Capitolo BONUS - Neve

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Il respiro era affannato, le gambe pesanti. La neve ghiacciata, caduta ormai settimane prima, scricchiolava sotto i piedi, aggredita dai ramponi; dove era più soffice cedeva inghiottendo lo scarpone fino alla coscia. Il continuo doversi liberare da quelle bianche trappole spossava molto più della salita stessa.
A ogni passo poteva solamente sperare che la superfice reggesse, che si abbassasse solo di quel tanto che bastava per compattarsi e sostenere il suo peso.

Le folate di vento gelido le sferzavano le poche parti scoperte del viso, portando con loro quella fitta pioggia di cui i suoi indumenti erano zuppi e che con l'aumentare dell'altitudine si era trasformata in aghi di ghiaccio.

Non sapeva da quanto stesse camminando né quando sarebbero arrivati a destinazione. La meta era ignota, e conoscerla non sarebbe comunque servito: la vista non riusciva a spaziare oltre una decina di metri in quella nebbia di pioggia e nevischio. Non poteva fare altro che continuare a seguire a testa bassa le impronte degli uomini che procedevano arrancando dinanzi a lei.

Fanculo John e le sue idee di merda. Quel bastardo sembrava quasi divertirsi a trovare sempre nuovi modi per torturarli.
Il panettone e il torrone artigianale che gli avevano regalato di ritorno dalle vacanze in Italia non erano serviti a nulla. Col cazzo che gli avrebbe portato altri souvenir culinari la prossima volta. Sempre se ci sarebbe stata una prossima volta.

"Addestramento invernale", l'aveva definito, più qualche parolone tipo "soccorso in quota" e altre stronzate che Eve nemmeno ricordava. Appena aveva capito le intenzioni del Capo, aveva smesso di ascoltarlo per intervallare obiezioni a mugugni lamentosi, senza, purtroppo, ottenere nessun risultato.

Quel supplizio era iniziato a metà mattina, là dove dalla strada montana asfaltata, a lato della quale avevano parcheggiato, si snodava una stretta carrareccia che si inerpicava tra gli alberi.
Le due guide avevano solo detto loro che per quel giorno l'obiettivo era di arrivare in cima alla montagna prima del buio, l'addestramento vero e proprio si sarebbe tenuto il giorno successivo. Per fortuna le dense nuvole basse cariche di pioggia in quel momento impedivano la visuale oltre le prime centinaia di metri di quel monte. Se Eve avesse visto quanto in alto si fosse trovato il loro obiettivo, probabilmente avrebbe preso in ostaggio uno dei compagni di sventura, minacciando di sgozzarlo con le punte dei ramponi se non le avessero permesso di andarsene; dopo averle consegnato le chiavi di uno dei due pulmini con cui erano arrivati, ovviamente.

Non sapeva nemmeno chi fossero quella quindicina di disgraziati, di quale Corpo facessero parte o se fossero solo degli stronzi che avevano scelto di loro volontà di sottoporsi a quella tortura... magari avevano pure pagato, 'sti coglioni.
Ray aveva attaccato bottone con tutti durante il viaggio. Non era stato zitto un attimo, mentre lei cercava di riposare con la tempia premuta sul finestrino gelato, borbottando insulti a ogni goccia di pioggia che solcava il vetro. Avevano scelto proprio la giornata "perfetta" per andare a fare quella maledetta escursione.

Man mano che salivano, il percorso nella neve diventava sempre più ripido e gli alberi si diradavano, lasciando il posto ad ammassi di bassi arbusti e rocce che spuntavano dalla bianca coltre. 

L'atmosfera si stava facendo sempre più scura. Il fioco sole invernale, che per tutto il giorno aveva tentato invano di fare breccia nelle nubi, stava tramontando molto prima del previsto.
Le condizioni atmosferiche e del percorso li avevano fatti ritardare, al punto che raggiunsero la meta prestabilita col buio, rischiarato solo dalle loro torce frontali. Non sapevano nemmeno dove si trovassero, non che la cosa fosse di loro interesse. Ciò di cui ogni coppia doveva preoccuparsi, a quel punto, era di compattare al meglio la neve fresca, appena caduta, e la sottostante gelata, per ricavare uno spiazzo abbastanza valido per montarvi una tenda.
Lavorarono il più in fretta possibile per riuscire a ripararsi dal freddo che ormai li aveva congelati fino alle ossa.

---

Eve e Daniel erano finalmente dentro la loro piccola tenda, appena sufficiente a consentire a entrambi di sdraiarsi. Non che lì la temperatura fosse tanto più alta che fuori, ma almeno erano all'asciutto e al sicuro dal vento che continuava a sferzare il tessuto grigio del riparo.

Tolsero gli strati esterni di vestiti, zuppi di pioggia e neve, e, dopo aver mangiato al volo una razione d'emergenza, si infilarono nei sacchi a pelo in calzamaglia termica e felpa, sperando di prendere sonno.

«Eve, hai freddo?» le chiese in un sussurro, «Ti sento tremare da qui.»

La ragazza non rispose, ma poteva distintamente sentirla fremere nel suo sacco a pelo, a solo qualche spanna da lui.

«Eve?»
Sospirò sconfitto. Era inutile, quella testona orgogliosa non l'avrebbe mai ammesso, pareva avere anche smesso di respirare pur di non fargli capire che in realtà stava congelando. Non che lui invece avesse caldo, anzi, il freddo accumulato durante tutta la giornata sembrava non voler abbandonare le sue membra.
Rimase a riflettere, con gli occhi spalancati verso di lei, come a voler oltrepassare l'impenetrabile buio, in cui erano immersi, per riuscire a vederla.
Appena la sentì ricominciare a tremare prese una decisione.

Fece scorrere la cerniera del proprio sacco a pelo fino in fondo, poi si avvicinò a quello di lei e lo avvolse col proprio.

«Ray, che fai? Stai dal tuo cazzo di lato della tenda!» gli sbottò contro, ma Daniel la ignorò, mentre a tentoni trovava la zip del giaciglio della ragazza per poi iniziare ad aprirla.
Appena Eve riconobbe quel suono, fece uno scatto istintivo dalla parte opposta, «Ehi, che cazzo fai, coglione?»

«Ti scaldo» le rispose con tono fin troppo sicuro, mentre faceva scorrere la cerniera.

«Cosa? Come? No!» Eve capì al volo le sue intenzioni e tentò di strisciare via per sottrarre il sacco a pelo da quell'assalto, ma finì solo per rannicchiarsi qualche centimetro più in là, contro il limitare della tenda.

«Preferisci morire di freddo?» Nonostante quel goffo tentativo di fuga, il giovane riuscì ad abbassare la cerniera quanto bastava per infilarsi nel giaciglio.

«No, certo che no! Ma-» Eve non riuscì a intimargli di non taccarla. Appena percepì il caldo tocco del suo corpo rimase paralizzata. La mente ordinò di combattere, ma i muscoli non risposero. Incolpò il gelo, che le era ormai penetrato nelle ossa fino a farle bruciare come se stessero ardendo dall'interno.

Daniel la sentì trattenere il fiato. Rimase in attesa di una sua reazione violenta. Sapeva di stare correndo un grosso rischio, ma ormai aveva piazzato quella scommessa.
Prese tempo avvolgendo il loro giaciglio con il suo sacco a pelo, con gesti meccanici dettati dal nervosismo, mentre la ragione gli urlava nella testa che aveva appena firmato la sua condanna.
Eppure la fatale sentenza non arrivò, la ragazza rimase immobile.
Le cose stavano andando contro ogni pronostico.
Forse proprio spinto da quell'ondata di buona sorte, decise di seguire la sua parte irrazionale, di agire in modo naturale. Un gesto addirittura logico per persone normali, ma del tutto incosciente con Eve.

«Dai, vieni qui. Sei congelata.»
Le infilò il braccio destro sotto la testa e la tirò a sé, fino a far aderire il proprio ventre a quella schiena talmente fredda da sembrare un blocco di ghiaccio.
La sentì irrigidirsi fra le sue braccia, ma lei non lo allontanò, non emise nemmeno un sospiro di dissenso.

Era come in apnea, incapace di respirare. A quel contatto, ogni suo muscolo, diaframma compreso, si era involontariamente contratto. In qualunque altra situazione avrebbe contrattaccato, si sarebbe difesa d'istinto, invece il corpo rifiutava di muoversi. Non era nemmeno certa che la mente avesse dato un qualche tipo di ordine, o che volesse darlo. Era come se il cervello fosse andato in tilt per lo sbalzo improvviso tra il freddo e quel calore inaspettato, spegnendosi di colpo.

Sentì il giovane scostarle i capelli e il suo respiro sferzarle la nuca.
«Dammi le mani che te le scaldo.» Quel sussurro sul collo le provocò un brivido caldo che si irradiò in tutto il corpo, fino a divenire un incendio appena sentì le sue dita percorrerle il braccio sinistro fino a raggiungere la mano gelata stretta al petto.

Gli permise di afferrarla.
Non seppe spiegarsi il perché. Non ebbe nemmeno il tempo di chiederselo che già era intrappolata in quella delicata morsa.

Aveva sempre il pieno controllo di sé, su ogni suo muscolo e terminazione nervosa, eppure in un solo istante aveva perso ogni facoltà, fisica e mentale.
Sapeva di dover fuggire da quel tocco, eppure non riusciva a farlo. Oppure non voleva.

Era colpa del freddo. Fu l'unica risposta che riuscì a darsi.
Probabilmente il suo istinto di sopravvivenza era più forte della repulsione per il contatto umano.
La mente era tutt'altro che lucida in quel momento, ma quella doveva per forza essere la soluzione. Se la ripeté nella testa finché non fu di nuovo in grado di riprendere a respirare, con rapide e irregolari boccate.

Il suo corpo combaciava con quello del giovane. Poteva percepire contro la schiena il petto di lui muoversi a ritmo con il respiro che le solleticava il collo.

Lottò per ritrovare la ragione, cercando risposte a domande che non era in grado di formulare, mentre il calore le inondava inesorabile ogni cellula.
Ogni sua parte, dai piedi, alle cosce, fino alle spalle, si stava scaldando grazie quel contatto, che contro ogni sua volontà e previsione pareva diventare a ogni secondo sempre più tollerabile, quasi piacevole. 
Poi, senza nemmeno accorgersene, a poco a poco si rilassò, fino a sincronizzare il respiro con quello del compagno.

Fece scorrere la mano libera lungo il braccio che le premeva delicatamente sul fianco. Nemmeno si rese conto di averlo fatto, ebbe solo il tempo di chiedersi se davvero fosse stato il cervello a formulare quell'ordine, oppure i suoi muscoli erano mossi da una forza aliena e non razionale. Percepì l'arto fremere sotto il freddo e inaspettato tocco dei polpastrelli che scorrevano sulla manica. Le dita risalirono finché fu possibile, poi si agganciarono delicatamente a quel bicipite caldo, affondando nel tessuto.

Daniel fu scosso da un brivido. «Buonanotte, Eve» sussurrò da in mezzo alla nuvola di ricci, e fu a malincuore costretto ad allontanare il bacino da lei, perché quel contatto gli era tutt'altro che indifferente.

«Grazie, Ray» rispose lei, mentre il suo corpo si rilassava completamente e gli stringeva con più forza la mano sul braccio, ormai arresa a quel suo stato di simil-incoscienza.

---

Eve si svegliò con un fastidioso peso sul fianco.
Aprì gli occhi e mise a fuoco davanti a sé. Dal telo grigio della tenda filtrava già la luce del primo sole.

Ancora frastornata si girò a pancia in su nello strettissimo sacco a pelo, ruotando sotto a quell'anomala pressione.
Trasalì perdendo il fiato quando lo vide: Daniel stava beatamente dormendo al suo fianco, tenendole un braccio appoggiato sul ventre.
Si rese conto che gli stava stringendo il polso con la mano. Mollò subito la presa, ma non si ritrasse.

Rimase ferma con la testa girata verso di lui, lo spazio era così ridotto che i nasi quasi si sfioravano. Dormiva sereno, con le labbra semi schiuse e il respiro lento.

Non sapeva quanto tempo passò così.
Neanche lei riusciva a spiegarsi il motivo, ma non ce la faceva a smettere di guardarlo. Quella surreale situazione pareva donarle un'anomala pace che non ricordava di avere mai provato.
Con la mano gli percorse il braccio, sfiorando appena la manica con le dita, fino a raggiungere la spalla.

Daniel sentì un leggero solletico al braccio e aprì gli occhi, ancora in dormiveglia.
A pochi centimetri da lui, due iridi azzurre lo scrutavano con dolcezza e i suoi sensi intorpiditi percepirono un corpo caldo fra le proprie braccia.

Quel sogno era bellissimo. Doveva essere il Paradiso. Non voleva svegliarsi.

Si strinse ancora di più attorno a quel corpo, affondando il viso nella nuvola di morbidi ricci. Chiuse gli occhi e tornò a dormire beato, rituffandosi in quel sogno.

Eve si irrigidì, spiazzata. Sopraffatta di nuovo da quell'assurda paresi che le tolse il fiato. 
Il giovane nel dormiveglia le aveva premuto il viso contro la guancia e l'aveva tirata ancora più a sé, mettendo una gamba fra le sue.
Ci mise diversi secondi a rendersi conto che si era addormentato di nuovo.

«Ray» sussurrò tremolante.

Lui si svegliò di colpo, realizzando all'istante che quel magnifico sogno era la realtà, e si staccò d'istinto da lei. «Eve, io... scusa, ero in dormiveglia, pensavo che... io non... non volevo... non pensavo...» Il suo viso tese rapidamente al porpora.

«Ray, stai tranquillo, nessun problema.» Gli sorrise imbarazzata, con le gote che si tingevano di rosso, «Anzi, grazie, sarei morta di freddo senza di te.»

Si tranquillizzò, realizzando di non essere in pericolo, ma il suo volto non accennava a riprendere un colorito naturale.
Il cuore gli batteva in gola e non riusciva a continuare a sostenere lo sguardo di lei. Se avesse guardato quello splendido viso per solo un secondo di più, non avrebbe potuto resistere dall'abbracciarla di nuovo e stringerla senza mai più lasciarla andare.
Si costrinse a girarsi a pancia in su e mise a fuoco la sommità della tenda. Fuori era già piuttosto luminoso, la tempesta doveva essere passata per lasciare spazio a un timido sole.

«Dici che dovremmo alzarci?» chiese nervoso, cercando di calmarsi e superare l'imbarazzo, «Io non ho per niente voglia di uscire, poi sembra abbia anche nevicato abbastanza.»
Tutto il bordo inferiore della tenda era in ombra, coperto da una coltre uniforme alta una spanna.
«Potremmo dormire ancora finché non vengono a chiamarci.»

«Non sarebbe una brutta idea, ma non possiamo di certo farci trovare così» fece notare la collega, poi sospirò, «Cheppalle, il sacco a pelo è così caldo.»
Si lasciò sfuggire un mugolio di disapprovazione, poi prese coraggio e con un singolo scatto si mise seduta, sfilando il busto dal confortevole giaciglio.
L'aria nella tenda la fece rabbrividire.
Cercò rapida i vestiti, buttati lì accanto, e iniziò a infilare l'intimo termico.

Daniel arrossì ancora di più alla vista del ventre nudo di lei, coperta solo da un comodo reggiseno sportivo.
«Ehi, non eri andata a dormire con la maglia?»

«Sì, ma poi stanotte stavo morendo di caldo. Sei veramente una stufetta, lo sai? Così ho tolto le maglie, sennò le avrei sudate. Dormivi così sodo che non te ne sei neanche accorto?»

Lui fece un ghigno ammiccante. «Hai tolto i vestiti così potevi goderti ancora di più il mio calore, eh?»

«Veramente sei tu che, appena io mi spostavo un attimo, tornavi ad avvicinarti. Sennò non avrei avuto tutto quel caldo.»

«Però ti ha fatto piacere?» La guardò sornione con gli occhi a fessura.

Lei rispose al ghigno spavaldo del giovane con uno sguardo severo, «Mi sembra di averti già ringraziato, no?» Poi estrasse il resto del corpo dal sacco a pelo.

Le sue natiche sfilarono davanti al viso di Daniel, le cui guance andarono a fuoco.
La ragazza indossava solo uno striminzito perizoma.

Il giovane deglutì, mentre un calore incontrollato invadeva ogni parte del suo corpo.
«Non avevi neanche i pantaloni?» esalò con voce strozzata.

«Te l'ho detto che avevo caldo, no?»

Rimase in silenzio a guardarla, mentre, a poche decine di centimetri di distanza, la ragazza infilava la calzamaglia sulle gambe tornite, fino a celare alla sua vista quelle magnifiche natiche.
L'aveva già vista in intimo, vivendo nella stessa camera era inevitabile e avevano messo da parte il pudore già da tempo. Ma saperla così, con lui nel sacco a pelo, tra le sue braccia, con solo due lembi di stoffa a coprirla, lo scosse nel profondo.
Non era di certo la prima volta che dormiva con una donna e di sicuro non sarebbe stata l'ultima. Ma sapere di aver avuto Eve così vicino, sapere che lei gliel'aveva concesso, lo mandava su di giri.

«Ray, che fai? Tu non ti alzi?»

Si scosse da quel pensiero.
«No... penso che starò qui sotto ancora qualche minuto.»
Non poteva di certo uscire dal giaciglio e rivelare l'effetto che quella visione aveva avuto sul suo basso ventre.
«Mi calmo un attimo e arrivo» sibilò fra i denti contro il sacco a pelo, facendo attenzione a non farsi sentire.
La guardò infilarsi la giacca.
«Quindi da ora in poi ti posso toccare?» chiese timido, ma con un velo di malizia.

Eve finì di sollevare la lampo con un colpo brusco e gli scoccò un'occhiataccia, «No!»

«Ma stanotte-»

«È stato solo per la sopravvivenza» scandì bene le parole, «Quindi grazie ancora, Ray, ma per favore non toccarmi.»

Lui sbuffò, ma mentre la ragazza gli dava le spalle per gattonare fino all'entrata della tenda, un sorrisetto diabolico gli sorse sul volto. Una volta tornato alla CIA avrebbe trovato il modo di manomettere l'impianto di riscaldamento della loro camera.

Eve aprì la cerniera che chiudeva il loro riparo.
Si lasciò sfuggire un versetto ammirato, «Ray, vieni a vedere!»

Il compagno si tirò su e, ancora avvolto nel sacco a pelo, strisciò fino accanto a lei e scostò un lembo del tessuto.

L'aria frizzante gli sferzò il viso e una distesa di neve che scintillava sotto il sole invernale si parò dinanzi ai suoi occhi.
Le montagne rocciose alla loro destra troneggiavano solenni e andavano a tuffarsi insieme al terreno coperto dalla coltre di manna in uno sconfinato mare di candide nuvole.
Al di là di esso, altre vette emergevano come isole solitarie, uniche superstiti della lunga catena montuosa che racchiudeva l'altra parte della valle immersa in quel soffice abisso di nubi.

Il silenzio era surreale. Riusciva a sentire soltanto il loro respiro e il battito del suo stesso cuore.

Era in Paradiso. Lì, con il suo angelo dagli occhi di ghiaccio.
Non esisteva nessun altro posto al mondo in cui avrebbe preferito trovarsi in quel momento.

«Eve, e se tutto questo fosse solo un magnifico sogno?» disse con voce rapita, «E se quando ero un tuo ostaggio fossero intervenute le Squadre Speciali e noi fossimo rimasti uccisi? E questo non è altro che il Paradiso?»

La ragazza si girò a contemplare il suo sguardo perso nella sconfinata distesa bianca, gli occhi blu brillavano proprio come quella neve accarezzata dal sole.
Sorrise e rispose con voce dolce, ma velata di tristezza: «Questo è impossibile, Ray. Non c'è posto per me in Paradiso.»

(Foto mia)

Ed ecco il sorrisetto diabolico di Daniel mentre trama di sabotare il riscaldamento:

Ma da quant'è che aspettavo di pubblicare questo capitolo? Un paio d'anni, probabilmente. 

Questo è il secondo, se non il primo, capitolo bonus che ho mai scritto, ma per ovvi motivi sono stata costretta a tenerlo nelle bozze, in attesa che nella storia arrivasse l'inverno e il clima opportuno per pubblicarlo (in tutti i sensi😏).
(Fun Fact: la battuta "ho una suite prenotata all'Inferno" e tutta la gag a riguardo è nata in risposta del "non c'è posto per me in Paradiso")

E dopo questa ventata di fresca zuccherosità, spero di avervi addolciti abbastanza per un annuncio: dal prossimo capitolo avrà il via una missione molto importante e che vorrei avere già ben definita prima di iniziare a pubblicarla, quindi la storia si prenderà una piccola pausa e ci sarà da aspettare un po' prima di avere nuovi capitoli, mi spiace... Non so quanto tempo ci vorrà, so solo che voglio mettermi d'impegno per creare una vera e propria storia nella storia.

^w^

Grazie e a presto!

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