Capitolo 57

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Passarono mesi, tutti tornarono alle loro vecchie abitudini, tutti tranne Michael e Vivian.
Lui aveva provato a non pensarci fino a farsi male, a considerarla uno sbaglio da dimenticare, ad odiarla. Ma ogni volta che la sua mente si concentrava su di lei riusciva a ricordare solo quanto fosse bello farci l'amore, e allora correva nel suo studio e cercava il quadro che le aveva fatto l'ultima notte passata a Firenze insieme, per distruggerlo: ma non ci riusciva mai. Quando si avvicinava con il coltello al volto disegnato di Vivian il suo sguardo lo bloccava: una forza invisibile gli teneva fermi i muscoli e il braccio, a stento riusciva a detestarla e ancora di più ad odiare se stesso per essere stato uno stupido.

In realtá gli mancava, gli mancava sempre di più ogni giorno che passava: quando si svegliava la mattina e mentre preparava la colazione non la vedeva sbucare da dietro la porta della cucina assonnata, per chiedergli se stesse preparando il caffè. O quando sbirciava mentre dipingeva, gli rubava le sigarette o gli chiedeva di insegnarle a cucinare, gli mancavano i suoi occhi freddi ed enigmatici, il modo strano che aveva di guardare le cose, come se si aspettasse sempre che qualcuno dovesse soffrire, che qualcosa di brutto stesse per accadere.

Gli mancava sentire i suoi passettini leggeri sul pavimento in giro per la casa, provocarla ogni volta che ne aveva la possibilità e le sigarette insieme, le lunghe occhiate che si riservavano tutte le volte che non avevano il coraggio di dirsi qualcosa.

Ti sei proprio rammollito Rinaldi.
Allora inizió a fare le cose che facevano tutti quando dovevano dimenticarsi di qualcuno, provó ad aggiustarsi il cuore, a riempire il vuoto lasciatogli nel petto da Vivian con una serie di uscite fallite e appuntamenti inutili.
Si sforzó di tornare quello di prima, ma non era possibile, non si torna indietro nel tempo a piacimento: quindi pensó di impegnarsi seriamente con qualcuna. Perchè no?
Odiava la visione di se stesso con una donna che non fosse la sua, mai stata sua davvero, americana. Eppure con le altre sembrava così facile: usciva, si divertiva, faceva sesso e poi? Cosa rimaneva? Nessuna gli lasciava niente.

La verità era che lui non cercava di dimenticare Vivian, di andare avanti, era costantemente attento per individuare lei negli occhi delle altre, nei loro gesti, e ogni volta che non la trovava rimaneva deluso.
Martina, che ormai detestava la sua vecchia amica, gli presentó un mucchio di ragazze, le sue colleghe impazzivano per Michael e l'aria tormentata lo rendeva ancora più affascinante.
Ma cosa poteva farci? Il suo cuore non era più suo: se lo fosse stato di certo non l'avrebbe dato in mano a quella strega di Vivian, ma ora non gli apparteneva più e pareva potesse solo rassegnarsi.

Passarono settimane e tutto rimase uguale fin quando una sera non la vide: una donna che aveva il suo stesso sguardo, seduta vicino a lui al bancone del vecchio locale dove lavorava Vivian, ovviamente non aveva smesso di andarci: come se sperasse che da un momento all'altro potesse spuntare da dietro la cucina e chiedergli cosa volesse da bere.
Che idiota.

Non le parló, la guardó sedersi sullo sgabello accanto al suo, i capelli erano biondi e folti come la criniera di una leonessa, gli occhi blu sembravano spenti mentre le labbra erano increspate in un sorriso tirato. Era triste, per quanto sorridesse il velo di malinconia che aveva davanti alle iridi azzurre la tradiva ogni secondo, Michael queste cose le notava fin troppo bene.
L'analizzó per qualche momento, era curioso di sapere che cosa la tormentasse, perchè si sentisse in quello stato: aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse "ti capisco".
La solitudine, sua fidata amica, negli ultimi tempi era diventata insopportabile.
Ordinó un calice di vino rosso, doveva essere appena uscita da lavoro o qualcosa del genere perchè sembrava molto elegante, o forse lo era già di suo: delicata nelle movenze e anche mentee beveva. Doveva avere qualche anni in più di lui, si accorse del suo sguardo addosso e si voltó per capire da dove arrivasse, quando lo vide rimase incantata per qualche istante.

Se ci fosse stata Vivian, avrebbe chiamato quello che Michael stava facendo come il suo sguardo da artista. L'aveva visto così spesso, attento ad esaminare i dettagli che gli piacevano, incuriosito, compiaciuto. Rapiva l'anima di chiunque avesse l'onore di vederlo e la incatenava a sè.

« Ci conosciamo? » La donna lo interpelló, lasció il calice sul tavolo in legno e prese ad accarezzarne distrattamente il gambo con le dita curate, lo smalto rosso brillava sotto la luce forte del locale.

Michael scosse il capo. « In questo mondo no, ma nei miei sogni probabilmente ci siamo incontrati un sacco di volte. » Quella frase detta in quel modo, il sorrisetto malizioso di lui e quel legame evidente che li collegava la fece cadere ai suoi piedi come un sacco vuoto. Non era attratta dal suo viso, dal suo fisico sebbene il volto particolare e i capelli corvini lo rendessero irresistibile alla maggior parte delle sue conquiste; era incantata dal modo in cui le parlava, da come capisse ció che avesse nella testa, sebbene non avesse la soluzione ad alcun male.
Si sentiva anche lei meno sola.

« Il mio nome è Serena. »
« Michele. » Odiava il modo in cui il suo nome suonava in inglese, gli era parsa la melodia più dolce del mondo quando Vivian lo aveva pronunciato la prima volta, adesso lo detestava con tutto se stesso.

Lei era come lui, distrutta da una storia finita male e forse neanche mai esistita davvero come se l'era immaginata: un uomo che avrebbe dovuto sposarla qualche settimana prima aveva deciso che non l'amava più all'ultimo, distruggendole il cuore. Aveva trentadue anni e non aveva più voglia di ricominciare.

« Sei fortunato. » diceva. « Tu hai ancora tanto tempo per innamorarti. »
Lui le rispondeva che non era cosí semplice, che ci stava provando con tutto se stesso ma gli sembrava la cosa più difficile del mondo. Si sentivano soli allo stesso modo, anche se lui non potè confessarle tutti i dettagli riuscí ad aprirsi, a raccontargli della giovane americana che odiava cosí tanto se stessa da punirsi distruggendo chiunque le volesse bene, di come avesse provato a salvarla ma senza successo.
« È impossibile salvare chi non vuole essere salvato. » Adesso, dopo qualche whisky e altri calici di vino, la voce di lei riuscí a sembrargli quasi suadente. Finirono per andarsene insieme e quando lui si offrí di accompagnarla a casa lei non esitò ad invitarlo su, dopo.

Inziarono a baciarsi ancora prima di arrivare all'ultimo scalino, erano cosí disperati e alla ricerca di qualcosa di caldo che li facesse sentire meno soli da sembrare davvero presi l'uno dall'altra. Lui le cinse i fianchi e l'attirò di più a sè, per riservarle altre attenzioni al sapore di alcol e sigaretta. Lei invece andò a incastrare le dita nei suoi capelli neri, inclinò il capo quando lui prese a morderle il collo e si lasciò stringere contro il muro. Aveva ancora le chiavi della porta chiuse nella mano, si scansò da lui solo per aprirla e poter finalmente concedersi, arrendersi alla sua tristezza.

Lui le accarezzò una coscia e le strinse i glutei, pensò subito che non fossero come quelli di Vivian, non era niente come lei, neanche il modo in cui quella donna lo stava baciando, gli stava togliendo la giacca e la maglietta.

Non somigliò a Vivian neppure quando ansimava sotto di lui, neppure quando chiudendo gli occhi Michael fece finta di star passando la notte con un'altra, quella che davvero avrebbe voluto avvinghiato a lui, che camminava nelle sue fantasie più eccitanti dalla prima volta che l'aveva vista entrare in quello stupido portone.

Erano i suoi, i gemiti che sentiva riempire la stanza vuota, le mani dietro la sua schiena. Fu pensando a lei che raggiunse l'apice del piacere, si sentí uno stupido.
Serena forse se n'era accorta, forse aveva capito che Michael avesse fatto l'amore con un'altra ma far finta che non fosse cosí era eccitante e appagante.
Rimasero a letto per un po', poi lui andò a farsi la doccia e lei lo raggiunse, sperando che quella magia non fosse finita.

Ma l'italiano aveva solamente voglia di tornare a casa, scappare nel suo studio e ammirare il quadro che aveva fatto di Vivian, per ricordarsi di quanto fosse bello fare l'amore con lei.

« Ti rivedrò? »
Gli domandò lei, con ancora l'accappatoio addosso. Lui si strofinò l'asciugamano sui capelli mossi, poi le rivolse uno sguardo pensieroso. « Vorresti rivedermi? »
« Vorrei che non andassi via. »
Quelle parole pesarono come un macigno sul suo stomaco, le odiò profondamente perchè aveva sperato troppo ardentemente di sentirsele dire da un'altra persona, perchè non poteva essere lei? Perchè lui non riusciva a pensare ad altre se non a Vivian?
Strinse i denti e decise che non potesse più continuare in quel modo, e se non poteva smettere di amarla avrebbe trovato il modo di distrarsi, a tutti i costi.

Serena era ancora sul letto, nuda con solo l'accappatoio a coprirle la pelle liscia. Lui lasciò cadere il suo asciugamano sul pavimento e gattonò fino a lei, lo sguardo si fece nuovamente malizioso, carico di lussuria. Le sciolse il nodo della cinta in spugna e le riservò uno sguardo famelico. « Fai in modo che resti, allora. »
Lei gli rispose imitando il suo gesto.

Michael non se ne andò fino al giorno dopo, passarono tutta la notte insieme a divertirsi, a cercare di curare le proprie ferite fin quando lei non si addormentò. Lui non vi riuscí, rimase a guardarla tutto il tempo e a chiedersi perchè non potesse farsi andare bene una donna normale, una che non avesse il male nel cuore, come Serena.

Se avesse potuto si sarebbe preso a pugni da solo, si odiava per avere ancora la testa dove non poteva.

Eppure, se gli avessero detto in quel momento, in quel preciso istante, di potersela andare a riprendere, la sua Vivian, lui non avrebbe esitato un solo secondo. Non era una cosa razionale, in realtà non aveva proprio idea di come si facesse a non amarla.
Si sfiorò le labbra con le dita e tutto quello a cui riuscí a pensare furono i baci di lei, non quelli appena rubati alla sconosciuta che giaceva vicino a lui. Il profumo dell'americana gli invadeva ancora le narici, gli bruciava i polmoni e gli mandava in tilt il cervello.
Sei proprio uno stupido, Rinaldi.

Quella sera non era servita a niente se non a riempire fintamente un vuoto per pochi minuti, qualche ora in cui entrambi avevano giocato ad essere felici, soddisfatti.
In realtà il suo cuore era ancora rotto.

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