6. Ti salverò

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Ninfea si alzò da terra con fatica, a causa delle sue gambe che non smettevano di tremare.
Non sapeva quanto tempo fosse passato ma il ricordo degli eventi precedenti era ancora impresso nella sua mente.

L'assassinio brutale di Emellys e la smorfia di dolore sul viso della sua migliore amica erano più vividi che mai, mentre le urla delle persone accanto a lei non facevano altro che aggiungerle ulteriore tormento.
Lei e le altre fate, tenute prigioniere in una grande stanza scura, umida e con le pareti quasi completamente coperte di muschio.
Un paio di soldati sorvegliavano dall'esterno l'entrata principale, costituita in realtà da una semplice porta di legno decadente.
Nessuno osava avvicinarsi ad essa. Avevano paura che i soldati potessero strappare le loro ali, perciò non avevano il coraggio di ribellarsi.

Ninfea però non aveva un animo debole e cominciò a girare per la stanza in cerca di una via di fuga.
Tastò le pareti e sbatté i pugni sui punti del muro che le sembravano meno resistenti, incitando le altre fate a fare lo stesso.
«Possiamo fuggire da qui se creiamo un varco!» cercò di spiegare.
Nessuno le diede ascolto ma, nonostante l'indifferenza delle altre creature magiche, continuò a tirare calci e pugni nelle mura, nel tentativo di creare un varco fra le crepe della parete.

Si gettò con violenza contro di essa, come a volersi liberare di tutto il dolore che aveva dentro.
Si fermò solo quando sentì le sue mani bruciare, accorgendosi del sangue che le colava e che lasciava chiazze scure sul muro.

A quel punto, si appoggiò con la schiena alla parete dura e si lasciò cadere a terra.
"Non posso farcela..."
Disperata, si prese la testa fra le mani e si rannicchiò su se stessa.
I suoi bei capelli castani, ormai rovinati a causa della polvere e del sudore, si sporcarono del sangue che le usciva dalle ferite sui palmi.
Era sempre stata una ragazza indipendente, sicura di sé e piena di ottimismo, ma questa situazione la stava facendo impazzire.

"Per favore, qualcuno mi aiuti..."

Senza alcun motivo, un ricordo della sua infanzia fece breccia nella sua mente: la prima volta che imparò a volare.

"Una piccola fata dai fluenti capelli cercava di librarsi in volo.
Le sue ali verde smeraldo però, erano deboli, e non erano in grado di reggere nemmeno il suo esile corpicino.
La fatina, rassegnata, sbuffò e si sdraiò a terra allargando gambe e braccia, guardando verso la chioma degli alberi.
Era autunno e le foglie viola degli alberi da frutto stavano cominciando a cadere, lasciando sul terreno una scia di colori pastello che variavano dall'indaco al rosa chiaro.

Era un'esplosione di colori.

Fra le foglie, notò un colore insolito per l'autunno fatato: il rosso acceso.
Una bambina, probabilmente della sua stessa età, si stava arrampicando sugli alberi.
Accortasi dello sguardo confuso che l'altra le stava riservando, la bambina con i capelli rossi la salutò.
La piccola fata si girò e scelse di non rispondere al saluto; le sembrava davvero troppo strana.
Questo però irritò la rossa, che iniziò a saltare su un ramo per attirare l'attenzione dell'altra, urlando per farla girare.
La piccola fata, spazientita si voltò giusto in tempo per vedere il ramo spezzarsi e la bambina cadere di sotto.
Con uno scatto, balzò in aria e la salvò per un soffio, adagiandola sul terreno ricoperto di foglie.
Totalmente entusiasta per l'accaduto, la bambina l'abbracciò e si mise a ridere.
Ninfea, rendendosi conto di aver imparato a volare, scoppiò a ridere, contagiata dall'allegria di colei che sarebbe poi diventata la sua migliore amica."

«Sunshine...» sussurrò a bassa voce. «Grazie.»
Quel piccolo ricordo felice bastò a Ninfea per ritrovare la speranza.
Piena di energie, si alzò nuovamente per cercare una via di fuga.

Nello stesso istante, la porta in legno venne spalancata, rivelando la figura di un uomo biondo e con il viso deturpato da una cicatrice che, rabbioso, dichiarò:
«Mi servono quindici nuove schiave, le altre verranno ammazzate.»

E nella stanza calò il silenzio.

La violenza e il sadismo di quell'essere trasparivano dal suo sguardo, dai suoi occhi blu scuro bramanti del sangue di ogni creatura fatata presente nella stanza.
L'angoscia era opprimente e i sentimenti di fratellanza che avevano provato le fate fino a quel momento, furono sostituiti da un egoistico desiderio di vita.
A qualunque costo.

Anche se questo significava la morte di persone con cui si aveva vissuto per molti anni.

L'uomo con il viso deturpato si appoggiò al muro, facendo segno ad alcuni soldati di entrare nella stanza.

Questi seguirono i suoi ordini, disponendo le creature fatate in tre file, differenziate in base all'età delle fate.
Nessuno faceva rumore, solo il respiro pesante e profondo dell'uomo impediva al silenzio di governare tutta la sala.
Si avvicinò alla prima fila, quella di Ninfea, che si accorse di trovare familiare il suo volto.
"Lui è..."
Quegli occhi blu pieni di oscurità le fecero provare rabbia e dolore, quando si rese conto che era lo stesso uomo che aveva ridotto il suo villaggio in un cumulo di morte e disperazione, uccidendo Emellys e condannando la maggior parte delle persone presenti nella stanza ad una vita miserabile.

Strinse i pugni e si lasciò sfuggire un verso.
Sperò che nessuno la sentisse, ma l'assenza di rumore nella sala non impedì all'uomo di udirla.
Con passi pesanti arrivò da lei e la squadrò minaccioso.
Ninfea abbassò lo sguardo, intimorita dal suo orribile volto e da ciò che lui avrebbe potuto farle.
«Brava lurida puttana, abbi rispetto per un essere superiore.» sentenziò sollevando il capo con orgoglio ed esclamando ad alta voce:

«Io sono Brux, Primo Generale dell'esercito di Dominous e anche suo consigliere personale. Come tale, ho diritto di decidere il corso delle vostre vite. Vi spiego meglio per far comprendere a menti ridotte come le vostre: decido io chi vive e chi muore.»

Si udirono dei lamenti in fondo alle file e i soldati gettarono a terra alcune fatine che piangevano, per intimare loro di fare silenzio.
Con passi lenti, il Generale si fece spazio tra le fate tremanti, arrivando fino ad una bambina che era stata spinta da uno dei due soldati.
Lei, impaurita, si strinse nelle spalle coprendosi il volto con i suoi capelli rosa, unti e pieni di sporcizia.
Brux si inginocchiò di fronte a lei, cercando di guardarla in faccia. Si intravedeva nel suo sguardo una nota di disgusto nell'essere così vicino a quella creatura.
«Hai paura piccina?» chiese con tono stranamente dolce.
La bambina, con timore, rispose: «Un po', però la mamma mi ha detto di non avere paura di nessuno.»
L'uomo fece un sorriso e si alzò: «Oh, l'ha detto la tua mamma... E chi è fra loro?»
Lei, più tranquilla, puntò con sicurezza il piccolo dito verso una donna dai lunghi capelli rosa.

Il Primo Generale si avvicinò a lei e questa mantenne la testa alzata in sua presenza, guardandolo con disprezzo.

Stupito, Brux si mise a ridere, passandosi una mano fra i capelli biondi, ancora appiccicosi per il sangue della battaglia precedente.
«Non abbassi lo sguardo?» la schernì, osservando l'espressione fiera della fata.

«Non meriti alcun rispetto.» risposte lei prontamente. Non aveva alcuna intenzione di sottomettersi e rinunciare alla sua dignità.

«Wow! Una fata con carattere! Potrei aggiungerla alla mia collezione...» esordì, applaudendo alla donna e girandosi verso gli altri soldati che si misero a ridere.
«O forse no...» ed estrasse dall'armatura metallica un coltello nero con la lama seghettata, pugnalando allo stomaco la donna sotto gli occhi attoniti della figlia e di tutte le altre fate.
Con un taglio verticale lungo l'addome, fece uscire l'intestino della donna, che si accasciò al suolo tremante e con gli occhi rivolti verso l'alto, mentre il sangue le sgorgava anche dalla bocca.
«Mamma, aspetta, ti aiuto io!»
Piangendo, la bambina accorse dalla madre e iniziò a raccogliere le viscere per rimetterle all'interno del suo corpo. Era convinta, in questo modo, di poterla salvare.

Alcune fate iniziarono a vomitare per lo shock e nel trambusto generale il Generale si avvicinò all'orecchio della bambina, sussurrandole:
«È tutta colpa tua. Vivrai con la consapevolezza di essere tu la causa della sua morte.»
A quel punto il volto della bambina impallidì e smise di dibattersi, perciò Brux ordinò ai soldati di portarla via.

Ninfea intanto aveva dovuto assistere alla scena senza poter fare nulla e tutto ciò la faceva sentire inutile.
Non poteva cambiare nessun evento e tanto meno poteva far tornare in vita le persone.
"Devo sopravvivere, Sunshine mi starà di sicuro cercando."
Lo sapeva.
Lo sperava.

Perciò prese coraggio e trattenne il fiato, mettendosi in fila ordinatamente.
Il Generale notò il suo atteggiamento e, incuriosito dal suo comportamento ubbidiente, decise di farla sopravvivere e portarla nel Regno.
«Mettetela sul carro mentre finisco di selezionare le altre.»
I soldati la condussero sullo stesso carro in cui si trovava la bambina con i capelli rosa.
Le strinse la mano e quest'ultima non rispose alla stretta, limitandosi a guardarla catatonica.
In breve tempo, altre fate vennero fatte salire sul carro, finchè non venne raggiunto il numero selezionato.
L'ultima cosa che udì furono le urla strazianti delle fate che non erano state scelte, poi si tappò le orecchie per non sentire nient'altro.

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«Accetto la missione.» dichiarò Sunshine con voce tremante, sollevandosi dal pavimento in pietra.
«Devo partire al più presto o non riuscirò mai a raggiungerli.» aggiunse, in preda ad uno stato di ansia.
"Ho già perso mia nonna, non posso permettere che mi venga portata via anche Ninfea." Si morse l'interno della guancia al pensiero che sicuramente i soldati erano già quasi tornati al castello e di cosa avrebbero fatto alle fate catturate una volta arrivati.

«Non preoccuparti di questo, ti teletrasporterò in un luogo non lontano dall'ingresso delle mura che circondano il Regno.» le disse il Pegaso, lasciando trasparire dal suo tono il sollievo che provava nel sapere che Sunshine avrebbe compiuto quella missione.
«Ora dovresti concentrarti sui preparativi prima del tuo viaggio. Hai molte cose di cui ti devi occupare.»

«Sì.» annuì Sunshine. Doveva pianificare una strategia per infiltrarsi nel castello e uccidere Dominous con le sue mani, anche a costo di rimetterci la vita. Solo così avrebbe avuto la sua vendetta.

Pensò un'ultima volta alla sua migliore amica.

"Aspettami Ninfea, io ti salverò."

SPAZIO AUTRICE

Questo capitolo è leggermente più breve ma spero che vi sia piaciuta la parte di Ninfea.

E vorrei sapere: odiate più il capo villaggio o il generale? Io sono parecchio indecisa. xD

GRAZIE A TUTTI!

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