Capitolo 24. Il desiderio di amare ancora

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Cailean Dow accavallò le gambe e si appoggiò con entrambe le spalle allo schienale della sedia. Incrociò per un istante l'occhio di Kelhatyel e gli angoli della bocca gli si piegarono all'insù, in una pantomima di sorriso senz'anima che, però, all'elfo sembrò bastare, perché rispose con un lieve cenno del capo e con la pupilla visibile che brillava. La vita non era stata generosa con il povero Kelhatyel: non aveva conosciuto nulla se non odio e rancore, ed era finito per mettere la sua esistenza nelle mani dell'unica persona che gli aveva dimostrato un po' di riguardo. Non c'era da stupirsi che anche lui fosse finito per condividere i suoi medesimi scopi: che cos'aveva il mondo da offrire a quelli come loro, dopotutto? Paria, allontanati anche dai propri famigliari, rifiutati dalla società... chi mai avrebbe potuto accettare uno come lui, se non lo facevano i suoi simili? Era stato l'alleato più fedele e affidabile che avesse mai avuto, fin da quel dicembre di cinque anni prima, quando si era fermato a guardare quell'esile mendicante che chiedeva l'elemosina, tremante sul ciglio della strada.

L'elfo senzatetto doveva molto a Cailean, ma la cosa era reciproca: Kelhatyel era stata una spia senza pari e un sicario bravo come nessun altro; il piano poteva considerarsi completo, quel giorno, anche grazie al suo costante impegno. Con uno strano senso di tristezza, Cailean si disse che avrebbe voluto offrirgli qualcosa di più della semplice liberazione dalla sofferenza.

«Ero considerato poco più di un adulto, a quei tempi,» iniziò l'immortale, distogliendo lo sguardo dal devoto amico. «Vivevo in un villaggio poco a nord di Inbhir Nis; rivedendolo con gli occhi moderni, non era altro che un minuscolo agglomerato di casupole abitato da contadini e pastori. Ma era tutto ciò che un modesto uomo di quei tempi potesse desiderare.»

Sospirò e chiuse gli occhi. Malgrado tutto il tempo che era passato, ricordava ogni cosa di quegli anni; quelle immagini e suoni e odori di una vita passata gli vorticavano intorno come se fossero davvero lì con lui in quell'esatto momento.

E la voce di lei era ciò che di più nitido c'era fra quei lontani frammenti di memoria; lo guardava con gli occhi che ridevano e lo chiamava, mentre la sua risata si mescolava con il trillo dello Storno Roseo appollaiato sulla conifera in lontananza. Si chiamava Shaylah ed era la donna più bella del mondo, i capelli color paglia profumavano di Erica cinerea e la pelle alabastro quasi rifulgeva di luce propria. Si chiamava Shaylah, e duemila anni non erano abbastanza perché il ricordo del suo corpo che danzava gli sfumassero dalla mente.

Cailean serrò i pugni per far fronte a quella marea di ricordi dolorosi, ma si rilassò subito, sapendo che il momento che anelava da così tanto tempo stava per giungere. Il giorno in cui l'avrebbe rivista, dopo tutto quel tempo, era ormai dietro l'angolo; millenni di duro lavoro e sforzi atti solo a quel desiderio stavano arrivando alla fine. Aveva perso tutto durante quel percorso, ogni cosa che lo potesse definire umano, ma non quello che provava per Shaylah; no, quello no. Il ricordo dolce di quegli anni era l'ultima cosa che ancora teneva la sua psiche insieme, le chiari immagini di quella breve vita al fianco della donna che amava erano tutto ciò che gli era rimasto. Che mostro degenere sarebbe diventato se solo non avesse avuto quell'ancora a salvarlo dalla deriva?

«Nel mio villaggio ero amato e tutti mi guardavano con rispetto,» proseguì, riaprendo gli occhi per scrutare i suoi ascoltatori. «Praticavo gli antichi insegnamenti druidici che mi erano stati tramandati e in quella piccola comunità chiunque fosse stato in grado di disinfettare un taglio con delle erbe sarebbe stato considerato al pari di un dio.»

Sorrise, tentando di delineare il ricordo dei volti offuscati dei bambini e degli uomini che aveva aiutato con la blanda magia che conosceva a quell'epoca. Se avesse avuto il potere e l'esperienza maturata in quei secoli, avrebbe forse agito in modo diverso? No, assolutamente no.

«Non ero così potente, tutto sommato. Ero giovane e avevo appena iniziato a scalfire la scorza dell'universo della magia, ma ero dotato e manipolare l'energia della Trama mi riusciva naturale come respirare. Per questo, quando mia moglie Shaylah morì in seguito a una malattia, seppi subito quello che dovevo fare.»

La voce gli si era fatta dura e meccanica: riesumare quei ricordi dolorosi non era facile, neanche per l'essere privo di emozioni nel quale si era trasfigurato durante quegli interminabili anni di agonia.

«A cosa vale il talento se non lo si può usare? Non è vero potere se ti fai frenare da dogmi e superstizioni popolari. Per che cosa avevo sacrificato la gioventù se non ero neanche capace di salvare mia moglie dall'oblio?»

In realtà il fulcro del discorso era ben diverso e aveva ben poco a che fare con il potere; la verità era molto più semplice e banale: non era ancora pronto a vivere senza di lei. Non voleva lasciarla andare, il tempo che era loro stato concesso era stato meraviglioso e intenso, ma troppo fugace. Solo l'egoismo l'aveva spinto a fare ciò che aveva fatto, nient'altro; il desiderio è tutto ciò che muove i viventi, non l'ideologia, non la politica, non la morale.

«Come avreste reagito dinanzi alla dipartita del pilastro della vostra stessa vita?» chiese Cailean, spostando lo sguardo sulla figlia di Giovanni Guelfi. «Perché lasciarla andare, quando sapevo di poterla riportare da me?»

Il capofamiglia Guelfi spalancò gli occhi, per la prima volta gli si potevano leggere in volto emozioni umane quali sbigottimento e una punta di paura. Alla fine era riuscito a fargli perdere quella calma simulata che lo contraddistingueva.

«È per lei che hai sfidato la Morte,» disse Giovanni, sistemandosi gli occhiali che gli erano scivolati lungo il setto nasale.

L'immortale annuì.

«Non l'ho fatto per dimostrare nulla a nessuno, né per crogiolarmi nel potere di cui disponevo. L'ho fatto perché la volevo ancora di fianco a me la notte, perché la Terra è un luogo troppo buio e freddo da percorrere senza il suo sorriso.»

Michela distolse lo sguardo e corrugò la fronte.

«La resurrezione era un tabù già a quell'epoca: alcuni tra i primi druidi avevano tramandato complessi rituali, ma non li avevano mai messi in pratica, forse rendendosi conto per tempo di quanto profondamente sbagliato fosse sovvertire l'equilibrio della vita e della morte,» spiegò Cailean, accavallando le gambe e appoggiando le mani sulla coscia fasciata da un semplice Jeans scuro. «Ma a me non importava proprio nulla dell'equilibrio. Desideravo solo rivederla e tornare ad ascoltare la sua voce e la sua risata. Non esitai un istante. Il rituale che compii drenò le mie energie vitali, lasciandomi tremante e in fin di vita sull'erba umida davanti alla tomba fresca di Shaylah. Ma era accaduto qualcosa: nel buio della notte, vidi una snella e oscura sagoma in piedi, sopra il punto dove mia moglie giaceva.»

Un brivido gli accarezzò la spina dorsale e s'interruppe di colpo, stupito da quella sensazione così umana che non provava da tempo immemore. Si era quasi dimenticato come fosse provare paura, eppure eccola ancora lì, a farsi strada nel suo animo dopo tutti quegli anni; gli era bastato richiamare il ricordo di quella notte per risvegliare la più antica emozione umana persino nella sua anima arida.

«La gioia durò poco meno di un battito del cuore. Mi sentii morire quando l'apparizione mi parlò, perché la sua voce non era quella di Shaylah.»

Michela tornò a guardarlo, gli occhi erano arrossati e le sopracciglia inarcate verso il basso. L'unica persona nella stanza che sembrava non avere reazione era Kelhatyel, ma la cosa non stupì in modo particolare Cailean: l'elfo era a conoscenza di quella storia già da tempo e aveva avuto modo di interiorizzare quel tremendo racconto.

«Quella notte fu la prima e l'ultima volta che incontrati la Signora,» spiegò lo scozzese, con un pallido sorriso. «Fu lapidaria. Non riuscii a guardarla in volto, come se le sue fattezze si mescolassero con il buio della notte. Emise la sentenza con noncuranza, come un giudice alle prese con l'ennesimo caso di separazione coniugale. Non le piaceva essere sfidata, mi disse, e voleva che mi fosse ben chiaro un unico concetto: che solo lei poteva piegare le leggi della vita e della morte, nessun altro.»

Cailean abbassò gli occhi e sentì un fastidioso pizzicore al naso, che però ignorò.

«La Signora è un essere ironico e crudele; l'avevo sfidata perché mosso dalla volontà di rivedere Shaylah, quindi mi condannò alla pena più crudele: non avrei mai più rivisto mia moglie, né in vita, né oltre.»

Michela trattenne il respiro e Giovanni tornò alla sua maschera d'impassibilità. Cailean espirò aria dalle narici, sapendo che la parte più difficile del racconto era ormai passata. Raccontare quegli eventi e ripercorrere ancora i brevi anni in cui era stato felice era una tortura, ma era anche una tattica terapeutica che gli ricordava che aveva imbrigliato tutto quel dolore e lo stava canalizzando per conseguire qualcosa. Non era stata sofferenza fine a sé stessa.

«Impiegai forse più tempo del dovuto per rendermi conto delle implicazioni di quella condanna. La Signora scomparve nella notte e io mi sentii subito percorso da una rinnovata energia, come se tutta la vita consumata durante il rituale fosse tornate di colpo, come se non mi fossi mai chinato davvero sulla tomba di Shaylah per compiere quell'immane rituale proibito. Mi sentivo in salute, non provavo alcuna stanchezza... solo la mia mente non riusciva a smettere di rimuginare sul fatto di aver fallito. Tornando a casa, il silenzio della notte era rotto solo dal frastuono dei pensieri che mi urlavano in testa quell'unica domanda che, poi, mi sarei posto per tantissimi altri secoli a seguire.»

Cailean ridacchiò al ricordo della sua prima volta.

«Estrassi un coltello e, con un ringhio, me lo piantai in gola. Sentii la lama squarciare la pelle e affondare nella carne, e il sangue caldo riempirmi la bocca. Annaspai alla ricerca d'aria, ma il liquido rosso stava inondando i polmoni. Annegai nel mio stesso sangue e morii così, tra lunghe e atroci sofferenze.»

L'immortale scrollò le spalle con noncuranza e prese a giocherellare con la stringa della scarpa da ginnastica.

«Mi risvegliai qualche attimo dopo; il coltello giaceva a terra sporco del mio sangue, ma la ferita era scomparsa, come se non fosse mai esistita. Il momento in cui realizzai ciò che la Signora mi aveva fatto fu il più orribile di tutta la mia esistenza. Quando Shaylah era morta, sapevo che non l'avrei mai più vista su questo mondo, ma nell'altra vita ci saremmo potuti incontrare di nuovo; che crudeltà precludermi del tutto la possibilità di rivederla... che crudeltà tenerci separati per l'eternità.»

Un tremolio nella voce lo convinse a prendersi una pausa. Si schiarì la gola e si passò il palmo della mano sul volto, la fronte era inumidita da alcune goccioline di sudore gelido. Non era affatto facile rivivere quei momenti, ma sarebbe stata l'ultima volta: quella notte tutto si sarebbe concluso.

«Ci provai ancora, tante altre volte,» proseguì Cailean, massaggiandosi le tempie con pollice e indice della destra nel tentativo di scacciare il mal di testa che lo infastidiva. «Mi uccisi in ogni modo umanamente concepibile, ma senza risultati. Pagai degli uomini per fare a pezzi il mio corpo, ma le parti smembrate scomparivano e tornavano a ricomporsi insieme, tornando in continuazione a ridarmi vita. Nel giro di qualche settimana le voci si sparsero e dovetti andarmene dal mio villaggio: quelli che poco tempo prima erano miei amici, ora mi disprezzavano e mi voltavano le spalle. Ero stato maledetto, secondo loro, da qualche spirito malvagio. Mi chiamavano sgàile, lo spettro.»

Sorrise, abbassando la mano e tornando a poggiarla sulla gamba.

«Passai gli anni successivi a viaggiare per il mondo tentando di uccidermi di fame e di sete. Poi giunsi alla conclusione che dovevo fare qualcosa, non potevo vivere il resto dei miei anni come una medusa inconsapevole trasportata dalla corrente. Ci doveva essere un modo per ribaltare la mia situazione... ci doveva essere un modo per fargliela pagare e per liberarmi da quel supplizio. Quando mi accorsi che non invecchiavo, capii che lo studio della magia poteva venirmi in aiuto: una vita umana non basta per padroneggiare che un granello del potere che la Trama infonde in noi, ma con millenni a disposizione sarei potuto diventare il mago più potente della storia e avrei potuto trovare un metodo valido per evadere dalla mia pena.»

Giovanni si mosse a disagio sulla sedia, le manette tintinnarono seguendone il movimento. L'aria nella stanza si era fatta ancora più pesante e una tensione palpabile si era levata.

«Non ho mai capito che senso abbia andare a fare un giro in bici,» mormorò Cailean, voltandosi per lanciare un'occhiata obliqua fuori dalla finestra. «A che vale prendere la bicicletta, uscire e andare da qualche parte per il solo gusto di spostarsi? A che serve pedalare senza una meta, raggiungere un punto e poi tornare indietro? Lo scopo di noi uomini è arrivare in un luogo preciso e la nostra vita si compie quando approdiamo alla nostra meta. Questo è quello che mi è stato tolto: un punto di arrivo. Ho passato millenni a fare un giro in bici, senza poter mai arrivare dove volevo arrivare. Fino a quando non ho scoperto il segreto della magia. In quel momento ho capito cosa dovevo fare per liberarmi; con il senno di poi, avrei dovuto arrivarci molto prima: che cosa fa un carcerato se non può liberarsi dalla sua cella?»

Nessuno dei presenti sembrò voler dare la risposta, quindi l'immortale scrollò le spalle e lanciò un'occhiata penetrante a Michela, che parve sbiancare.

«Distrugge la prigione,» rispose, in un filo di voce, alzando le mani e unendo i polpastrelli davanti al volto. «Distruggerò questo mondo che mi fa da carcere. Quando la realtà non esisterà più, per forza di cose anche io dovrò smettere di esistere, e allora, finalmente, avrò trovato la pace.»

«Non puoi farlo,» mormorò Michela con la voce roca. «Sono sicura che esiste un modo, possiamo aiutarti a trovarlo!»

Cailean esalò una risatina. Che ragazza tenace, ancora non si era arresa all'evidenza dei fatti, ancora provava a salvarsi. Ma come darle torto, in fondo? L'essere umano ha sempre lottato per la vita e lui si era ormai dimenticato da troppo tempo che cosa significasse aver paura di perderla. Per chi ne ha troppa, di vita, quel timore perde di significato.

«Ho cercato soluzioni alternative negli ultimi due secoli, Michela,» spiegò lo scozzese, gli angoli della bocca rivolti verso l'alto in un sorriso amaro. «Causare un genocidio non è mai stata la mia intenzione, non volevo che nessuno soffrisse a causa di ciò che la Signora ha fatto. Mi sono appellato a quello che era il migliore tra di voi perché mi aiutasse a trovare una soluzione, ma neanche Giorgio Archi ebbe successo. No, per quanto me ne rammarichi, ciò che accadrà questa notte è l'unica soluzione.»

Chinò il capo a guardare la superficie della scrivania.

«Quando Giorgio Archi mi comunicò che non aveva trovato la soluzione, gli chiesi di unirsi a me nel mio piano, ma lui rifiutò. Non che mi aspettassi altro, in effetti,» proseguì lo scozzese, picchiettando il polpastrello sul bordo del tavolo. «Non lo volevo ancora uccidere, sarebbe stato uno spreco imperdonabile e il suo talento poteva essermi utile. Lo controllai mentalmente tramite un incantesimo e, per qualche settimana successiva, combattemmo una silenziosa lotta psicologica per il dominio sulla sua ragione. Era un uomo eccezionale e un potentissimo mago munito di una determinazione ferrea, difficilissima da piegare. Un giorno si liberò dal mio giogo mentale per qualche minuto e fece l'unica cosa che poteva fare per battermi in quello scontro di volontà.»

Sospirò e si mordicchiò l'interno del labbro inferiore. Che grande spreco, se ne era rammaricato per intere settimane, immaginando che cosa lui e un talento naturale come Giorgio Archi avrebbero potuto conseguire se avessero unito le forze. Ma, con quell'ultimo gesto, si era guadagnato il suo rispetto e, sotto sotto, anche la sua invidia: com'era stato facile per un uomo normale ottenere ciò che lui, invece, desiderava da un tempo infinito.

«Perché?» chiese all'improvviso Giovanni Guelfi, con voce ferma e sguardo fisso su di lui. «Perché hai rapito mia figlia? Cosa volevi da lei?»

Cailean emise un lungo sospiro e, per la prima volta, incrociò lo sguardo di Kelhatyel.

«Non voglio nulla in particolare da lei, voglio qualcosa da tutti voi,» rispose infine, arricciando il labbro in una smorfia pensosa. «Il mio progetto si basa su ciò che ho scoperto riguardo la natura della Trama e voi maghi siete essenziali. Vi ho promesso che vi spiegherò tutto quanto e ora manterrò la mia parola.»

Si alzò in piedi e aggirò la scrivania per fermarsi sul fianco, era a pochi centimetri da Michela e poteva sentire la paura della ragazza vibrare intorno al suo corpo ben proporzionato.

«Voi tramandate da generazioni i vostri insegnamenti magici; fate uso del collegamento tra voi e la Trama, ma non la comprendete per davvero. Credete che sia la fonte del vostro potere, ma vi sbagliate. Voi siete la fonte del potere della Trama, in realtà.» Annuì tra sé e sé, come a complimentarsi da solo per quelle scoperte. «La chiamate Trama perché si intreccia tra voi e la magia; nel Regno Unito viene chiamata The Net, la rete, perché circonda e imprigiona il mondo, proprio come una rete da pesca fa con il banco di pesci ignari. Negli Stati Uniti viene chiamata The Cage, la gabbia, per un motivo simile, immagino. C'è sempre una cosa in comune: la connessione tra la Trama e il mondo, in una specie di rapporto simbiotico; la Trama tiene unita la realtà, impedendo che questa si sfaldi. Ma vi siete mai chiesti di cosa sia composta la Trama? Perché deve essere fatta di qualcosa di tangibile, dopotutto è una forza cosmica e, come tale, deve avere un punto d'origine ed essere alimentata da qualcosa.»

Cailean puntò il dito contro padre e figlia.

«Voi l'alimentate, i maghi l'alimentano, persino io,» rispose. «Quando vi collegate alla Trama per rilasciare i vostri potenti incantesimi, accettate inconsciamente uno scambio di forze: la Trama vi concede il potere magico e vi sottrae, poco a poco, energia vitale. Un prezzo esiguo da pagare, per quello che otteniamo. La nostra linfa vitale ci viene sottratta e usata dalla Trama, in parte come alimento per sostenersi, in parte come nuova vita da infondere nel mondo; è uno strumento di controllo dell'equilibrio, aiuta il fluire delle energie vitali nella realtà, correggendo eventuali errori e squilibri momentanei. La realtà collasserebbe se non esistesse la Trama a regolarla.»

Giovanni Guelfi, per la seconda volta, aveva assunto un'espressione esterrefatta e una minuscola gocciolina di sudore gli solcò la fronte.

«Seduta sul trono, a osservare l'equilibrio e lo scorrere della vita e della morte, c'è lei: la Signora. Viene accostata alla figura della Morte perché ha potere solo su chi è in procinto di trapassare. Non può in alcun modo manipolare le energie positive della vita, ma esercita il potere su quelle negative della morte. È un agente dell'equilibrio cosmico e, ne sono sicuro, la sua esistenza è strettamente collegata alla Trama.»

Si appoggiò alla scrivania con il bacino e incrociò le braccia sul petto.

«Non volevo nulla da Michela. Ho rapito lei e Leonardo per darvi una minaccia da combattere, un motivo per cui unirvi, perché ho bisogno di tutti voi: i maghi più potenti del paese. Sarebbe stato difficile rapirvi uno alla volta e, senza dubbio, vi sareste messi in guardia, attendendo un attacco da parte mia; non siete avversari da sottovalutare, neanche per uno come me. Ho organizzato il rapimento e ho fatto in modo che il mio braccio destro, Kelhatyel, fosse con voi, in modo da riportarmi tutte le vostre mosse. Quando una persona si sente minacciata cerca l'aiuto dei suoi simili, e voi avete fatto proprio questo. Vi siete uniti per affrontare una minaccia comune, ma siete caduti nella mia trappola. Sapendo dove trovarvi e sapendo come neutralizzarvi, è stato un gioco da ragazzi prelevarvi tutti insieme in una volta sola.»

«Pezzo di merda!» proruppe Michela, scattando in piedi; aveva gli occhi rossi e lucidi.

In riposta Kelhatyel si era alzato e aveva estratto, fulmineo, la pistola, puntandola contro la ragazza che, però, aveva occhi solo per Cailean. Sembrava essere sul punto di avventarsi contro di lui, pur con le mani legate e con la magia a lei inibita, ma l'immortale non si fece intimorire: sostenne lo sguardo furente della ragazza senza battere ciglio, tacitamente sfidandola a mettere in atto i suoi evidenti intenti.

«Ti ho usata, Michela, e capisco la tua rabbia,» commentò dopo qualche secondo di silenzio teso. «Non avrei voluto, ma purtroppo ho bisogno di voi. Alcuni miei uomini in altre parti del globo hanno radunato gruppi di potenti maghi, allo scopo di aiutarmi a compiere un complesso rito, questa notte. Tramite voi, colpirò il cuore della Trama: farò fluire in essa l'energia vitale di centinaia di potenti maghi nello stesso momento, inondandola di vita, sovraccaricandone il sistema e portandolo al collasso. La Trama andrà in frantumi, l'equilibrio della vita e della morte verrà meno e la realtà si disgregherà in miliardi di minuscoli frammenti. Il mondo si inaridirà e cesserà di esistere, insieme a tutto ciò che lo percorre. Non esisteranno più né la vita, né la morte, né il paradiso, né l'inferno, e tutti ci ritroveremo a vagare nell'oblio del vuoto. Ma io potrò tornare a vederla.»

«Non stai scherzando,» asserì Giovanni Guelfi a mezza voce. «Vuoi davvero fare una cosa del genere. Vuoi cancellare la vita solo per un capriccio?»

Un capriccio.

Cailean si voltò di scatto verso di lui, percorse con un violento balzo la distanza che lo separava da quell'insulso omuncolo e gli serrò la mano destra sulla gola, chiudendola come una tenaglia.

«Papà!» urlò Michela e fece per muoversi, ma Kelhatyel le fu di fronte in un rapido movimento e le appoggiò la canna della pistola sulla fronte.

«Un capriccio,» ripeté la maschera di rabbia che aveva preso il posto del pacato Cailean. L'uomo che la sera prima aveva ordinato l'assassino di Ferdinando Doria era ricomparso, evocato da quella singola parola. «No, non un capriccio. È un desiderio... è il desiderio di amare ancora, è il desiderio di sentirmi di nuovo umano, è il desiderio di avvistare la fine e di arrivare da qualche parte con questa cazzo di bicicletta.»

Urlò le ultime parole e, ormai preda di sentimenti appena controllabili, spinse in avanti Giovanni, lasciando andare la presa sulla sua gola. L'uomo cadde all'indietro e rotolò giù dalla sedia, urtando il pavimento mentre boccheggiava alla ricerca d'aria; tossì frenetico e rimase così, immobile, respirando a pieni polmoni. A poco meno di un metro di distanza, Michela era scoppiata a piangere e osservava la scena, senza potersi muovere sotto la minaccia dell'arma che l'elfo le puntava contro.

Voltò le spalle alla ragazza e appoggiò i pugni chiusi sul tavolo, respirando a occhi chiusi per ritrovare il controllo. Era stato uno stupido e credere che potessero capirlo, nessuno avrebbe potuto, nessuno che non aveva condiviso una pena simile alla sua. Era solo, solo al mondo, un'anima immota nel turbinio del caos che lo circondava. Erano passati quasi duemila anni, ma il mondo non era cambiato: ancora gli umani lo fissavano, additandolo con paura, chiamandolo sgàile... sarebbe stato sgàile per sempre ai loro occhi.

«Portali via,» intimò a Kelhatyel, senza voltarsi. Aveva finito con loro, troppe parole erano già state sprecate per la loro idiozia. Un capriccio... solo per un capriccio. Serrò i pugni e le unghie scavarono nella pelle della mano; si appellò a ogni briciola di autocontrollo che gli era rimasto per non girarsi e accanirsi a mani nude su quello stupido mortale supponente.

Non badò ai suoni dei tre che lasciavano lo studio. Si accorse di essere rimasto solo soltanto quando si ritrovò immerso nel silenzio. Con un sospiro tremulo, oltrepassò la scrivania e si fermò davanti alla finestra, guardando il paesaggio esterno senza realmente vederlo: ciò che stava guardando era il flebile riflesso di un volto solcato da dolore e stanchezza. Appoggiò i polpastrelli sul riflesso delle labbra e scorse sul vetro per seguire i contorni degli occhi. Quando l'avrebbe rivista, anche lei sarebbe stata identica a come lui la ricordava? Si sarebbero abbracciati, le loro anime si sarebbero intrecciate di nuovo, finalmente, dopo tutto quel lungo tempo lontani; le narici erano pronte ad accogliere ancora il suo profumo, i polpastrelli a bearsi del tocco sul suo corpo morbido. Avrebbero ancora avuto una forma, nell'oblio? Le loro anime almeno sarebbero sopravvissute alla fine? Di loro sarebbe rimasta solo l'essenza, la scintilla primeva che aveva acceso le loro esistenze migliaia di anni addietro.

Ma sarebbe bastato per Cailean. Quei sentimenti non si fermavano alla materialità: se si fossero tramutati in null'altro che pensieri, il suo amore per lei non si sarebbe interrotto. Si sarebbero fusi insieme, di nuovo una cosa sola, scintillando e brillando come fari nell'abisso del nulla eterno.

Fino alla fine dei tempi, ma insieme.

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