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Ancora piuttosto scossa, Viviana non era rientrata a casa. Sua madre, rassicurata dalla capovillaggio, rincasava con appresso un'abbondante scorta di delizioso tè afrodisiaco. Doveva ammettere di avere ancora i sensi un po' appannati ma si sentiva inspiegabilmente felice e rilassata.
Al contrario, Viviana si era rifugiata fra gli alberi del boschetto che costeggiava il paese, dove raccoglievano la legna per l'inverno. Ormai lo conosceva bene e ne approfittò per stare tranquilla e piangere tutte le lacrime che sentiva di dover piangere. Il suo professore era morto, l'unico con cui era riuscita a mettersi in contatto, ed era imprigionata in quel luogo dove non riusciva proprio a sentirsi al sicuro. Forse poteva fuggire,  ci pensò voltandosi dalla parte opposta al villaggio, ma per andare dove? Si trovava in mezzo al nulla, non poteva dimenticarlo, e senza nemmeno un telefono utilizzabile. Decise comunque di fare una passeggiata, addentrandosi fra gli alberi e i sentieri.
Non sapeva per quanto tempo avesse camminato quando intravide in lontananza un'auto nascosta fra le fronde. Si avvicinò e capì che doveva trattarsi di quella del suo professore. C'erano delle chitarre all'interno e sulle custodie degli adesivi e dei disegni familiari, realizzati dagli allievi lungo gli anni. Riconobbe il suo e pianse di nuovo, appoggiata contro quella portiera che non si apriva.
Piangeva, urlava, quando udì uno scricchiolio molto vicino. Sobbalzò e notò la presenza di qualcuno.

"Chi è?" chiese, convinta di sentirsi rispondere da qualcuno del villaggio.

"Viviana?" una voce maschile che immediatamente riconobbe e la terrorizzò.

Era suo padre, che emergeva dal buio con aria interrogativa e furiosa.

"Viviana! Dov'è quella troia di tua madre? Vieni subito qui, ti porto a casa!".

La ragazza scosse la testa, non sapendo che altro fare.

"Quando ti faccio una domanda..." si infuriò l'uomo, indicandola col dito "...pretendo che tu mi dia una risposta, chiaro? Dov'è tua madre? E vieni subito qui, ce ne andiamo! Non sai che casino è stato rintracciarti, il tuo fottuto cellulare non invia più segnale da settimane! Per fortuna ho visto quest'auto, anche se non è la vostra".

Il padre avanzò verso la figlia ma lei indietreggiò. Non voleva tornare da lui, sapeva cosa era in grado di fare e non voleva più vivere in quella realtà. E l'alternativa, il villaggio, non era certo meravigliosa ma almeno lì nessuno voleva ucciderla o picchiarla fino a farla svenire, per ora.

"Se ti prendo..." continuò l'uomo "Ti farò pentire di esserti allontanata da me! E anche quella stronza di tua madre, dovrà supplicare in ginocchio il mio perdono. Vi insegno io a scapparvene in giro, come foste libere di farlo!".

Viviana iniziò a correre, non sapendo che altro fare. Corse, inciampando più volte, sempre col padre alle calcagna. Capì di non avere la sua stessa velocità ma sembrava ubriaco, come spesso accadeva, e quindi forse non in grado di correre a lungo. Doveva solo correre. Correre e non voltarsi, mentre quei passi pesanti si avvicinavano.

"Qui nessuno verrà a cercarvi!" sbraitava l'uomo "Vi darò fuoco assieme a tutto questo bel boschetto!".

La giovane gridò e corse ancora. Non poteva portarlo da sua madre, non osava oensare cosa avrebbe potuto farle. Ma dove poteva andare? Cadde a terra, ormai certa di essere raggiunta, ma non avvenne. Si voltò e vide un gruppo di donne che trattenevano con la forza l'inseguitore. Erano almeno una dozzina, un paio di esse con delle corde per immobilizzarlo. Riuscirono a premergli un fazzoletto sul viso e fargli perdere i sensi.

"Stai bene?" domandò una delle donne, rivolta a Viviana che annuì.

"È tutto finito, tranquilla. Ora ci pensiamo noi".

La giovane rimase a terra, per riprendere fiato, ansimando. Era strano vedere suo padre inerme e non per causa dell'alcol.

La invitarono di nuovo ad allontanarsi ma lei non si mosse.

"Lo portate dalla rossa luna?" domandò "Da Ada?".

Le donne si fissarono, non sapendo che la ragazza fosse a conoscenza di certi avvenimenti. Le annuirono e lei decise di seguirle, mentre trasportavano con la forza il padre svenuto verso un passaggio nel bosco che conduceva allo scantinato di casa. Ora aveva capito come riuscissero ad entrare e uscire senza essere viste, un sistema decisamente ingegnoso. Le seguì in silenzio, mentre deponevano l'uomo svenuto al centro di quel salone sotterraneo dalle pareti macchiate di sangue.

"Ti ha fatto del male, bambina?" domandò Ada con apprensione.

"No" rispose lei "Ma voleva".

"Lo sappiamo. Non potrà più farlo".

"Lo ammazzate? Lo ammazzate adesso? Qui?".

"Vai a casa, piccola. Non lo vedrai mai più".

Viviana si voltò, lo guardò e ripensò a tutto quello che le aveva fatto passare per anni. Tutte le botte, gli insulti, il dolore e le minacce. Ripenso a quanto avesse sofferto per colpa sua, e con lei anche sua madre e la sua sorellina.

"Posso farlo io?" domandò, guardando Ada e il falcetto che stringeva fra le mani "Posso dare io il primo colpo?".

Le donne si guardarono tra loro e Ada sorrise.

"Ma certo" le rispose, porgendole l'arma "Lascia che ti mostri dove colpire".

Viviana non lasciò all'anziana il tempo di spiegare. Impugnò il falcetto e, con tutta la rabbia accumulata in quegli anni, si scagliò contro l'uomo e lo colpì più e più volte. Lo sentì gorgogliare mentre soffocava nel suo stesso sangue e non provò alcun rimorso. Era colpa sua se la sua vita era stata costellata di dolore e tristezza, di ricoveri ospedalieri giustificati come "goffaggine" o imprudenza. Non aprì bocca, non voleva sprecare fiato per insultarlo.

"Lascia fare a me, ora" la invitò Ada, sapendo dove colpire per porre fine a quella vita.

Viviana rimase immobile a guardare. Era sporca di sangue e si ritrovò a sorridere. Non era pentita, lo avrebbe rifatto ancora centinaia di volte. Ora non aveva nulla da temere nel mondo esterno, doveva solo trovare il modo di andarsene.

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