35 - Levante, 5 anni e 274 giorni fa (III)

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All'interno della cesta c'era una collana di pietre viola dalla forma irregolare, era esageratamente pesante e dava l'idea di essere preziosa. Agata tirò poi fuori degli abiti tipici di quella zona, ma dalle fattezze più eleganti rispetto a quelli solitamente indossati dalle donne del villaggio. Seguì con le dita le rifiniture rosse e dorate che decoravano la camicia blu. L'idea che Baya avesse cucito quegli indumenti pensando a lei, fece commuovere nuovamente la ragazza. Nonostante non l'avesse conosciuta, provava un affetto smisurato per la persona che aveva messo al mondo Tseren. Era sicuramente un ragazzo un po' stravagante e spesso taciturno, ma non avrebbe cambiato una virgola della sua personalità.

«Dovrai farteli aggiustare dalla tua amica del villaggio, sei più magrolina di come ti ha immaginato mia madre!» commentò il Drago.

«Credo che Baya, ehm tua madre, l'abbia fatto volutamente. È più facile stringere un vestito che allargarlo» Agata si chiese come mai Baya avesse cucito quell'abito prima del suo arrivo invece che aspettare. Forse aveva avuto un presentimento? O forse era semplicemente un modo per prepararsi all'incontro con l'Ascendente del figlio, il nuovo membro della loro famiglia. Accarezzò la pelle morbida della gonna e se la avvicinò alla vita, peccato che nella grotta non ci fosse uno specchio.

L'ultimo oggetto nella cesta era un spilla d'oro rosso a forma di drago, grande quanto il suo dito mignolo e leggermente ossidata.

«Questa la conosco! Apparteneva a mia nonna!» intervenne Tseren. «Che era l'Ascendente di mio nonno» precisò prendendo in mano la spilla. «Di certo non puoi andarci in giro, però è un bel ricordo».

«Posso indossarla dentro casa» replicò Agata guardando contenta quell'oggetto che l'aveva raggiunta dal passato.

**********

Quando Xhoán sopraggiunse per la cena, si accorse subito che un cambiamento era nell'aria. I due ragazzi sembravano essersi finalmente riappacificati. Notò la spilla appuntata sulla casacca di Agata e raccontò loro che l'oggetto era uno dei regali di nozze che la nonna di Tseren aveva ricevuto dal marito Drago.

«Com'erano i nonni di Tseren, li hai conosciuti?» chiese Agata nel suo levantese traballante.

Lo sciamano non se lo lasciò ripetere due volte e colse l'occasione per raccontare ai due ragazzi qualcosa degli anni trascorsi nel villaggio dei Draghi.

Il padre di Baya era un uomo autoritario e poco incline a gesti d'affetto, e il destino aveva scelto per lui un'Ascendente altrettanto altezzosa e distaccata. Manik era l'unica figlia di una delle famiglie nobili della capitale. Non c'era stato modo di separarla dai genitori, tanto che il nonno di Tseren era uno dei pochi Draghi ad aver trascorso una buona parte della propria vita lontano dal monte Ariun. 

I due si erano sposati quasi subito, ma avevano aspettato che i genitori di lei fossero anziani e confusi prima di trasferirsi. La separazione dalla famiglia e dalla grande città era stata traumatica per quella donna raffinata che si era quasi convinta di poter sovvertire le regole dei Draghi. Una volta tornati nella zona montuosa, Daishir, questo era il nome del padre di Baya, aveva in poco tempo acquisito un ruolo di rilievo nella comunità ed era stato uno dei sostenitori dell'apertura nei confronti degli uomini. Una decisione che si era rivelata fatale per l'intera razza. Dopo anni trascorsi nella capitale di Levante, il Drago si sentiva infatti a proprio agio tra i mercanti che di tanto in tanto capitavano nel villaggio e non aveva visto i rischi di entrare in confidenza con persone che pensavano solo ad arricchirsi. 

Manik, intanto, continuava a comportarsi come la ragazza viziata che era, e aveva tenuto il muso al marito per mesi, detestava ogni cosa delle montagne e dei parenti Draghi. Continuava a vestirsi con la moda della capitale e l'unico oggetto che aveva aggiunto al suo guardaroba era proprio la spilletta a forma di Drago, come a voler precisare che non rinnegava il suo ruolo di Ascendente, non capiva però perché dovesse espletarlo proprio in quell'angolo, ai suoi occhi rozzo, del continente.

L'arrivo di Baya nella loro vita aveva riportato l'armonia, la donna concentrava tutte le sue attenzioni sulla piccola e la educava come se un giorno avesse dovuto fare il suo ingresso nella società della capitale. Le aveva insegnato a leggere e a scrivere, a suonare un gran numero di strumenti e le impediva di partecipare alle uscite di caccia con gli altri Draghetti, tanto che Baya era considerata la principessina del villaggio. Finché non fu grande abbastanza da prendere da sola le proprie decisioni.

Il racconto di Xhoán divagò e l'uomo continuò a descrivere le caratteristiche di quell'epoca felice della sua vita. Una delle cose di cui aveva avuto più nostalgia, negli ultimi vent'anni, era il poter parlare con altre persone come lui, altri Ascendenti. Quando era giunto per la prima volta nel villaggio, ciò che l'aveva colpito maggiormente era stata la varietà di culture che convivevano tra quelle tende dalla forma buffa. C'erano levantini provenienti da tutte le zone del continente e persino dei ponentini. Xhoán aveva sentito parlare del continente al di là delle montagne, ma mai e poi mai si sarebbe immaginato di trovarsi a faccia con degli abitanti di Ponente.

Agata ascoltava incantata quelle storie di un tempo lontano, amava lasciarsi cullare dalla voce profonda di Xhoán. Tseren conosceva già il racconto della vita dei suoi nonni, l'aveva sentito più volte sia dalla madre che dallo sciamano e sapeva bene che l'uomo covava un po' di rancore nei confronti di Manik, perché la madre di Baya non l'aveva mai accettato fino in fondo. La sola idea che la preziosa figliola potesse mettere su famiglia con un ragazzetto tanto semplice la atterriva.

«Mia mamma diceva sempre che se mia nonna si fosse trasferita nel villaggio da giovane, sarebbe stato completamente diverso. Dopo essere cresciuta in un ambiente tanto diverso non poteva non sentirne nostalgia» aggiunse il levantino.

«Tua madre amava profondamente la sua famiglia ed è riuscita a perdonar loro tutto quello che è successo, cosa di cui io ancora non sono capace. È sempre stata una persona migliore di me...» rispose lo sciamano pensieroso e la ponentina ebbe, per l'ennesima volta, l'impressione che il sentimento che leggeva negli occhi dell'uomo non avesse niente a che vedere con l'affetto fraterno.

«Perdonare cosa?» chiese sentendosi immediatamente indiscreta.

Anche Tseren moriva dalla voglia di saperne di più sull'evento che aveva causato il genocidio dei Draghi, sia Xhoán che sua madre gli avevano raccontato il minimo indispensabile.

«È una storia per un'altra sera» tagliò corto lo sciamano eremita.

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