Capitolo XIX - Incubi

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Capitolo XIX - Incubi

«Eddie!»

Gli scuote le spalle con violenza, ma ogni tentativo di riuscire a fargli aprire gli occhi sembra vano e dentro al petto di Steve, vibrante come un terremoto, si muove una montagna di paura.

Eddie si è messo a sedere sul letto, all'improvviso, gli occhi spalancati e senza pupille. Trema come se avesse un attacco epilettico e le mani sono strette alle lenzuola che lo coprono fino alla vita. La maglietta a maniche corte della Hawkins High – quella che gli ha prestato per dormire, è bagnata di sudore e, in alcuni punti, di sangue. Segno che delle ferite si sono riaperte, e hanno superato la barriera delle garze.

«Eddie, svegliati, per Dio!», urla, e continua a scuoterlo, e non sa cosa fare. Si sente smarrito e perso, come quella volta in cui ha visto Max nelle stesse, identiche condizione, di fronte alla tomba di suo fratello. Poco prima che Vecna quasi la prendesse con sé, ed è quel ricordo a fare più male. Perché Steve non vuole credere che stia succedendo la stessa cosa, di nuovo, perché è certo che Vecna non può volerne ancora. Ha ottenuto ciò che voleva, no? i quattro rintocchi, i quattro portali.

Le quattro vittime...

Forse non è abbastanza? Forse Max non gli ha permesso di raggiungere il suo obiettivo, rimasta viva? No, è assurdo. Non può essere, no?

Non può volerne ancora. Non può volere Eddie.

Non adesso che è tornato dall'inferno.

«Eddie!», tenta ancora, e quando l'altro chiude gli occhi e li riapre di scatto, annaspando aria, sente quasi un senso di sollievo misto a panico dentro al petto.

Non smette di stringergli le spalle, e si inginocchia davanti a lui, sul materasso.

«Ehi...», lo chiama, piano, e Eddie fissa il nulla, col fiato corto, gli occhi ancora spalancati, il sudore che gli cola dai lati della fronte e qualcosa intrappolato dentro alla testa che sembra averlo spento per un attimo; poi però lo guarda, e Steve la vede.

La paura; la vera paura. Quella fatta di tenebre, artigli aguzzi infilati nella carne e dolore. C'è tutto il sottosopra negli occhi di Eddie, e quando le sue sopracciglia si inarcano all'insù e sembra sull'orlo di scoppiare in lacrime, Steve gli prende il viso tra le mani.

«Ehi, ehi», ripete, con più dolcezza, sebbene la sua voce sia intrisa di puro panico, accarezzandogli le guance con i pollici. «Sei qui, sei di nuovo qui, okay? Non... non c'è niente da temere. Sei al sicuro.»

«Steve», lo chiama Eddie, piano, pianissimo. Così tanto che ha letto il suo nome dalla mimica delle sue labbra. Lo ha sentito appena arrivare alle orecchie.

«Mi hai fatto prendere un colpo, Munson! Avevi gli occhi bianchi, pensavo che Vecna...»

«Steve», ripete Eddie, e stavolta la sua voce la può sentire, e gli scende un brivido lungo la schiena nel sentirla così... vuota. Perché è così che l'ha percepita: una eco che rimbomba nella stanza, e che non smette di ripetersi nel silenzio. «Non è stato un incubo.»

«Sì che lo è stato! Come l'altra volta, no?», esclama, sbuffando via una risata, come se quello che gli ha appena detto fosse ridicolo, quando la verità è che non vuole crederci e basta; non è stato un incubo e lo sa persino lui, che è così. Gli occhi bianchi, il tremore... niente di tutto questo è causato da un incubo. Nemmeno tutto quel terrore che gli vede in faccia. «Sei appena tornato, quel posto non si dimentica così facilmente. Devi metabolizzare quei tre giorni di incoscienza, in qualche modo. È normale avere degli incubi.» Io continuo ad averne, malgrado sia passato così tanto tempo...

«Ero morto», lo corregge Eddie, e stringe le labbra; sembra quasi arrabbiato, mentre lo dice.

«No, non lo eri.»

«Lo ero», continua, poi abbassa lo sguardo. Fa un sospiro paurosamente rumoroso. «E forse sarebbe stato meglio restarlo.»

«Ehi!», lo rimbecca, e gli stringe di nuovo le mani intorno alle spalle. Lo costringe quasi ad alzare lo sguardo sul suo, e Eddie sembra metterci un'eternità, a trovare il coraggio di farlo. «Non dirlo. Non ci pensare nemmeno. Pensi che sia stato inutile salvarti? Che avremmo dovuto lasciarti lì? Pensi questo, ora che sei al sicuro?»

«Steve!», Eddie alza la voce e quasi lo urla, tra i denti stretti. Gli tira uno spintone, e lo allontana. Quel gesto lo lascia senza parole per un attimo, poi finalmente lo guarda. «Ero morto! Ero... ero morto, okay? Lo so, ora lo so! È stato lui a farmi tornare, e lo ha fatto per uno scopo», alza un dito, che poi gli punta contro, stringendo il labbro inferiore sotto a quello superiore. Gli occhi di nuovo gonfi.

«Che diavolo stai dicendo?», gli chiede Steve, confuso, e vorrebbe tornare a fronteggiarlo, a confortarlo, e vorrebbe stringerlo, baciargli le labbra e cancellare quel dolore dal suo viso con tutta la forza che ha in corpo, ma non vuole romperlo. Non vuole spezzarlo più di quanto non lo sia già in questo momento: sull'orlo del collasso, sull'orlo del burrone, dal quale non vuole che precipiti, ma ha l'impressione che la sua presa non sia abbastanza salda.

Eddie si stringe nelle spalle, e abbassa di nuovo il capo. Sembra quasi che si vergogni di esistere, di essere lì, di fronte a lui. Come se non lo meritasse.

Glielo ha visto fare altre volte, in passato, anche quando i loro sguardi si incrociavano per sbaglio, a scuola, e quello di Eddie si abbassava subito verso il pavimento, come se... come se non si sentisse meritevole dei suoi occhi addosso. Come se volesse essere invisibile.

«Era lui. Mi ha... mostrato delle cose, tra cui, beh», si ferma e si passa una mano sulla frangia, per tirarla indietro. Steve nota che sta ancora tremando. «Mi ha risvegliato. Se stessimo facendo una partita di D&D ti direi che ha usato un incantesimo di resurrezione e Vecna... il Vecna del gioco può farlo, ma questo non è lui. Lo abbiamo chiamato così perché ti entra nella testa e ti fa il lavaggio del cervello, no?»

«Teoricamente sì», risponde Steve, atono, continuando a non capire.

«Ero morto, Steve», ripete, poi lo guarda dopo minuti interminabili passati in silenzio, rotto solo dai suoi respiri spezzati da quello che, Steve può giurarci, è un attacco di panico. «Ero morto. Me lo sono ricordato. Non è stato come addormentarsi e percepirsi a malapena, io non sentivo niente. Non c'ero, ero spento. Non ricordavo niente di niente, solo il momento del risveglio, nel mio letto, lì sotto. Lui mi ha mostrato tutto. Mi ha parlato. Mi ha toccato il petto, e io mi sono risvegliato all'improvviso. E poi ha usato i sensi di colpa perché voi mi trovaste.»

Steve sussulta. «In che senso?»

Eddie non risponde subito. Alza una mano tremante verso la sua, la cerca, ma poi cambia idea e la ritrae. È palese che necessiti di conforto, ma che non se ne senta meritevole anche se, a guardarlo bene, a Steve sembra che ci sia altro. Qualcosa che lo fa sentire sporco. Qualcosa che non gli permette di parlare chiaramente.

«I sensi di colpa di Dustin.»

«Che c'entra... che c'entra Dustin?», chiede Steve, e si muove nervoso sul letto. Incrocia le gambe sul materasso, e sente qualcosa dentro agitarsi. Sente qualcosa in fondo allo stomaco che morde.

Ha cuore per tutti, vorrebbe che fossero tutti salvi, ma lo sa, dentro di sé, che Dustin è diverso. Per Dustin farebbe molto più che proteggerlo, probabilmente morirebbe per saperlo salvo e non può fare a meno di agitarsi, di fronte a quella rivelazione.

«La sensazione che fossi vivo, il dubbio che mi aveste lasciato lì sotto credendomi morto... è stato lui a inculcarglieli, e a spingerlo a chiedere aiuto. Steve, lui...»

«Che cosa gli ha fatto?», chiede, e si sente dannatamente in colpa, ora. Si sente uno stronzo, ad aver lasciato Dustin da solo per tre giorni, senza nemmeno ascoltarlo, stargli vicino e aiutarlo a scendere a patti con i suoi traumi. Perché lo sa. Lo ha visto. Vecna plagia le menti debole, le muove come pedine sul suo campo di battaglia e quella sensazione era troppo strana pure per essere semplicemente un sentimento di negazione. Era troppo per un essere umano razionale come Dustin.

«Gli ha inculcato il dubbio e lo ha spinto a rivolgersi a Eleven per cercarmi. Vi ha coinvolti, e voi siete scesi a prendermi.»

«Non... non è po-»

«Lo so! Lo so cazzo, lo so! Per questo non avreste dovuto venire. Per questo sarei dovuto restare lì, perché ero morto! Lo ero e ti giuro su qualunque cosa che sono felice che lo abbiate fatto, che siate venuti per me. Che tu sia venuto per me, ma non è così che sarebbe dovuta andare.»

«Perché? Perché lo avrebbe fatto? Perché tu? C'erano Fred, Chrissy, Patrick. Perché... tu?»

«Perché loro erano parte del piano. Perché loro ora fanno parte di lui, hanno permesso che i portali si unissero. Perché li ha assimilati, li ha uccisi lui. Io no. Io sono morto diversamente. Io sono morto , non per mano sua, ma ora faccio parte del suo mondo, in qualche modo.»

«Eddie, se quello che dici è vero... perché ti ha riportato in vita? Perché non ti ha lasciato lì con lui?»

«Perché vi vuole. Vuole tutti voi. Perché, come Nancy, voleva che io vi avvisassi. Che vedessi cosa c'è dopo e... e quello che ho visto...», Eddie si ferma. Si copre il viso con le mani, come se solo questo potesse fermare quel ricordo, forse. Come se solo quello potesse nasconderlo dal mondo intero.

«Non si fermerà, giusto? Finché non saremo morti, tutti quanti.» Steve continua a guardarlo, anche se lui resta nascosto dietro le proprie mani, ma annuisce.

Sono le stesse parole che Will ha pronunciato qualche tempo fa, quando il Mindflayer si è impossessato di lui. E lo ha ripetuto anche l'altro giorno, quando è tornato ad Hawkins, e il potere del sottosopra lo ha sottomesso di nuovo; lo ha coinvolto ancora con la sua disturbante energia.

«Sono una sua pedina. Mi sta usando per arrivare a voi», risponde poi, e batte un pugno sul materasso, rabbioso. «Non sareste dovuti venire a salvarmi. Te l'ho detto.»

Steve non sa cosa dire. Per logica dovrebbe dargli ragione, dirgli che sì, sarebbe dovuta andare così, e che questo li avrebbe tenuti in salvo ancora per un po', forse. Magari Vecna è così debole, ora, che non riesce a usare i suoi poteri al cento per cento, proprio come è successo a El l'anno scorso. Forse ora ha bisogno di un tramite, di un recipiente.

«Credo che mi stia usando come ricettacolo. Forse assorbirà anche me. Forse resterò in vita finché gli sarò utile e poi morirò di nuovo. Come... come se nulla fosse. Porterà a compimento il suo piano e puff, io cado a terra morto di nuovo. Fine della storia.»

«Eddie, ti prego, smettila di farti teorie catastrofiche in testa. Non è quello di cui abbia bisogno ora», sospira, e intanto la sua mente continua a pensare a Dustin, al fatto che Vecna si è servito di lui, che lo ha plagiato, indotto a mettere la speranza di fronte alla ragione. Che lo ha portato a fare qualcosa di insolito che, con quel trauma e quel senso di colpa così forte, lo ha reso facile da raggirare.

«Non riesco a vederla meglio di così, e mi piacerebbe! Dico davvero, ma è praticamente impossibile pensare che l'unico motivo per cui sono tornato è per permettergli di farvi del male.»

«Nella peggiore delle ipotesi moriremo tutti lo stesso! Non devi aver paura. Ci siamo noi. Ci sono io. Non permetteremo che ti accada niente, d'accordo?»

«Steve», lo ferma Eddie e, finalmente, sembra aver trovato un po' di lucidità. Gli prende la mano, la stringe forte e trema ancora così tanto che gli fa salire il magone. «Vuole voi e l'unica cosa che io non devo fare è starvi attorno. Se sono il suo ricettacolo, se sono i suoi occhi, lui può vedervi. Sa dove siete. Costantemente. Capisci che cosa sto cercando di dirti?»

«Che non devo proteggerti?», chiede, e gli fa una fatica enorme pronunciare quelle parole, specie dopo tutto quello che si sono detti. Dopo aver parlato di aver fatto il massimo, sempre e comunque, fino al limite delle possibilità ma, a quanto pare, questo è già il limite delle sue possibilità e non può andare oltre. Se è vero quello che ha detto, stargli vicino significa dare a Vecna la possibilità di trovarli in ogni momento.

Ora capisce perché non lo guarda. Ora capisce perché Eddie sta cercando di evitare i suoi occhi, ed è lui, adesso, che lo sta proteggendo.

Sta cercando di non permettere a Vecna di guardarlo.

«Mi avete salvato la vita. Mi hai salvato la vita. Due volte. È tempo che io salvi la tua, stavolta», risponde Eddie e, quando infine, quasi inevitabilmente, alza lo sguardo sul suo, Steve non ha veramente più nulla da dire. Qualunque cosa sarebbe solo un tentativo stupido di screditare quello che gli ha appena raccontato e non vuole.

Gli crede, anche se non vorrebbe. E non vuole che, quello che è successo a Max, succeda anche a Eddie. Non ora che si sono trovati.

Gli prende il viso tra le mani e lo guarda. Non gli interessa se Vecna è il loro spettatore, se lo ha visto manifestare dei sentimenti per qualcuno che lo ricambia. Non gli interessa se si è esposto.

Quello di Vecna è stato un avvertimento, e ora dovranno agire di certo, ma non stanotte. Non ora che si sono trovati.

Eddie combatte l'impulso di distogliere lo sguardo, lo può vedere dai suoi occhi che vagano per la stanza, ma che tornano sempre lì, nei suoi, e alla fine si arrende e sospira.

Si baciano, lasciando per un attimo tutto il resto al di fuori e sente le dita di Eddie stringersi intorno alla sua maglietta, come se si stesse aggrappando disperatamente a un'ancora di salvezza, l'unica che ha. Steve è felice che sia così ma, da una parte, sapere che si senta così perso, non lo conforta affatto. Gli accarezza le guance, poi si stacca.

«Domani ne parleremo con gli altri, e decideremo cosa fare. So che la soluzione è solo una e che tutti saranno d'accordo e forse è la miglior cosa ma... vorrei che fosse un problema di domani, d'accordo?»

Eddie annuisce, prima di crollare sulla sua spalla e soffocando un rantolo nel tessuto della sua maglietta. Steve gli lascia un bacio tra i capelli, girandosi di lato verso la sua testa e lo stringe.

Per la prima volta in vita sua sa esattamente cosa deve fare ma, dentro, vorrebbe che le cose fossero andate diversamente e, dopotutto, spera ancora di poter cambiare le cose.

Fine Capitolo XIX

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