21.2

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Erano ormai diverse ore che Therar non si faceva vedere e Dazira stava iniziando a preoccuparsi.

Era stata una vera stupida. E un'ingrata. Therar era il suo maestro e, anche se i suoi modi potevano apparire criticabili, ciò non dava il diritto a lei di mancargli di rispetto, dopo tutto ciò che lui aveva fatto per renderle la vita un po' più accettabile.

La rabbia di quella mattina se n'era completamente andata dal petto della ragazza ed aveva lasciato spazio al senso di colpa.

Certo, a volte sembrava che Therar facesse di tutto per tirargli fuori certe parole, ma, nonostante tutto, la ragazza aveva stima di lui ed aveva imparato a scorgere una debole luce che sembrava volersi nascondere dietro al freddo cinismo del maestro. Anche se, a volte, Dazira se ne dimenticava.

Il rombo di un tuono la fece trasalire mentre si alzava in piedi per avviarsi nella stessa direzione nella quale era scomparso Therar qualche ora prima.

Probabilmente, entro sera sarebbe iniziato il temporale, constatò la ragazza tra sé e sé, cercando di scrutare il cielo, per quanto glielo permettessero le fitte fronde degli alberi.

In pochi minuti, Dazira giunse nei pressi del piccolo ruscello che i due avevano scoperto durante il giro di perlustrazione. Era stato proprio quello a far decidere a Therar di costruire lì il loro improvvisato alloggio.

La ragazza si fece largo tra i rami degli alberi per procedere oltre, mentre il rumore dell'acqua corrente si faceva sempre più vicino.

Con l'aiuto di un pugnale, si liberò dei rovi che ostruivano il passaggio e mise piede sulle rive del torrente nella speranza di avvistare Therar.

Non aveva fatto che pochi metri, quando la ragazza si sentì chiamare e, voltatasi in preda allo spavento, si ritrovò faccia a faccia con il ragazzo, ad un metro di distanza. Con tutta probabilità, per qual poco che era riuscita a capire di lui, sentendola arrivare si era nascosto.

I suoi capelli gocciolavano ancora, segno che si era appena fatto il bagno. La camicia bianca era pulita e, tra le mani, Therar stringeva disordinatamente dei vestiti sporchi.

Con un avena d'imbarazzo, la ragazza abbassò lo sguardo, rendendosi conto di aver violato un momento privato.

«Mi stavi cercando?» domandò lui affannatamente per essersi rivestito in fretta, mentre le braccia gli si incrociavano davanti al petto e le palpebre sbattevano di frequente a causa delle gocce d'acqua che continuavano a scendergli sugli occhi.

Dazira annuì con un sospiro, portandosi le mani sui fianchi. «Scusa... è stato il demone a parlare!» esclamò andando subito al dunque.

Sul volto del ragazzo si dipinse un amaro sorriso. «No» replicò con un accenno di risata che Dazira non riuscì a comprendere. «Sei stata tu a parlare».

«Io...»

«In parte, hai ragione» la interruppe lui, enfatizzando con un cenno della mano. «Forse non apprezzo abbastanza la vita e, forse, ti invidio per come reagisci al peso che ti porti dentro... ma la verità è che non ho mai avuto niente in cui sperare per aver bisogno di credere» dichiarò mentre le parole si susseguivano come un fiume in piena. Dazira sollevò o sguardo e si accorse che l'espressione era insolitamente affettata, sincera.

Per la prima volta, la ragazza capì che Therar aveva detto la verità. La sua verità. E il peso di quelle parole era per lui, evidentemente, un macigno.

Il significato di quanto gli aveva appena rivelato non fu, per Dazira, facilmente intuibile. Ciò che la ragazza comprese fu il dolore che quel ragazzo doveva aver provato nella sua vita. Se non aveva mai avuto niente in cui sperare, forse non aveva nemmeno mai conosciuto la vera felicità.

«Ce l'avrai avuto un sogno, da bambino!» considerò lei, con un triste sorriso di compassione.

Therar, a quelle parole, si rabbuiò. «Non sono mai stato bambino!» ribatté freddamente, tornando a poco a poco nel suo guscio.

Già, come ci si poteva aspettare da lui, si stava nascondendo.

«Ma cosa stai dicendo?» insistette Dazira con una risata di scherno che voleva alleggerire la tensione. Senza riuscirci. «Tutti sono stati bambini!»

«Io non me lo ricordo» disse, in risposta, il ragazzo, provocando in Dazira un'espressione incerta di fronte a quel tono così sterilmente sincero. La ragazza sollevò un sopracciglio in attesa che continuasse, ma il volto di lui si fece carico di apprensione. «Pensi che menta? Voglio farti vedere una cosa...»

Farti vedere. Cosa aveva in mente, ora?

Certo, non era da Therar comportarsi così. Come se si fidasse di lei...

Therar voleva farle vedere qualcosa che le avrebbe spiegato il suo passato e, senza ombra di dubbio, Dazira non era minimante preparata a ciò che il ragazzo stava per mostrarle.

Senza attendere oltre, il maestro chiuse gli occhi e, proprio lì, dove fino ad un attimo prima c'era il suo corpo, non rimase che il nulla.

Sparito.

«Per. Tutti. I. Diavoli» sussurrò Dazira scandendo le parole letteralmente stupefatta. «Cosa...»

«Un demone» spiegò la voce di Therar, proveniente dalla stessa posizione in cui si trovava fino ad un attimo prima, anche se la ragazza continuava a non vederlo. A quelle parole, Dazira trasalì ancora più sorpresa: pensava fosse sparito del tutto, invece era lei a non poterlo vedere!

«Questa è la mia vera forma» continuò il giovane. Quello che vedi è solo una facciata! La verità è che io non sono nessuno. Non sono niente» le parole risultavano acri e, pur non potendolo vedere, Dazira fu certa che egli avesse la stessa espressione affranta di poco prima.

La ragazza scosse il capo, ancora incredula. Therar era come lei, per certi versi. Era questo il motivo della sua sofferenza. Therar ospitava un demone. «Ma... non è possibile... Voglio dire, avrai avuto un corpo prima che il demone ti prendesse!» affermò Dazira mordendosi il labbro.

«Probabile. Ma il demone si è portato via ogni mia memoria! Il primo ricordo che ho risale alla mia adolescenza, forse un paio d'anni prima: mi trovavo in una casetta di legno e c'era un corpo riverso a terra in mezzo ad una pozza di sangue. Era quello di un ragazzo con una lunga cicatrice che gli solcava il volto!» la voce era spezzata e, proprio in quel momento, Dazira percepì la sua completa umanità, in quelle sembianze inumane. Istintivamente, allungò una mano nella sua direzione. Un secondo dopo, i polpastrelli incontrarono il petto di Therar, facendola sussultare ancora una volta appena prima di fare un balzo indietro, allontanandosi così tanto da rischiare di finire in acqua.

«Hai preso le sembianze della prima persona che hai visto?» domandò Dazira cercando di ricomporsi.

Un secondo dopo, Therar ricomparve davanti a lei, proprio come - poco prima - era diventato invisibile. «Ho pensato di essere io. O che l'avessi ammazzato io... in fin dei conti, non ha importanza!» dichiarò in uno sbuffo. Probabilmente si era tormentato per molto tempo sulla questione, esattamente come lei aveva fatto nella sua cella sulla natura di ciò che l'aveva investita. «Anche se sono quasi sicuro che non fossero le mie sembianze: d'altronde, tu non sei morta quando il demone è entrato nel tuo corpo!» considerò il ragazzo con un gesto della mano.

Dazira provò ad immaginarlo nelle vesti di qualcun altro, senza la cicatrice, i capelli scuri... ma la ragazza non riuscì nel suo intento. Non riusciva ad identificare Therar con un altro corpo.

Lo guardò dritta negli occhi e, in qualche modo, quelle pozze nere si riempirono, facendola sentire ancora più in colpa per il modo in cui gli aveva parlato poche ore prima.

«Penserai che il mio sia un dono... la verità è che mi sforzo per essere quello che mostro. La mia vita è un'eterna solitudine a cui mi sono abituato» ammise Therar passandosi una mano tra i capelli, quasi a voler nascondere la frustrazione. «Per questo non approvo quando ti piangi addosso perché il tuo amichetto preferisce la stangona a te!» concluse con un sorriso beffardo.

«Mi dispiace per quello che ho detto» mormorò la ragazza con un'espressione sincera, ancora scossa per la rivelazione.

In risposta, Therar sorrise comprensivo. «Hai detto quello che pensavi. Non hai motivo di dispiacerti» sentenziò. «Forse, ora ti fiderai di me un po' di più».

Per qualche istante, il petto di Dazira fu invaso dal calore per il significato di quelle parole e, pervasa dalla gratitudine per ciò che lui le aveva rivelato, sul suo volto si dipinse un'espressione compiaciuta.

«Ti va di allenarti con me, maestro?» gli domandò, smorzando la tensione che la giornata aveva accumulato su di loro.

In risposta, il ragazzo annuì, guardando appena verso il cielo e considerando quanto tempo ci sarebbe voluto prima che la pioggia scendesse su di loro.

Decisero che si sarebbero addestrati tra la boscaglia, a poca distanza dalla capanna, così da poter correre ai ripari nel caso in cui fosse scoppiato l'acquazzone.

Ora che lei era a conoscenza del suo demone, i due avevano stabilito che avrebbero potuto provare ad affrontarsi ad armi pari, utilizzando i poteri che gli sgraditi ospiti avevano loro conferito.

Fu Dazira, perciò, a fare la prima mossa, sferzando un colpo con l'aiuto dei suoi artigli e della forza della bestia, che Therar evitò abilmente appena prima di sparire nel nulla, esattamente come pochi minuti prima.

Un istante dopo, un pugno dritto alla schiena la fece sdraiare a terra per il dolore e la ragazza comprese la minaccia che poteva rappresentare il demone del suo maestro.

Con un gemito, Dazira provò a risollevarsi in piedi. Sleale colpire alle spalle! gli ricordò mentre il dolore a poco a poco se ne andava.

Therar riprese la sua forma, mostrando una sincera risata di derisione. Con il tuo potenziale potresti farmi fuori in poche mosse! Io devo giocare sporco!

La ragazza attaccò ancora ed iniziò una danza che vedeva Dazira sfoderare tutte le sue armi senza, però, tentare di ucciderlo, e Therar prendere tutte le forme possibili in un gioco di sfida reciproca.

In pochi attimi, il ragazzo sparì di nuovo e, nella fitta boscaglia calò il silenzio, rotto solo dai rumori degli animali e dei rami degli alberi che oscillavano al soffiare del vento.

Dazira, divertita, si guardò intorno alla ricerca di un segno rivelatore. Nulla.

Poi le venne un'idea. Concentrandosi, estrasse le ali nere e maestose del demone e, sollevatasi appena, iniziò a sbatterle creando un forte spostamento d'aria.

Therar doveva essere nel mezzo di un attacco, perché, proprio davanti a lei, la ragazza sentì un tonfo pesante ed il rumore di un capitombolo. Poi, di nuovo il silenzio.

Certa della vicinanza del ragazzo, in un secondo si rese conto che, con tutta probabilità, il ragazzo era finito a gambe all'aria e scoppiò in una fragorosa risata al solo pensiero.

Per diversi istanti, però, la solitudine del bosco la pervase. Therar non si faceva vedere e, per un attimo, si chiese se fosse stato possibile che lei gli avesse fatto del male.

In tutta fretta, Dazira scese a terra e riprese la sua forma completamente umana, cercando intorno a lei dove poteva essere caduto l'avversario. Di certo, il ragazzo voleva farle uno scherzo e farle prendere una paura tremenda.

«Maestro?» chiamò ridacchiando mentre si muoveva di qualche metro in avanti, nella direzione dalla quale era provenuto il tonfo. Nessuna risposta. «Therar?»

Fu allora che, appena poco più avanti, su una roccia sporgente, Dazira riconobbe un rivolo di sangue fresco e, all'interno del suo corpo, l'istinto del demone ruggì mentre la sua espressione si faceva seria e preoccupata nel tentativo di ricacciare indietro il richiamo del sangue.

«Therar?» chiamò ancora, avvicinandosi al masso con il respiro affannoso. Con il piede urtò qualcosa e un gemito attirò la sua attenzione. Era lui. Forse aveva sbattuto la testa.

«Therar, scusa! Mi dispiace, io...» ma Dazira non concluse la frase, perché proprio davanti a lei, comparve il corpo del giovane, con la testa appoggiata al masso sporgente dalla quale scendeva un copioso fiume di sangue.

La ragazza si raggelò, ma l'espressione di lui appariva accondiscendente, benché fosse chiaramente sofferente.

Dazira sentiva le lacrime affiorargli quando si rese conto che la ferita di lui si stava rimarginando, proprio come era capitato a lei quelle poche volte in cui qualcuno era riuscito a lederla.

Non sarebbe rimasto che una crosta e un livido. Non sarebbe morto.

Dopo qualche attimo, il ragazzo si sollevò a sedere, con un'espressione ilare sul volto. «Me l'hai fatta!» ammise toccandosi il punto, in cima alla fronte, dove fino a qualche minuto prima era comparsa una ferita spaventosa... ma che non aveva lasciato che qualche segno superficiale.

Sollevata, la ragazza fece per alzarsi, ma il maestro attaccò di nuovo, a sorpresa, facendole perdere l'equilibrio e, in men che non si dica, Dazira si ritrovò placcata a terra senza possibilità di muoversi se non facendogli di nuovo del male. Ma era l'ultima cosa che voleva.

Non gli avrebbe fatto male. Mai più. Questa era una promessa che aveva fatto a sé stessa, nello stesso momento in cui la ragazza aveva visto la ferita assorbirsi e lasciare dietro di sé solo le macchie di sangue che imbrattavano la camicia di lui.

Fu allora che Dazira percepì la vicinanza del ragazzo e, per un solo, lungo secondo, ebbe l'impressione che lui le stesse guardando le labbra.

Un attimo dopo, Therar era in piedi e si stava avviando verso la capanna a passo spedito mentre la pioggia iniziava a ticchettare sempre più fitta.

La ragazza rimase a guardarlo incerta per un po', incurante dei goccioloni che iniziavano a scendere copiosi. Davvero non capiva. Cos'era successo?

Scosse la testa e guardò il cielo, poi seguì Therar verso la capanna.

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