Capitolo 22. L'ultima promessa di Marie de Bourbon

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Quando Charlotte rinvenne, un timido raggio di sole le stava colpendo la guancia, estendendosi fino a solleticarle la palpebra chiusa. Sibilò infastidita e afferrò il lenzuolo, alzandolo fino a coprirsi il volto per sfuggire alla molesta luce del giorno, proprio come una liceale che reagiva male alla sveglia puntata alle sei e mezzo del mattino. Le bastò un istante, durante il quale si chiese come fosse finita sotto delle lenzuola, perché le tornasse alla mente tutto quanto: l'incontro dei maghi, l'attacco di Cailean, la spada infuocata, l'albero...

Scalciando come un'ossessa, lanciò via le sottili coperte e si mise seduta sul letto dove era adagiata; gli occhi sbarrati percorsero l'interezza della camera in cui si era risvegliata, indugiando un momento in più sulle tende tirate a coprire le finestre; la luce che l'aveva destata si era fatta strada fino a lei attraverso uno spiraglio delle pesanti coltri color porpora tese davanti ai vetri. Rimase interdetta a guardare il raggio di sole che le colpiva lo snello torace nudo, causandole un lieve pizzicore che non provava da moltissimo tempo, segno inequivocabile di quanto fosse uscita indebolita dall'episodio della sera prima; gli occhi indugiarono sulla ferita cicatrizzata al centro del petto, intorno alla quale la carne carbonizzata sembrava sul punto di ricomporsi, per tornare pallida e smorta come era sempre stata da quasi quattrocento anni.

Era ancora viva? Certo, viva per modo di dire. Non era ancora morta del tutto? Com'era stato possibile? L'ultima cosa che rammentava era il dilaniante dolore all'anima mentre il fuoco le consumava il corpo... un'immagine di Leonardo chino su di lei le balenò tra i fumosi ricordi e, con essa, il retrogusto ferroso di sangue che ancora le aleggiava in bocca. Giunta infine alla piena consapevolezza di ciò che era successo, sbatté un pugno chiuso contro il materasso duro e un cupo ringhio le sfuggì dalle labbra. Quel coglione di Leonardo aveva fatto la cosa più idiota del mondo! Chi cazzo gliel'aveva detto di rischiare la vita solo per salvarla? Non aveva alcun senso, lei era già morta! Avrebbe dovuto lasciarla andare, avrebbe fatto meglio a ignorarla e pensare alla sua di salute! Cazzo, era a un passo dalla fine! Aveva già superato l'atroce sofferenza, la sua anima si era già quasi allontanata da quello stupido involucro di carne morta... stava per essere libera, una volta per tutte.

Sbatté ancora il pugno sul letto, una volta, due volte, poi si bloccò con la mano alzata in aria e si rabbuiò in volto, fissando un punto indefinito della parete di fronte. Si era arresa, ma Leonardo no. Aveva deciso che era la fine e si era lasciata abbandonare all'oblio, dimenticando la sua missione e la promessa che aveva fatto alla Signora, che attendeva da secoli il momento in cui lei avrebbe tenuto fede alla sua parte del patto. Come una debole, aveva alzato la fottuta bandiera bianca ed era battuta in ritirata, con la coda fra le gambe; avrebbe davvero permesso a quell'immortale stronzo di portare avanti i suoi disegni e l'egoismo, per un frazione di secondo, le si era insinuato nell'inutile cuore, sussurrandole che non valeva più lottare, dopotutto che cos'aveva da perdere? La vita? Gaston era morto, Anne Marie era morta, i loro discendenti persi nei secoli... che cazzo c'era ancora al mondo per cui soffrire e lottare, eh? La divertiva quella realtà fittizia? No, non era divertente proprio per nulla! E allora perché non si lasciava andare? Perché non si era ancora mai buttata in un bel falò, a crepitare via da quella futile esistenza?

Si lasciò scivolare giù dal letto e quasi le gambe crollarono sotto l'esiguo peso del suo corpo, si dovette appoggiare con le braccia al bordo del materasso per non cadere. Sì, doveva proprio essere stata a un passo dalla distruzione: non si sentiva così debole dal giorno in cui era fuggita dal palazzo del Louvre, dopo essere stata colpita dalle fiamme di quello che ancora credeva essere un semplice politico votato alla malvagità. Rimase in quella posizione per un lungo minuto, riflettendo su tutta la sua vita fino a quel momento, continuando a chiedersi perché non si fosse arresa. La risposta le sovvenne rapida e chiara: aveva promesso. Quando la Signora le aveva chiesto che cosa avrebbe potuto offrire, Charlotte non aveva indugiato e aveva risposto: tutto. Una semplice parola che però racchiudeva il fulcro della sua essenza in quegli ultimi secoli. Tutto, una parola universale che conservava anche il non arrendersi mai, il non cedere mai alla debolezza e alla tentazione. La promessa che aveva fatto era stata l'ultimo atto di volontà che aveva compiuto mentre il cuore le batteva ancora, l'ultimo ricordo che aveva della sua vera vita, di quando si chiamava Marie de Bourboun ed era una moglie e una madre, e prima ancora una figlia e una nipote.

Serrò il lembo del coprimaterasso e strinse gli occhi, pregando che una lacrima potesse scagliarla in un pianto liberatorio a cui non si liberava da troppo, troppo tempo. Ma il suo corpo era arido e i sentimenti non potevano ricevere il giusto riscontro. Aveva promesso che avrebbe dato qualsiasi cosa per avere la possibilità di avere altri anni con la sua famiglia, e la Signora aveva mantenuto la parola; adesso toccava a Charlotte ripagare il debito. Non c'erano cazzi, aveva rischiato non solo di morire, ma anche di morire con la consapevolezza di non aver mantenuto la parola data in vita e di aver condannato il resto del mondo. Avrebbe dovuto ringraziare Leonardo per averle evitato quella vergogna.

Fece qualche passo incerto nella stanza e si guardò intorno di nuovo, vedendo per la prima volta lo zaino lasciato su una sedia; sopra un comò accanto erano appoggiate la sue armi. Si soffermò a sfiorare la lama fredda della spada, ancora impregnata dell'insopportabile odore dell'uomo che l'aveva maneggiata solo qualche ora prima. Avrebbe dovuto pulirla a fondo per scacciare quell'olezzo e poter tornare a usarla senza pensarci.

Frugò nello zaino e ne estrasse un paio di pantaloni e una maglietta dei Guns N' Roses e si vestì di fretta, iniziando a sentire l'urgenza di scoprire come fosse finita la serata precedente, dopo la sua momentanea dipartita. Varcò la porta della camera e si ritrovò nel corridoio del primo piano di villa Archi; l'edificio era immerso nel silenzio più totale, tanto da rassomigliare a una cripta famigliare di un cimitero abbandonato più che a un'abitazione.

La vampira scese le scale con passo leggero e tornò nel salone d'ingresso, bloccandosi di scatto sull'ultimo gradino a osservare la scena, orripilata: alcune poltrone erano rovesciate, delle suppellettili giacevano a terra, infrante, e i vetri dell'ampia veranda che si affacciava sulla riva del lago erano divelti, milioni di schegge trasparenti tappezzavano il pavimento. Ma fu più che altro lo strano odore che le si fece strada fino alle narici a turbarla fin da subito e a concentrare la sua attenzione su una delle poltrone al centro della sala.

«Oh, merde...» mormorò, abbandonando lo scalino e facendo qualche passo in avanti.

Il cadavere scomposto di Ferdinando Doria era abbandonato sulla poltrona, la testa reclinata all'indietro contro lo schienale; una grossa spaccatura si apriva sul suo cranio, generate senza dubbio da un proiettile di grosso calibro sparatogli contro da breve distanza. L'odore del primo accenno di decomposizione sarebbe stato normalmente impossibile da percepire, ne era capace soltanto Charlotte grazie al fiuto da vampiro.

Scosse la testa e si mosse di lato, passeggiando nel desolante panorama che testimoniava il suo fallimento della sera precedente. Fu in quel momento, alzando il viso per guardare oltre i vetri infranti della veranda, che vide Leonardo. Era seduto su una delle sedie da giardino poggiate sulla terrazza affacciata al lago, a pochi passi dall'ingresso della veranda; era imbacuccato in una giacca a vento verde che lo proteggeva dal freddo e sembrava immerso in uno sterile bagno di sole, come una bella bagnante che si abbronza in riva al mare. Charlotte si mosse per raggiungerlo e le schegge di vetro scricchiolarono sotto i suoi piedi nudi mentre usciva all'esterno; quel rumore improvviso sembrò riscuotere il ragazzo dal suo torpore, perché raddrizzò la schiena di scatto e assunse quella ridicola posa da suricata in guardia, occhieggiando intorno a sé alla ricerca del minaccioso predatore. Quando vide Charlotte, rilassò le spalle e tornò ad appoggiarsi allo schienale metallico.

«Stai bene?» gli chiese la francese, avvicinandosi per raggiungere una seconda sedia posta accanto a un grazioso tavolino di ferro battuto.

Aveva il volto tumefatto e violaceo in alcuni punti, alcuni graffi e tagli non troppo seri gli disegnavano strani ghirigori sulla fronte e sul mento. Qualunque cosa fosse successa durante la sua scomparsa, di certo il ragazzo non era andato a farsi una nuotata al lago.

Lui scrollò le spalle in risposta e si voltò a guardarla.

«Lo chiedo a te,» replicò, sembrava preoccupato. «Temevo fossi morta.»

«Non è facile liberarsi di me,» sghignazzò lei, accavallando le gambe e voltandosi a cercare i freddi raggi del sole.

«Grazie, Leo,» aggiunse poi, senza voltarsi. «Qualsiasi altro vampiro ti avrebbe mangiato vivo. Hai fatto una cosa molto stupida, ma grazie.»

«Non potevo lasciarti andare,» rispose il mago, con un tiepido sorriso. «Ho bisogno di te. Per salvare gli altri.»

Charlotte indugiò qualche istante, prima di alzare la mano e indicare l'interno della villa alle sua spalle.

«C'è un cadavere nel salone,» disse.

Già, Occhio di Falco, bell'ovvietà del cazzo. Cailean Dow, nel salone, con la chiave inglese... mistero risolto. Era la conversazione più surreale che avesse mai avuto in tutta la sua non vita. Abbassò la mano e provò ad aggiungere qualcosa, ma Leonardo la interruppe subito.

«Deve decidere Cassandra cosa farne.»

Charlotte cambiò posizione sulla sedia, a disagio.

«Leo, io non credo che possiamo lasciare il corpo lì su quella poltrona. Sai, fa freddo, ma...» Esitò, lasciando che la frase si perdesse nel silenzio in cui erano immersi.

«E non sappiamo neanche se Cassandra—» continuò, ma il mago le parlò sopra.

«Lei sta bene,» disse con tono deciso, guardando le acque piatte del lago che lambivano placide la sponda sotto di loro. «Stanno tutti bene, dobbiamo solo andare a prenderli.»

La vampira preferì non ribattere. Era ancora in vita e doveva ringraziare il ragazzo, certo, ma da lì a sconfiggere Cailean in due c'era un abisso. Alla fine decise che trattare con accondiscendenza il ragazzo non avrebbe giovato alla loro causa, si girò sulla sedia e piantò i suoi occhi azzurri sul profilo di Leonardo.

«Guardami,» intimò.

Lui si voltò, corrugando la fronte, e rimase a fissarla con sguardo interrogativo. Sembrava diverso da come Charlotte lo aveva sempre visto, come se fosse più deciso e meno spaurito.

«Dobbiamo riflettere bene sulla situazione. Cailean ha fottuto i maghi più forti del paese, noi siamo in due. Non ci possiamo lanciare a testa bassa contro di lui.» Charlotte parlò con calma, scandendo bene le parole. Non voleva dare l'impressione di non sapere cosa fare.

«Ha vinto perché siamo stati così coglioni da farci fregare da Kelhatyel,» replicò Leonardo, una scintilla di rabbia gli percorse le iridi scure. «Dev'essere stato lui a circondare la casa con quelle.»

Indicò con un cenno il tavolino e Charlotte si voltò, seguendo lo sguardo del ragazzo. Sulla superficie laccata di bianco, stava appoggiato un piccolo cubo di metallo, la colorazione a metà tra l'argento e il bronzo, cangiante in base all'angolazione con cui la luce lo colpiva; le facce del cubo erano percorse da fitti segni composti da linee verticali e trattini che si intersecavano in una complessa ragnatela di simboli.

«Che cos'è?» chiese la vampira in un sussurro, azzardandosi a toccare il gelido metallo con la punta delle dita.

«Un cubo di pirite,» rispose Leonardo, accomodandosi al meglio sulla sedia, ma senza mai distogliere lo sguardo dal curioso oggetto. «È un metallo molto in voga tra i maghi, la sua composizione chimica lo rende molto affine alla Trama, tanto da poter essere infuso con incantesimi.»

Charlotte rimase zitta, voltandosi a guardare il mago per invogliarlo a proseguire.

«Quando sono entrato in casa ieri sera, ho sentito la mia connessione con la Trama venire infranta. Sapevo che cosa fosse successo grazie al racconto di mio padre: Cailean aveva circondato l'edificio con un incantesimo che blocca il collegamento tra i maghi e la Trama, rendendoli in sostanza incapaci di usare la magia.» Leonardo si alzò e si avvicinò al cubo, prendendolo con due dita e appoggiandolo sul palmo della mano. «Non è un sortilegio semplice: creare un'area dove la Trama non può esistere richiede un forte dispendio di energie, eppure era ancora in funzione quando Cailean e i suoi se n'erano già andati da un pezzo. Per quanto potente lui possa essere, nessuno potrebbe far permanere un effetto magico del genere così a lungo.»

Il mago si voltò verso la facciata della casa e si mise a giocherellare con il cubo, come fosse uno di quegli antistress che andavano tanto di moda.

«Sono uscito e ho cercato tracce di energia arcana, trovandone un buon numero intorno al perimetro della villa. Qualcuno l'aveva circondata con una mezza dozzina di queste pietre, infuse con un incantesimo anti-magia, creando così un perimetro circoscritto nel quale un mago sarebbe stato del tutto indifeso e inoffensivo. Sono sicuro che sia stato Kelhatyel a predisporre la trappola: su ordine di Cailean ha posizionato le pietre e, al momento giusto, ha attivato l'incantesimo all'interno, chiudendo i maghi in una rete dalla quale non sarebbero potuti scappare. A quel punto qualsiasi uomo armato avrebbe potuto avere ragione persino del più potente mago del mondo.» Leonardo abbassò lo sguardo sul cubo di pirite e lo lasciò precipitare, con un fracasso metallico, di nuovo sul tavolo. «Funziona ancora adesso.»

«Cavolo,» fu l'unica cosa che Charlotte riuscì a dire, dopo aver ascoltato la precisa spiegazione di Leonardo.

Un migliaio d'anni di macchinazioni e intrighi potevano davvero renderti capace di ideare qualsiasi tipo di trucco, e Cailean si era rivelato un maestro in quello, un'altra volta. Di quanti altri assi nella manica poteva servirsi il loro nemico? Quanti altri conigli si nascondevano nel suo cilindro del cazzo? Era sempre stato un passo più avanti di lei, sempre.

«Non cadremo più nelle sue trappole,» asserì il mago, tornando a prendere posto sulla sedia per poi mettersi a fissare Charlotte con insistenza. «Lui non pensa che siamo vivi, sono sicuro che stia dando per certa la vittoria, ormai. Abbiamo il vantaggio noi, questa volta.»

La francese tacque per qualche istante, osservando la gamba sulla quale il ragazzo aveva visibilmente zoppicato, pochi istanti prima. Sembrava determinato a portare avanti quel piano d'attacco, come se non si fosse reso conto di essere ridotto a uno straccio: si reggeva a malapena in piedi, come pensava di poter affrontare Cailean e il suo esercito privato? Da una parte, però, Charlotte poteva capirlo, dopotutto anche lei fremeva per prendere d'assalto la sede della Dove Corporation e mettere la parola fine a quella caccia secolare; eppure il ricordo del dolore tremendo di poche ore prima la frenava, come se avesse paura di potersi trovare ancora in una condizione simile.

«Non sarà facile,» commentò Charlotte. La luce del sole le stava causando un lieve pizzicore sulla punta del naso e si grattò infastidita. «Sei davvero pronto a rischiare la vita?»

«Dobbiamo farlo,» rispose lui, deciso. «Non possiamo abbandonarli. Ho un piano, fidati di me.»

Sì, aveva ragione. Non aveva passato un'eternità a inseguirlo solo per arrendersi a un passo dalla fine. E che persona meschina sarebbe stata se avesse deciso di abbandonare Michela e gli altri nelle grinfie di Cailean? Come poteva rimanere impassibile davanti all'immagine di quei meravigliosi occhi tremanti di terrore? No, non se lo sarebbe mai perdonata. Doveva essere grata a Leonardo anche per quello: oltre ad averla salvata, le aveva anche ricordato che non poteva lasciar perdere tutto quanto.

«D'accordo!» esclamò Charlotte, alzandosi e voltando le spalle al sole. «Andiamo a fare il culo a quello stronzo.»

Come accorgendosi in ritardo di non essere da sola, si coprì le labbra con le dita, imbarazzata, e occhieggiò verso l'amico, quasi aspettandosi di vederlo offeso da quel riprovevole linguaggio da scaricatore di porto veneto. Leonardo, invece, annuì, fece un tiepido sorriso e si mise in piedi, con il volto che tradì una smorfia di dolore conseguente.

«Però, hai ragione,» disse in un filo di voce. «Dobbiamo prima pensare al signor Doria.»

La vampira e il mago rinunciarono all'idea di rendere presentabile la villa, non ne avevano il tempo. Si limitarono a trascinare a fatica il pachidermico corpo dell'anziano Doria fino alla riva del lago, dove Leonardo evocò il fuoco magico per creare una pira funeraria improvvisata. Fu il funerale più squallido della storia: Ferdinando Doria bruciò in silenzio, sotto gli sguardi di sole due persone che avevano così poco in comune con lui. Charlotte vide comunque il suo compagno piangere sommesso, ma fece finta di nulla: era certa che anche lei sarebbe caduta nel pianto, se solo ne fosse stata capace fisiologicamente.

Raccolsero le loro cose e lasciarono la vecchia dimora degli Archi. L'auto che avevano usato pochi giorni prima era ancora dispersa dopo la sparizione misteriosa di Kelhatyel e di Leonardo del giorno precedente, ma la vampira non ci impiegò poi così tanto a trovare un mezzo alternativo con il quale rimettersi in marcia.

Si fermarono a un autogrill lungo il percorso e Leonardo prese un panino, mentre Charlotte attese in macchina. Non aveva voglia di uscire ancora al sole, le sembrava di essere tornata a trecento anni prima, quando ancora non poteva uscire di giorno e un solo spiraglio di luce poteva concludere anzitempo la sua non vita. Sperò davvero di recuperare le forze entro il tramonto, ma sapeva che avrebbe dovuto mangiare anche lei prima della loro offensiva e sperava che Leonardo fosse più comprensivo a riguardo di quanto lo fosse stata Michela. Dopotutto ne andava delle loro vite e, probabilmente, del futuro del mondo.

Nel giro di pochi minuti, il mago era ritornatoa bordo della Peugeot e, scambiandosi due parole di pura circostanza, i duecompagni avevano ripreso la strada che li avrebbe riportati a Milano.

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