Capitolo 16. Alla fine dei secoli

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Aveva ascoltato il racconto dell'apparizione in silenzio e con una sensazione di angoscia sempre più opprimente. Alla fine, Giorgio Archi era stato di parola e, nell'ultimo anno di vita, non aveva fatto parola con nessuno di ciò che aveva scoperto; persino sua moglie non sapeva che cosa lo avesse spinto verso quella ricerca.

Leonardo aveva passato gli ultimi otto anni a giudicare con rancore le azioni del padre, odiandolo in silenzio per la tremenda decisione di abbandonare la vita e arrendersi, solo per scoprire troppo tardi che c'era in azione qualcosa di ben più grande di tutti loro. Le sue azioni non erano state frutto dell'egoismo: voleva soltanto proteggere la famiglia che amava dalla minaccia dell'immortale. Ma perché uccidersi allora? Perché non chiedere aiuto, alla fine?

«Quell'anno trascorse rapido come una settimana,» disse Giorgio, affranto. «Lessi i più antichi tomi, chiesi il supporto di altri maghi, sperimentai formule e rituali vietati dallo Statuto. Non ottenni nulla. Ci sono cose che persino la magia non può ottenere; il prezzo richiesto è troppo alto, nessun mortale potrebbe pagarlo.»

Lo spettro esitò, chinando il capo con aria afflitta; i suoi contorni, prima tangibili, sembravano farsi via via sempre più tremolanti e nebulosi, come fosse un ologramma di un vecchio film di fantascienza. Era chiaro che il tempo che era stato loro concesso stava per esaurirsi: Leonardo non lo avrebbe rivisto mai più, forse neanche in quegli incubi che gli avevano cambiato la vita.

«Perché non ce ne hai parlato? Avremmo potuto aiutarti,» chiese il ragazzo.

Giorgio rialzò gli occhi sul figlio e scosse il capo, parlando sconsolato.

«Ho fatto tutto per proteggervi,» spiegò, il timbro della voce era mesto e rassegnato. «Mi avrebbe usato contro di voi e... non riuscivo a oppormi a lui, non ero abbastanza forte.»

Un rombo di tuono dall'esterno fece sobbalzare i due maghi e la luce nella stanza si spense, lasciandoli nel buio pesto. Leonardo sentì il respiro affannoso di Michela farsi più vicino e iniziò a tastarsi frenetico le tasche alla ricerca del telefono; non fece in tempo a impugnarlo prima che il lampadario tornassero a illuminare l'ambiente.

Lo spetto del capofamiglia Archi era sparito e nulla in quelle quattro mura poteva provare che i due giovani maghi avessero davvero assistito al suo ritorno, seppur momentaneo ed evanescente.

«No...» sussurrò Leonardo, avvicinandosi alla scrivania. «No! Non è abbastanza!»

Michela fece un sospiro e gli si accostò, appoggiandogli una mano fredda sulla spalla.

«Abbiamo ciò che ci serviva,» disse. «Non otterremo di più con le nostre capacità.»

«Dobbiamo riportarlo indietro!» ringhiò lui, voltandosi di scatto a fulminarla con un'occhiata. «Deve dirmi ancora troppe cose! Non può farlo ancora... non può andarsene così, su due piedi.»

Senza neanche accorgersene, aveva ricominciato a piangere. Non provò neanche a fermarsi; non gli importò di sembrare un bambino lagnoso davanti a Michela, né si curò di nascondere a sé stesso i sentimenti che dapprima tentava di reprimere. Per pochi minuti gli era parso che nulla fosse cambiato e che Giorgio non avesse mai esploso il colpo di pistola che lo aveva separato dalla famiglia. In quel misero frammento di tempo, aveva sperato che tutto potesse tornare alla normalità, o che fosse possibile cancellare gli ultimi otto anni e ricominciare a ricostruire una nuova vita tutti insieme. Purtroppo, lo sanno tutti, la magia può dare tanto, ma non ti rende onnipotente. Quanto di sé aveva dovuto sacrificare soltanto per poter rivedere suo papà per una manciata di minuti? Ancora non lo sapeva, ma non dubitava che il conto sarebbe arrivato quanto prima: la magia dà con una mano e pretende con l'altra, concedendo i suoi doni solo finché si è in grado di ricompensarla. No, Leonardo non avrebbe cambiato l'idea che aveva della magia solo perché aveva potuto parlare con il padre un'ultima volta. Era stato solo un inganno, un'illusione di una vita migliore che non sarebbe comunque mai arrivata.

«Lascialo andare,» mormorò Michela. Gli si era fatta più vicina e, senza aggiungere altro, aveva cinto le spalle dell'amico in un tiepido abbraccio.

Sul momento Leonardo rimase immobile, irrigidendosi in quell'inaspettata stretta. Ci mise, però, solo pochi istanti per arrendersi alla sua vicinanza; una lieve fragranza fruttata gli accarezzò le narici mentre accostava il volto alla chioma corvina della maga, perdendosi in una voragine di piacevoli sensazioni. Rimasero così per alcuni lunghi secondi, poi Michela sciolse le braccia che lo avvolgevano e si scostò di qualche centimetro: il volto era arrossato e sembrava turbata, forse addirittura imbarazzata.

«Ah, cazzo,» disse, aggiustandosi i capelli dietro le orecchie. «Io che coccolo un Archi. Roba da matti!»

Per Leonardo fu come dimenticare tutta la tristezza e la negatività di pochi attimi prima: si lasciò andare a una sincera risata che risuonò nel silenzio dell'abitazione, fin nei corridoi bui e deserti. Era forse la prima in molto tempo, il primo accenno di reale allegria a cui si abbandonava senza pensare a cosa sarebbe successo quella notte, dopo aver appoggiato la testa sul cuscino. Persino Michela arricciò le labbra in un sorriso che provò a mascherare voltandosi rapida, in un evidente, quanto debole, tentativo di mantenere intatta la sua reputazione di donna autorevole che non si lasciava mai scomporre da nulla.

«Mes amis, siete qui?»

L'inconfondibile voce di Charlotte giunse dall'esterno dello studio a spezzare il particolare momento che si era creato tra i due maghi. Lo sguardo di Michela s'indurì all'istante e Leonardo si premurò di fare capolino dalla porta per chiamare la francese.

«Ecco dove eravate nascosti voi due piccioncini!» esternò la vampira con volto raggiante, entrando nella stanza.

«La parola piccioncini è uscita dal vocabolario da almeno mezzo secolo,» ribatté, acida, la maga.

Charlotte sghignazzò e si guardò intorno, come alla ricerca di qualcosa.

«Dov'è finito l'elfo? Credevo fosse con voi.»

«Non lo vediamo da prima,» rispose Leonardo. Si accostò al mobile e iniziò a far scorrere l'indice sul dorso dei cd audio ben allineati. Erano tutti ordinati cronologicamente, suo padre era un maniaco dell'ordine.

«C'è qualcosa di strano in quel ragazzo,» fece Michela.

«Sì,» concordò Charlotte, socchiudendo gli occhi e accarezzandosi il labbro con l'indice. «Avete fatto quello che dovevate?»

Leonardo si voltò verso la vampira e fece un cenno d'assenso con il capo.

«Sappiamo dove trovarlo,» spiegò. «Ne parleremo con tutte le famiglie al meeting; penso che saranno tutti d'accordo sull'affrontarlo senza indugiare oltre.»

La francese batté le mani un paio di volte.

«Meraviglioso!» esclamò. «Meraviglioso! Sapevo che non mi avreste deluso.»

«Non ci hai ancora detto come hai intenzione di ucciderlo,» la incalzò Michela, appoggiandosi al bordo della scrivania.

Il sorriso di Charlotte si fece meno luminoso, fino a trasformarsi in una smorfia.

«Già... immagino di doverlo fare, ora.»

Michela e Leonardo presero a fissarla con insistenza, lasciando che fossero i loro occhi a parlare. L'elfo era senza dubbio misterioso, ma anche Charlotte si era sempre premurata di centellinare le informazioni di cui disponeva.

«Lo sapete perché i vampiri sono creature rare?» chiese, ma non attese alcuna risposta prima di continuare. «La spiegazione è semplice: trasferire la nostra maledizione a un vivente comporta la nostra distruzione.»

Leonardo corrugò la fronte.

«L'ironia è proprio questa. È così semplice liberarsi della nostra tragica esistenza: dobbiamo soltanto uccidere un umano e desiderare di trasferire in lui la nostra pena. Chiunque lo potrebbe fare ed essere libero dalla vita fasulla a cui siamo condannati.»

«Perché non l'hai fatto, allora?» chiese Michela.

Leonardo si voltò di scatto verso l'amica. Ma che cazzo di domanda era? Voleva forse che Charlotte morisse? Tra le due non era mai corso buon sangue, ma quella frase pareva eccessiva persino per Michela.

La vampira abbozzò un sorriso e guardò Michela con una strana occhiata, pareva quasi... languida?

«Non puoi capirlo, se non lo provi. Non te ne faccio una colpa.» I suoi occhi celesti accarezzarono quelli smeraldo della maga, che spostò il peso del corpo sull'altra gamba, a disagio. «Non è bello sapere di essere morti, ma continuare ad avere la coscienza per rendertene conto. Nessuno che sappia cosa voglia dire potrebbe scegliere di imporre a un'altra persona questo strazio.»

Michela distolse lo sguardo dalla vampira e iniziò a fissarsi le scarpe. Eccolo, il vero aspetto del senso di colpa. Portare avanti quella recita le stava costando molto ed era possibile che anche lei stesse iniziando a sentire il peso di tutte le volte in cui aveva malamente apostrofato la loro nuova amica francese. Valeva la pena ferire i sentimenti degli altri per sembrare più forte agli occhi del mondo? Per Leonardo la risposta era sempre stata ovvia, ma la Guelfi doveva aver subito un'educazione del tutto diversa che, però, sembrava star vacillando nelle sue fondamenta. Non era stato lui l'unico a cambiare, nel corso di quei pochi giorni insieme.

«È una via d'uscita troppo facile e non ho intenzione di scaricare il mio peso addosso a qualcun altro. Nessuno si merita una sorte simile,» proseguì la vampira, facendo un passo verso la libreria e iniziando a guardare le copertine allineate.

Charlotte si fermò dando la schiena a entrambi e Leonardo la vide picchiettare il dito sul dorso di un libro, in un evidente moto di stizza.

«Fino a ieri lo pensavo. Poi ho capito cosa intendeva la Signora, quando mi parlò, quel giorno. Devo riportarlo dinanzi a lei, insieme a me.»

Michela alzò di colpo il volto e piantò gli occhi sull'esile schiena della francese.

«Ho capito che la mia tormentata esistenza terminerà insieme a Cailean,» proseguì Charlotte. Le sue parole si erano fatte più sommesse e la voce era meno brillante del solito.

Qualcosa si accese nella mente di Leonardo, la classica lampadina che si illumina sulla testa di Archimede Pitagorico nei fumetti Disney. Non ci aveva ancora riflettuto, forse per la stanchezza o forse perché aveva il cervello affollato dall'angoscia per ciò che avrebbe dovuto fare, ma che cosa aveva significato l'incontro con la donna misteriosa nella villa dei Doria? Con l'animo più libero, gli venne molto più facile fare due più due e provare a collegare elementi che aveva avuto dinanzi per tutto quel tempo.

«Il tuo vero nome è Marie?» azzardò lui.

Charlotte si voltò a fissarlo con gli occhi ridotti a fessure.

«Lo era,» confermò «ma come fai a saperlo?»

Raggelò e avvampò allo stesso momento. Lo stesso volto che lo aveva fatto sentire in pace in altre occasioni, adesso gli pareva sancire la sua fine. Bellissima e mortalmente pericolosa.

«Ho visto una donna, la notte scorse, dai Doria,» spiegò, liberandosi di un molesto groppo in gola. «Mi ha detto di dire a Marie che, presto, dovrà tornare al suo cospetto.»

Charlotte spalancò gli occhi e rimase immobile in quella posizione; dall'esterno giunse il cupo brontolio di un tuono. Michela non intervenne, ma si limitò a osservare la reazione della vampira e persino Leonardo, che aveva iniziato a sudare freddo, non sapeva bene cosa aspettarsi. Fino a pochi attimi prima era convinto che quell'episodio notturno non avesse alcun significato, ma sapere che qualcosa era apparsa a lui apposta per mandare un messaggio all'amica lo fece sentire in una posizione precaria, come parte di un dipinto di cui non riusciva i colori ma non le forme.

«Avevo ragione, allora,» fu il lapidario commento della donna. Il volto teso si sciolse in un sorriso appena abbozzato. «Sì: è quello che succederà. Ho dovuto vivere quasi quattrocento anni per trovare uno stronzo così grosso da permettermi di liberarmi della mia maledizione senza sentirmi in colpa.»

«Quindi funziona così?» chiese Michela, visibilmente confusa. «Non capisco perché trasformarlo in un vampiro dovrebbe ucciderlo? Lo renderesti... due volte immortale?»

«Lo porterei al cospetto della Signora e lei deciderebbe del fato della sua anima, come è stato per me,» rispose Charlotte. «Se Cailean è davvero lo spettro di... quel posto lì, è stata la Signora a dargli l'immortalità e lei può anche togliergliela.»

C'erano molte cose che Leonardo faticava a comprendere, ma due cose sopra tutto il resto gli vorticavano nella testa. Prima di tutto, Charlotte aveva appena detto che sarebbe morta per sconfiggere Cailean, e al solo sentire quelle parole il cuore di Leonardo sembrava essersi ristretto, proprio come quello del Grinch. Il suo cervello, invece, era uscito dall'incontro con Giorgio munito di una rinnovata flessibilità, come se in tutti quegli anni fosse stato intorpidito dalla paura e dall'angoscia, e gli stava suggerendo risvolti a dir poco inquietanti. Aveva già intuito molte cose, ma sentiva il bisogno di sentirsele dire da qualcun altro.

«La donna che ho visto... chi era?» chiese, alla ricerca della conferma di ciò che già temeva.

«La Signora,» disse Charlotte.

«La Morte,» disse Michela.

Le parole delle due donne si mescolarono in un'unica risposta e il mago esitò un istante prima di chiedere:

«Perché è venuta da me?»

Michela non parlò, ma, da come lo guardava, era palese che conoscesse la risposta. Fu però la vampira a rispondere, anche se con un uno strano giro di parole, come se pronunciare la verità le costasse un'immensa fatica.

«La Signora può entrare in contatto con i mortali che le sono vicini.» Aveva iniziato a parlare con tono accademico, ma le sue parole persero entusiasmo man mano che proseguiva e che si rendeva conto di ciò che comportavano. «Si palesa a chi è in punto di morte, ma non può contattare chi le è lontano. Io sono al suo servizio, ma non l'ho mai più vista da quando mi ha trasformato in vampiro; invece Cailean è la persona più distante da lei, in quanto immortale.»

Leonardo abbassò gli occhi, ben conscio di quello che Charlotte stava provando a spiegare.

«Trasferire la mia maledizione in Cailean vorrebbe dire riportare entrambi dalla Signora: io per essere liberata dal mio contratto, lui per sottoscriverne uno nuovo. A quel punto, però, lei potrà sistemare il problema una volta per tutte,» continuò la vampira. Per quanto dovesse essere contenta per aver scoperto la soluzione a quell'annosa questione, sembrava turbata.

Leonardo, invece, continuava a fissare il tappeto, come se potesse leggerci una spiegazione ai suoi dubbi. La Morte che si presentava a lui... poteva avere un solo significato e non era sicuro di essere pronto ad accettare la cosa. Ma, dopotutto, che soluzioni aveva? Poteva solo piegarsi al fato ineluttabile. Gli uomini non poteva sfidare la Morte, lo stesso Cailean ne era la prova. Gli esseri viventi, i maghi, la Trama, le nazioni, le stelle, l'universo... tutto si spegneva e nulla poteva evitare la propria sorte.

Alla fine dei secoli sarebbe rimasta solo lei, e nessun altro.

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