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Quasi 11 mila letture!

Oh mio dio. E chi l'avrebbe mai detto? Io no. Sono davvero davvero senza parole e non immaginate nemmeno quanto questa cosa mi faccia felice. Quindi vi ringrazio dal profondo del cuore per essere qui a leggere, commentare e votare una storia che per troppo tempo ho avuto paura di pubblicare.

Per festeggiare (e per scusarmi ancora del mio enorme ritardo) ecco a voi un capitolo nuovo!

Ali. x

***

Edoardo

So honey now
Take me into your loving arms
Kiss me under the light of a thousand stars
Place your head on my beating heart
I'm thinking out loud
Maybe we found love right where we are

Alice volteggia per la sala e io la accompagno nella danza, seguendo le dolci note dell'orchestra che suona all'angolo dell'enorme salone dorato. Il suo vestito blu notte brilla alle luci dei lampadari di cristallo, muovendosi sinuoso insieme alla sua figura, ma l'abito non è l'elemento che brilla di più, perché quello che spicca davvero è il suo sorriso; il sorriso che mi rivolge mentre le faccio fare una giravolta e la riprendo tra le braccia per stringerla a me.

La tempesta e le preoccupazioni di poco fa sembrano ormai un ricordo lontano mentre la musica ci accompagna nei nostri movimenti.

«Dove hai imparato a ballare così?», mi domanda Alice, dopo l'ennesima giravolta che le faccio fare. «Non mi hai mai fatta volteggiare così», mi rimprovera bonariamente con una scintilla divertita nello sguardo.

«Non ne abbiamo mai avuto l'occasione», le sorrido. «E poi, un ragazzo non può svelare tutti i suoi segreti», le faccio un occhiolino.

Alza gli occhi al cielo e fa per ribattere, ma la anticipo, «E no, non conto il ballo che ti ho proposto sotto l'albero come un'occasione. È già tanto che tu mi abbia detto di sì, quella sera», le sorrido e le do un veloce bacio sulle labbra. «E poi ti ricordi come è andata, no?».

Alice gonfia le guance e poi espira, «Beh, forse se mi avessi già mostrato allora le tue doti da ballerino, forse sarebbe andata diversamente».

Ci sono un po' troppi "forse" in questa frase e, infatti, ci guardiamo e poi entrambi scoppiamo a ridere di fronte all'impossibilità delle sue parole.

«Certo, come no», la prendo in giro stringendola ancora un po' di più a me. Non credo che dimenticherò mai quella sera, non dimenticherò mai lei, il suo dolce profumo, la prima volta che l'ho stretta tra le braccia e il calore della sua pelle sotto al palmo della mia mano. Sono tutti dettagli che custodisco gelosamente, nonostante l'epico fallimento di quella sorpresa.

«Beh, sei molto bravo, soprattutto visto che stai riuscendo a far sembrare sciolta e coordinata un manico di scopa come me».

Alzo gli occhi al cielo io questa volta e scuoto la testa, «Ma smettila, sei perfetta».

«E tu troppo gentile come al solito, ma continua pure, stasera va bene così. È un bel balsamo dopo tu sai cosa», le si spezza un po' la voce sulla fine della frase.

Un brivido mi percorre la spina dorsale e istintivamente la stringo a me, «Potresti per cortesia non ricordarmelo che mi viene il voltastomaco al solo pensiero?».

Devo aver assunto un'espressione più schifata di quanto non pensassi perché Alice scoppia a ridere, lasciando andare la testa all'indietro. La sua gola si espone alla mia vista e non resisto nel posare le labbra sulla pelle delicata per un veloce bacio.

«Sono una brutta persona se sono felice di vederti schifato da questa cosa? E sono ancora peggiore se mi sento lusingata se un bel ragazzo come te preferisce baciare me piuttosto che una supermodella perfetta?».

Sorride compiaciuta quando torna a guardarmi: una scintilla divertita le illumina lo sguardo e una ciocca ribelle dei suoi lunghi capelli scuri le copre una guancia, arricciandosi all'altezza della gola. Gliela sistemo dietro all'orecchio e le accarezzo il lobo a cui è attaccato un bell'orecchino a stella. E nel momento in cui la sua pelle reagisce al mio tocco, quando sento le sue labbra schiudersi e inspirare bruscamente che tutto il rumore della sala, il chiacchiericcio, la musica e qualsiasi altra cosa spariscono immediatamente e vengo catapultato in quella bolla che si crea spesso e volentieri tra me e Alice e che esclude tutto il mondo.

In questi momenti esistiamo solo noi, o meglio esiste solo Alice, luminosa come il sole, verso la quale sono irrimediabilmente attirato.

In questi istanti sono Icaro, sento la stessa irrefrenabile attrazione che ha provato il ragazzo del mito e, come lui, non ho paura di bruciarmi le ali o precipitare in mare. Ma a differenza della tragica fine del giovane che si è spinto sempre più in alto fino a morire, io non precipito o muoio annegato perché il calore di Alice scalda e avvolge e non brucia fino a sciogliere le mie ali di cera.

Come in trance percorro con la punta dei polpastrelli la linea dolce del collo, scendo lungo le clavicole e inizio a tracciare una linea immaginaria al di sopra dello sterno lasciato scoperto dalla profonda scollatura del vestito. Alice trattiene il respiro e io alzo gli occhi verso il suo viso, fino a incontrare il suo sguardo, per la milionesima volta della serata, ma che non mi stanca mai: le sue guance sono in fiamme, dello stesso colore della porpora che adorna le pareti della sala.

«Ti ho già detto che sei bellissima con questo vestito addosso?», sussurro tra i denti, ma non mi aspetto una risposta perché continuo. «Sei stata decisamente una visione quando ti ho vista entrare nella sala, non potevo credere ai miei occhi, pensavo che fossi arrabbiata, che avrei dovuto passare la notte sotto casa tua per farti capire che quello che è successo non era vero... e invece tu eri lì, fiera e bellissima e mi stavi cercando e io...», non trovo le parole, ma sono così fiero di lei, perché ho visto come è cambiata in questi mesi insieme. Come sia diventata sicura di me, di noi, della nostra relazione e non sia più insicura, impacciata o timida, come era all'inizio.

«Io sono fiero di te, Ali», la guardo negli occhi. «Lo sono sempre stato in realtà, perché ci sono miliardi di motivi per essere fieri di te, ma adesso lo sono ancora di più e sono così felice che tu sia diventata molto più sicura di te, di me, di noi. Ed è tutto merito tuo, di nessun altro».

Alice ha gli occhi lucidi adesso e quando parla una minuscola lacrima scappa al suo controllo, «Il merito non è solo mio, ma anche e irrimediabilmente tuo».

Faccio per ribattere, ma scuote la testa e mi posa l'indice sulle labbra, «Non dire di no perché è così, mi stai facendo vivere la favola che mai avrei sognato di vivere. Sei entrato nella mia vita e l'hai stravolta: hai fatto credere a me nell'amore di carne, quando io credevo potesse esistere solo quello di carta, che ho sempre letto nei miei romanzi. Quelli con il lieto fine scontato, quelli con quel sentimento talmente puro da non sembrare possibile», mi rivolge un sorriso timido, il mio preferito.

«Ma mi hai anche fatto capire che non deve essere per forza e sempre tutto perfetto, che va bene mostrarsi per quello che si è, con le proprie debolezze e difetti, perché l'altra persona non è lì per giudicarli, ma per sostenerti, aiutarti e venirti incontro dove tu manchi. Ed è quello che hai fatto tu nei mesi passati, mi hai fatto capire tutto questo e quindi è per questa ragione che io stasera non ho voluto farmi schiacciare dai miei soliti pensieri negativi e catastrofici, ma ho voluto indossare un vestito e venirmi a prendere quello che mi fa stare bene, mi fortifica e mi rende una persona migliore».

«Ti amo Edoardo, ti amo a tal punto che a volte fa male, ma non sono più spaventata da questo sentimento straordinario che provo, non voglio più farmi trascinare dalla corrente, ma voglio cavalcare le onde di questo oceano di sensazioni che mi fai provare».

Mentre mi dice tutto ciò non distoglie mai lo sguardo, fiera come una guerriera pronta alla battaglia e io non resisto un attimo di più, non riesco a trattenermi dallo stringerla a me, stamparle un bacio sulle labbra e prenderla subito dopo per mano e trascinarla di corsa fuori dalla sala.


Alice

«Cioè fammi capire: ti sei presentata lì, vestita di tutto punto, infuriata come una iena per riprenderti sto rincoglionito che è talmente pollo da non essersi accorto che quella lì pianificava di fargli uno scherzetto del genere da tempo e ne sei uscita vittoriosa?», Matteo mi guarda con ammirazione mentre mi bombarda di domande e quando io annuisco sfodera un sorriso compiaciuto. «Ti prego dimmi che vi siete prese per i capelli e avete inscenato una lotta nel fango».

A queste parole però mi strozzo con il tè che sto bevendo e Edoardo deve darmi qualche pacca sulla schiena per farmi tornare a respirare.

«Mat ma che cazzo, ma che ti passa ogni volta per il cervello?!», Edoardo rimprovera il suo amico mentre io scoppio a ridere.

«Oh, sì e poi la gente lì presente ha iniziato a scommettere e Max ha regolato l'incontro. Ho portato a casa la lotta e un lembo del vestito di Vittoria».

«Davvero?».

«E anche una ciocca di capelli», annuisco e prendo un altro sorso di tè, mentre il coinquilino di Edoardo cerca di capire se lo stia prendendo in giro o meno.

Siamo nella cucina di Edoardo, a fare quella che era una colazione tranquilla, o almeno lo è stata finché Matteo non si è svegliato, ci ha deliziato con la sua presenza e ha iniziato a bombardarci di domande e di battute come al suo solito. Domandandomi poi qual "buon vento" mi portasse lì da loro; la storia ovviamente è venuta fuori e Matteo, da buon curioso, ha voluto tutti i dettagli.

«Ma certo», sorrido sotto i baffi portandomi la tazza al viso.

«Ah-ah spiritosa», si sistema il ciuffo biondo, sedendosi poi al tavolo.

Ci guarda poi in attesa, «Che c'è per colazione?», si rivolge in particolar modo a Edoardo che alza le sopracciglia. «Oh, Ed, non fare quella faccia, so che quando Alice si ferma a dormire, tu ti alzi prima e scendi in panetteria a prendere le brioches. Non mentire», si appoggia meglio allo schienale. «Sempre che quella mattina tu non abbia piani, come dire... più piccanti», mi scocca un occhiolino che mi fa avvampare. «In quel caso, so che non ci sono le brioches. Ma non sareste nemmeno in cucina, quindi cacciale fuori».

Edoardo alza gli occhi al cielo, «Mat, non ti commento neanche», dice alzandosi per prendere il sacchetto con le brioches per poi farglielo scivolare sul tavolo.

«Aaaaah», esclama l'altro goduto aprendo il sacchetto e tirandone fuori un cornetto alla marmellata. «Deduco quindi che non ci sia stata nessuna attività fisica mattutina».

Addenta la brioche e mi lancia nuovamente un'occhiata maliziosa, ma questa volta colgo la palla al balzo e decido di divertirmi un po', «Ne se così sicuro? Magari invece l'attività fisica c'è stata eccome, soprattutto sul tavolo di questa cucina», alzo le sopracciglia e lo guardo con espressione compiaciuta, facendo poi scorrere distrattamente un indice sul bordo del tazza del mio tè.

A queste mie parole Matteo sgrana gli occhi, mastica veloce e inghiotte, «Non ci credo, pupa. Non è da te», si passa una mano tra i capelli e mi fissa.

Soprassiedo sul "pupa" - un vocabolo che a quanto pare gli piace sempre tanto da usarlo con chiunque: me, le ragazze con cui esce, qualsiasi essere femminile che respira, anche con la vicina di casa, ogni tanto - e lo incalzo ancora.

«Ne sei così sicuro?», prendo un sorso di tè continuando a guardarlo. Sento Edoardo sistemarsi meglio sulla sedia vicino alla mia e cingermi le spalle con un braccio, mentre si lascia andare a una risatina accennata. Capendo che voglio prendere in giro Matteo, mi stringe a sé e poi mi posa un bacio sulla tempia, che dura molto più del dovuto.

«Non mi fregate», ribatte sicuro, ma io non distolgo lo sguardo e Edoardo inizia a giocare distrattamente con una ciocca dei miei capelli, per poi guardare a sua volta l'amico.

A questi gesti, inizio a vedere i primi segni di dubbio nel coinquilino di Edoardo: mi fissa per qualche istante e poi inizia ad alternare lo sguardo tra me e il ragazzo seduto al mio fianco.

Matteo inghiotte il nuovo boccone e alza gli avambracci dal tavolo, come se gli facesse schifo toccarlo e allora rincaro la dose.

«Bravo, fai bene», gli dico arricciando le labbra in una smorfia. «Ma... fossi in te non starei seduto nemmeno lì...».

A queste parole, sbianca e si alza di scatto, rovesciando la sedia e io e Edoardo, dopo un attimo di silenzio in cui lo vediamo soppesare le possibilità, non possiamo fare a meno di scoppiare a ridere di fronte alla sua reazione.

Inizia a strofinarsi gli avambracci e il sedere come se si fosse imbrattato di terra e ci guarda con occhi di puro disgusto al che Edoardo afferra il cellulare e gli scatta una fotografia, per immortalare il momento.

«Mat, rilassati. Sta scherzando, ma ti pare! Non siamo mica come te, io e Ali», Edoardo gli lancia uno sguardo fin troppo consapevole e arriccia le labbra. «Vogliamo ricordare quella volta in cui...».

Mi tappo le orecchie con le mani, «Lalalala, no grazie», mi affretto a dire. «Ti amo Edoardo e a Matteo voglio bene, ma non credo di essere pronta a sapere dove e in che posizioni l'hai trovato. Soprattutto se riguardano questo tavolo o questa cucina».

«Oh, cara», ribatte adesso sornione Matteo, dopo aver ripreso un colorito normale. «Invece se sapessi, molleresti quello lì e faresti follie con me», mi scocca un occhiolino e mi manda un bacio volante.

Scoppio a ridere, «Grazie, ma no passo».

«Sicura?», ammicca ancora. «Perché sai, io...», abbassa velocemente lo sguardo sul cavallo dei pantaloncini del pigiama. «lì sotto, sono messo decisamente meglio di lui».

Avvampo e Edoardo interviene piccato, «Ti piacerebbe, Mat. Ti piacerebbe proprio».

Il biondo sfodera un ghigno e sta per ribattere quando io alzo una mano per fermarlo, «Okay, tregua. Basta così, sinceramente posso anche fare a meno di sentire parlare dei vostri... attrezzi. Sto a posto così».

Matteo scoppia a ridere e poi torna finalmente a mangiare la sua brioche. Io invece bevo l'ultimo sorso di tè e mi alzo per lavare la mia tazza e quella di Edoardo, scacciando con un gesto la mano di quest'ultimo che prova ad afferrare la mia maglietta per farmi stare seduta perché non vuole mai che io lavi i piatti o metta su una lavatrice, sostenendo che sono a casa sua e che quindi non devo sbattermi per lui.

Mi volto e gli scocco un occhiolino e lui in tutta risposta alza gli occhi al cielo trattenendo a stento un sorriso. Mi squadra poi con quei suoi occhi incredibilmente verdi con la stessa intensità con cui mi guardava ieri, nonostante io oggi sia in maglietta e pantaloncini, struccata e con gli occhiali. Arrossisco appena e lui sorride sornione e mima un «ti amo» con le labbra. Sorrido anche io e scuoto la testa, mentre un nugolo di farfalle mi si scatena nello stomaco.

È sempre così, quando Edoardo mi guarda e mi sorride, non riesco a controllare le reazioni del mio corpo. Non che di solito riesca a gestire il rossore sulle mie guance, sia chiaro, ma con lui è sempre peggiore la situazione, tanto che a volte sono più rossa di un semaforo, il che ovviamente suscita sempre l'ilarità generale e mi rende ancora di più un bersaglio facile di prese in giro, soprattutto da parte delle mie amiche.

«Porca puttana!», Matteo si schiarisce la voce, interrompendo l'incantesimo che si crea ogni volta che ci perdiamo a guardarci, e lancia uno sguardo preoccupato a Edoardo e a me mostrandoci poi lo schermo del suo cellulare. «Aspetta che ti giro il link, così potete vedere entrambi dal tuo cellulare».

Edoardo apre il link che gli ha mandato Matteo e corruga la fronte sbiancando improvvisamente. Si alza poi di scatto e si porta una mano tra i capelli tirando le ciocche castane; il che non è mai un buon segno.

«Che succede?», domando preoccupata, sciacquandomi e asciugando le mani con lo strofinaccio appoggiato vicino al lavello.

«Le foto del red carpet di ieri sera...», afferma Edoardo preoccupato. «Sono...».

«Dappertutto!», ribatte allibito Matteo, facendo scorrere le dita sullo schermo. «Profili Instagram, Twitter, pagine updates su Vittoria. Cazzo Ed, sei ovunque! Letteralmente ovunque, stanno iniziando anche a scrivere articoli su di te».

Mi avvicino a Edoardo, per vedere le fotografie e non appena vedo il vestito rosso di Vittoria una stilettata mi punge lo stomaco. Ho di nuovo davanti agli occhi la scena che ho visto ieri e sinceramente speravo di non vederla più.

«Ci sei anche tu», aggiunge poi Matteo, continuando a far scorrere le dita sullo schermo alla ricerca di notizie. «Tutti si stanno domandando chi sei, da dove vieni, per chi sfili addirittura, ma soprattutto sono curiosi del triangolo amoroso che dovrebbe esserci tra Edoardo, la modella e te».

Sbianco io questa volta e mi gira la testa, «I fotografi erano anche all'interno della sala?».

«No», dice Edoardo torturandosi una pellicina del pollice. «Ma ci hanno fotografati mentre uscivamo e ci hanno scattato alcune foto mentre siamo mano nella mano e i giornalisti hanno ricamato su una storia».

Mi siedo e chiedo a Edoardo di passarmi il suo telefono: ha ragione Matteo, io e lui siamo dappertutto e vedo anche diversi articoli che si interrogano sul possibile triangolo amoroso. I commenti non si sprecano, sono tantissimi, soprattutto dei fan di Vittoria, e non sono per nulla carini nei miei confronti.

Ma certo, d'altronde ai loro occhi, non sono altro che una ragazza anonima, sbucata dal nulla e che se n'è andata con il presunto fidanzato di una super modella e non Alice, quella con cui Edoardo sta davvero uscendo.

Rimango però lo stesso stupita dalla quantità di odio che la gente riesce a riversare sul prossimo senza conoscerlo e mi chiedo come si faccia a rivolgere delle tali cattiverie nei confronti di perfetti sconosciuti.

«Io quella la ammazzo», sbraita Edoardo battendo un pugno sul tavolo. «Lei e il suo agente, sono stati sicuramente loro a fomentare le voci! Devo andare in ufficio da Max e vedere di risolvere questa situazione». Si alza dalla sedia e si fionda in camera sua per vestirsi alla veloce, lo sento imprecare e sbattere contro qualcosa, ma non ci faccio poi così tanto caso perché i miei occhi continuano a scorrere tra i commenti.

Per tutti gli utenti non sono altro che una stronza, una puttana, una signorina nessuno che sta rubando il fidanzato di Vittoria Cerutti e che merito di morire per aver solo provato a fare un torto alla loro beniamina.

Sono senza parole: come si può arrivare a dire queste cose? Ho un peso sullo stomaco e mi viene da vomitare.

Ma tutto ciò passa in secondo piano quando il telefono di Edoardo inizia a squillare e un numero sconosciuto compare sullo schermo.

Istintivamente, al contrario di quanto farei di solito, scorro l'indice sul tasto di risposta e mi porto il telefono all'orecchio e nel momento in cui sento la voce dall'altra parte sbianco, dimenticandomi delle foto, degli articoli di giornale, dei commenti perché è una voce che riconoscerei tra milioni e che mai avrei pensato di sentire dal microfono di un cellulare.

Non può essere.


***

Chi sarà mai?

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