alice», la richiamo interrompendo il suo sproloquio. Un sorriso spensierato campeggia sul mio volto, mentre aspetto che si fermi. «Sì?», chiede timida.

«Non vedevo l'ora di chiamarti», le dico addolcendo il tono. Ed è la pura e semplice verità, non vedevo l'ora di finire per poter parlare al telefono con lei e chiederle come fosse andato il viaggio.

«Davvero?», la sua voce è sempre più sottile e mi fa stare male l'idea che possa anche solo aver pensato per un attimo che non volessi chiamarla.

«Ti avrei telefonato cinque minuti dopo che sei salita su quel maledetto treno», le confesso. «Anzi, fosse stato per me non ti avrei nemmeno fatta partire». Non può nemmeno immaginare la voglia che avevo di chiederle di non prendere quel treno e restare con me qualche giorno a Parigi, ma sarebbe stato decisamente affrettato.

«Ho avuto una giornata decisamente impegnativa che sta finendo solo ora», continuo a spiegarle. «Il mio capo ha abbandonato il servizio e ha lasciato tutto in mano a me», le dico esasperato mentre la sento fare un'esclamazione stupita. «Fortunatamente, tutto è filato liscio e le fotografie non sono venute male», sbuffo una risata che contagia anche lei. «Ho anche liquidato in poche parole il povero Jacques per chiamarti, quindi ti prego, non pensare che non volessi farlo». L'autista, sentendo il suo nome, mi guarda dallo specchietto retrovisore alzando un sopracciglio in maniera ambigua e scoccandomi un sorriso.

Dall'altro capo della linea Alice scoppia a ridere, «Ma poverino, avresti potuto scambiarci due parole», mi rimprovera giocosa. 

«Oh, ma gli ho risposto, ma mi ha visto distratto. Chissà perché, forse perché mi si leggeva in faccia la voglia di sentirti. E poi, è stato lui ad accompagnarmi di corsa questo pomeriggio in stazione, quindi capisce benissimo».

La sento sospirare: se sta pensando come me al nostro saluto non posso che capirla. Il brivido familiare che mi accompagna ogni volta che ci penso torna a propagarsi lungo la mia spina dorsale e, se lei fosse qui con me, la bacerei fino a farle dimenticare il suo nome. Dio, ho voglia di posare le mie labbra su ogni centimetro del suo viso e sentire di nuovo il sapore delle sue, di labbra.

Mi schiarisco la gola e scuoto la testa per tornare a concentrarmi sulla telefonata, «Il viaggio è andato bene? Sei arrivata a casa sana e salva?».

«Se per "bene" intendi le ore di interrogatorio a cui mi ha sottoposto Aurora, allora sì, è andato alla grande», ride e contagia anche me. Inizia a raccontarmi delle estorsioni di informazioni a suon di macarons al caramello salato – che scopro essere i suoi preferiti – e degli sproloqui della sua amica, che, da quanto mi sta dicendo, sembra essere una tipa decisamente spumeggiante. Probabilmente andrebbe d'accordo con Matteo, due tipi così esuberanti non potrebbero che trovarsi.

La voce dolce di Alice mi accompagna per tutto il tragitto in macchina, pian piano sta riprendendo la confidenza che c'è stata tra noi l'altra sera, mostrandomi nuovamente il suo lato arguto e sagace. Rido di gusto come non mi capitava da tempo e sono quasi dispiaciuto quando Jacques accosta l'auto di fronte all'ingresso dell'albergo. Si affretta a scendere e aprire il bagagliaio per recuperare l'attrezzatura di Max e aprirmi poi la portiera. Lo ringrazio con un cenno per poi salutarlo, recuperare le diverse borse e entrare nella hall dell'hotel.

«Insomma, questo è quanto», conclude il riassunto della sua serata, passata a quanto pare a ingozzarsi di schifezze, cercando di trattenere uno sbadiglio. Lancio un'occhiata all'imponente orologio che si trova sopra alle porte dell'ascensore e vedo che ormai è quasi mezzanotte. «Ti terrei ancora al telefono per un po'», le dico sincero, ma sento che è stanca e non vorrei tenerla troppo sveglia a lungo. «Ma il tuo sbadiglio è arrivato forte e chiaro! So di non essere la più brillante delle compagnie, ma proprio sbadigliarmi nelle orecchie non è il massimo per la mia autostima», la stuzzico fingendo un tono sconvolto, mentre chiamo l'ascensore.

«Ehi», mi rimprovera scherzosamente scoppiando poi a ridere: la sua risata cristallina mi risuona nelle orecchie, ma poi improvvisamente si ferma e prende un respiro profondo. Rimane in silenzio un paio di secondi, come se stesse soppesando qualcosa e sto per chiederle cosa sia successo, ma lei mi precede.

«Sei una delle compagnie più belle che abbia mai avuto, in realtà», confessa con trasporto, come se mi stesse rivelando chissà quale segreto. Rimango un attimo senza parole, il fiato mi si blocca in gola e una sensazione di calore si spande per tutto il mio corpo. È la prima volta che Alice si sbilancia così tanto nei miei confronti e non posso che sentirmi lusingato da quello che mi ha appena detto.

Sorrido istintivamente, «Tu sei decisamente la compagnia più interessante che io abbia mai avuto». E sono sincero perché lo è davvero, senza nessun dubbio alcuno.


Buongiorno e buon sabato a tutti!

Oggi è il mio compleanno e faccio un quarto di secolo (sono ormai vecchissima, lo so;)), quindi mi sembrava più che giusto pubblicare il capitolo 25 in "onore" dei miei 25 anni!

Come al solito, Alice si sta facendo una miriade di paranoie (strano!) e si sta lambiccando il cervello quando in realtà il povero Edoardo è rimasto a lavorare fino a tardi! Fortunatamente riesce a sentirla prima che vada a dormire rassicurandola! 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, fatemi sapere che ne pensate!

Un bacio enorme, io vado a rimpinzarmi di torta!

A presto,

Alice.

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