Cap XIII - Aiutare la Volpe

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Come previsto, il piccolo villaggio era poco più che un gruppetto di case di paglia e legno, con un fiumiciattolo che scorreva placido a sinistra e le risaie a destra.
Yoichi contò circa una decina di case, cosa che poteva indicare una trentina di persone al massimo.
Dalla sua posizione nel boschetto a nord, l'elfo poteva vedere i nastri e le decorazioni posizionate sugli alberi, ad accogliere la benevola kitsune appena giunta tra loro. Yoichi si concesse un sorriso, pensando a che genere di calamità si era appena abbattuta tra i poveri villici; forse Ren avrebbe resistito un giorno intero, poi si sarebbe messa a sedurre tutti i mariti.
Poteva quasi vederla, mentre tormentava un poveretto, sotto lo sguardo terrorizzato e disperato della moglie. L'incantatore batté le palpebre, e di colpo nella sua mente era lui quello legato, alla mercé della kitsune, mentre Ayako lo fissava immobilizzata, il volto distorto da rabbia e disperazione.
La scena fu così sconvolgente, che l'elfo dovette ficcarsi le mani in bocca per non urlare.
Da quando erano partiti da casa, circa due settimane prima, né lui né Ren avevano più parlato dell'argomento, anche se la kitsune aveva fatto una battuta o due.
E ogni volta, Yoichi aveva sentito il proprio umore scendere a picco.
Ripensare a Ayako voleva dire tornare nella mente alla partenza, a quelle parole strane e a quel vortice di pensieri che non voleva  saperne di placarsi.
Schiaffeggiandomi le guance per ritrovare la concentrazione, Yoichi decise che era il momento per il finto attacco. Non aveva nessuna intenzione di uccidere innocenti, doveva solo metter loro paura e convincerli a andarsene; alle brutte, avrebbe dovuto bruciare una casa o due.
Per non perdere altro tempo, dispose davanti a lui i piccoli riquadri di carta, piegandoli in modo che avessero la forma di una testa.
Il lavoro ripetitivo gli fece vagare la mente, cosa che Yoichi provò ad arginare canticchiando qualche mantra.
L'unico risultato fu che, pochi minuti dopo, una quindicina di teste di carta fosse allineata davanti a lui, e che mille ricordi di lui che giocava e studiava con Ayako nel santuario gli avevano affossato l'umore.
Sbuffando, e rigirandosi trai denti imprecazioni contro se stesso, Yoichi tracciò la formula di creazione sulla pergamena, scrivendo il simbolo per "guerriero" quindici volte.
Si tagliò il palmo della mano destra, facendo gocciolare un po' di sangue nell'inchiostro, e aggiunse il suo nome templare all'incantesimo.
I caratteri del simbolo "guerriero" si animarono, strisciando come serpenti verso i volti di carta; si impressero su ogni testa con uno scintillio, e in pochi momenti colate di inchiostro davano forma a quindi guerrieri in armatura, tutti col volto in ombra sotto le maschere degli elmi, ognuno armato di katana e arco lungo.
Yoichi intrecciò le mani nel segno di comando, poi comandò ai guerrieri di muovere contro il villaggio.
Li guardò scendere dalla collinetta di corsa, urlando con voci distorte e demoniache. I contadini li videro arrivare, e ben presto si diedero alla fuga, anche se un paio abbozzarono una parvenza di resistenza, mulinando a casaccio forconi e zappe.
Ma visto che era impossibile ferire quegli shikigami in quel modo, la resistenza durò ancor meno del previsto.
Sospirando, Yoichi finì di piegare un altro terzetto di shikigami. Ripeté il procedimento, sorridendo maligno
«Kamayuri no Ren, kitsune di Izanami»
Con una maligna soddisfazione, Yoichi guardò tre shikigami a forma di cane correre lungo la collina, latrando e abbaiando inferociti.
Per un momento, fu certo di sentire l'urlo terrorizzato della malefica yokai.

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