34 - Levante, 5 anni e 274 giorni fa (II)

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«Ti va di vedere la grotta dove sono cresciuto?» le domandò Tseren a bruciapelo. Erano appena rientrati e una pioggia leggera aveva bagnato i ceppi della legna, tanto che i due ragazzi si erano dovuti affrettare a spostare tutto all'interno della tenda. 

«Veramente?» gli occhi dell'Ascendente si riempirono di gioia e Tseren annuì timidamente, spiazzato da quella reazione.

Presero un sentiero che risaliva il pendio, per la prima volta da quando si erano insediati lì, Agata ripercorreva il tragitto di due mesi prima, precisamente l'ultimo tratto del viaggio da Ponente a Levante. Quella notte era talmente esausta e infreddolita che non aveva notato nulla del paesaggio.

Man mano che salivano di quota, le piante si facevano più rare rivelando un terreno lavico ricoperto di pallidi sassi spigolosi. Raggiunsero un punto completamente spoglio da cui si riusciva a vedere la cima del massiccio montuoso. La ragazza rimase sbalordita da quel panorama che sembrava di un altro mondo: picchi aguzzi si stagliavano sullo sfondo bianco, quasi a bucarlo. Quel giorno, per via della pioggia, nuvole fumose avvolgevano le vette rendendo l'ambiente ancora più suggestivo.

Dopo quasi un'ora raggiunsero un burrone. Si trattava di un precipizio che scendeva a picco per centinaia di metri. Visto il suo scarso senso dell'equilibrio, Agata non ebbe il coraggio di sporgersi, ma si limitò a lanciare un sasso del vuoto e rabbrividì quando non sentì alcun tipo di rumore.

«Siamo arrivati, la grotta è scavata nella roccia» disse Tseren cercando di sovrastare il sibilìo del vento. L'Ascendente si guardò intorno perplessa. Non vedeva nessuna grotta scavata nella roccia, a meno che...

«Intendi laggiù?! » esclamò con voce acuta seguendo lo sguardo del Drago.

«Non avere paura, siamo ancora nella settimana di luna nuova e se anche dovessi cadere...» esordì lui.

«C'è il rischio di cadere?!» lo interruppe ancora Agata allarmata.

«Ma no, era per dire...» e intanto aveva cominciato a slegare la fascia blu che portava legata in vita, non sembrava far caso alla paura che era apparsa negli occhi della ponentina. 

Lei strinse le palpebre per regolarizzare il respiro. Come al solito la sua mente le diceva una cosa, il suo istinto un'altra, ma ormai era abituata a quella dicotomia di sensazioni che precedeva ogni decisione. Stava ancora valutando cosa fare, che Tseren la cinse saldamente con la fascia di tessuto.

«Tanto per essere doppiamente sicuri» si voltò e fece passare la cinta anche intorno al proprio corpo. Nel giro di un attimo Agata si ritrovò legata a lui. Appoggiò il capo alla sua schiena e avvolse cautamente le braccia attorno al busto del Drago. Il cuore iniziò ad affrettare il passo e la ragazza pensò, come accadeva sempre più spesso, che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quello che provava per Tseren. Ma non in quel momento, e scacciò quelle considerazioni con una facilità dettata ormai dall'abitudine. In quel momento riusciva solo a rimuginare sul fatto che di lì a poco si sarebbero calati in un burrone di cui non vedeva neanche il fondo.

Tseren iniziò la discesa. Per il ragazzo il peso di Agata era trascurabile, aveva percorso la parete di roccia con oggetti ben più pesanti. Per la ponentina, invece, furono cinque minuti spaventosi. Per quanto fosse legata e stringesse con tutta la sua forza Tseren, la percezione dei piedi a penzoloni nel vuoto e il non potersi aggrappare a nulla era terrificante. Nonostante ciò, era sicura che Tseren l'avrebbe portata sana e salva nella grotta, si fidava ciecamente di lui, come non si era mai fidata di nessuno. In fondo era un Drago.

«Agata, non respiro! E smetti di agitarti, se no ci mettiamo ancora più tempo» la sgridò lui. Più facile a dirsi che a farsi. L'Ascendente cercò di ubbidire, ma Tseren non notò alcuna differenza, poteva sentire il volto di lei affondato tra le sue scapole e il respiro affannoso, così accelerò il passo. 

Dopo quello che sembrò ad Agata un tempo interminabile, giunsero finalmente in corrispondenza di una grossa apertura e Tseren si dondolò dentro. La caverna era illuminata solo dal chiarore naturale e, nonostante quel giorno il cielo fosse coperto, entrava sufficiente luce per via dell'altitudine. 

L'antro era più grande della tenda dove vivevano al momento, almeno tre volte tanto. Al centro dell'ambiente c'erano un tappeto di pelliccia e un tavolino di pietra molto basso. I letti, accostati ai due lati opposti, non erano giacigli in paglia e lana, come quelli su cui Agata si era abituata a dormire, ma brande di metallo un po' arrugginito coperte da materassi sottili. Ovviamente non c'era nessuna trapunta, i Draghi non avevano bisogno di coperte per riscaldarsi.

«Sento il suo odore ovunque» fu la prima cosa che Tseren disse e Agata lo guardò preoccupata.

In una rientranza della grotta c'era quella che sembrava una cucina, costituita da un credenza in legno abbellita da disegni floreali e un piano in pietra. Dal momento che i Draghi potevano consumare il cibo crudo e vedevano al buio, non c'era niente che assomigliasse a un focolare.

In un altro angolo, Agata riconobbe la postazione di lavoro di Baya, ovvero un tavolino anch'esso quasi all'altezza del suolo ricoperto da aghi spessi quanto un dito e stralci di tessuto di vario tipo. La donna aveva probabilmente trascorso ore interminabili seduta lì per cucire le pelli.

«Quello è il tuo letto?» chiese l'Ascendente avvicinandosi. Il suo sguardo curiosò tra gli oggetti sul comodino del ragazzo: c'erano manufatti intagliati in legno, un paio di gioielli e un libro. Fu stupita di vedere un libro, Tseren non aveva mostrato alcun interesse nei confronti dei volumi con i quali Agata aveva cominciato a riempire la loro tenda. Lo prese in mano e intuì subito che si trattava di un testo didattico, molto elementare, pieno di immagini e sillabe.

«Tseren, sai leggere?» chiese mostrando il libro aperto.

«Sto imparando» rispose lui evasivo, «Mia madre ha cercato di insegnarmelo per anni, ma non ne ho mai avuto veramente bisogno»

Agata amava leggere più di ogni altra cosa e, mai e poi mai, avrebbe immaginato di condividere il resto della vita con una persona che lo riteneva una cosa inutile. 

«Se hai voglia, posso insegnarti io non appena avrò imparato meglio il levantese» propose speranzosa. Tseren alzò le spalle poco convinto.

«Posso dare un'occhiata in giro o ti dà fastidio?» domandò l'Ascendente. 

Il volto di lui si aprì in un ghigno. Era certo che Agata non si sarebbe accontentata di una visita veloce, era una delle caratteristiche della ponentina che lo divertiva, voleva vedere tutto e capire tutto.

«Fai pure» ridacchiò.

La ragazza aprì la credenza, trovandola completamente vuota. Probabilmente Tseren aveva pulito quando aveva visitato la grotta da solo, la notte che erano arrivati a Levante. Anche l'angolo di lavoro era stato riordinato, gli avanzi di pelliccia ammonticchiati con cura. Baya probabilmente pianificava di usarli per qualcosa che ora non avrebbe mai visto la luce.

Sul comodino di lei c'erano soprattutto gioielli e una lista con appuntate alcune cose in una calligrafia scoppiettante: le lettere erano di dimensioni differenti e talvolta la stessa parola era scritta in maniera diversa, il che era un'abitudine d'altri tempi.

Agata aprì la cassapanca accostata al letto di Baya, ma non se la sentì di frugare tra le sue cose e abbassò quasi subito il coperchio. Tseren lesse quel pensiero sul volto della ragazza e si avvicinò per riaprirla.

«Guarda pure, potrebbe esserci qualcosa che ti piace e...» proprio in quel momento si ricordò di una delle ultime cose che gli aveva detto sua madre durante le lunghe ore di calvario. Fino a quella mattina aveva chiuso il cuore a quei frammenti di memoria dolorosi e gli era passato di mente.

Agata lo osservò tirare fuori tutti gli abiti e rovistare in fondo alla cassa. La visita della tomba era stata veramente catartica per il Drago, fino a qualche ora prima il suo sguardo si incupiva al solo sentir nominare Baya e ora era pronto ad accettare che Agata indossasse le sue cose. Per quanto la ragazza fosse felice di quel cambiamento, non aveva la minima intenzione di utilizzare gli oggetti della defunta, non per il momento per lo meno. Forse in qualche centinaia di anni, quando entrambi avessero completamente superato quel lutto. 

Mentre Tseren continuava a scavare tra gli indumenti, la ragazza prese in mano un bracciale fatto di un materiale pesante con incastonate delle grosse pietre viola. Non aveva mai visto un gioiello tanto vistoso.

 «Eccola!» Tseren tirò fuori una piccola cesta di paglia scura. «Credo che questa sia per te!» aggiunse posandola sul letto di Baya. Agata rispose con un'espressione perplessa.

«Mi ero completamente dimenticato, ma uno degli ultimi giorni... uno degli ultimi giorni, mia madre mi ha detto che stava cominciando a preparare delle cose per il tuo arrivo».

Prima ancora di aprire il cestino, gli occhi le si annacquarono, ma cercò di non darlo a vedere. Attraverso i racconti di Xhoán le sembrava quasi di conoscere la coraggiosa donna Drago che aveva seguito il presentimento che suo figlio fosse in pericolo, anche se ciò significava tagliare i ponti con il proprio popolo. Quella giovane donna sempre solare, dotata di una saggezza fuori dal comune, le aveva lasciato un dono. Commossa aprì con delicatezza la cesta e cominciò a osservare uno a uno gli oggetti riposti all'interno.

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