10 - L'interrogatorio (prima parte)

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«Dunque, signora Enger, la prego di rispondere alle mie domande in modo diretto e di parlare degli eventi in modo preciso e con ordine.»
«Naturalmente, ispettore.»
James Dyler lanciò un'occhiata all'agente Rockerford e a un altro collega che attendevano all'interrogatorio, prima di far partire il registratore accanto a lui, sprigionando nell'aria dei fastidiosi schiocchi metallici. Volse lo sguardo verso la donna seduta dalla parte opposta del tavolo.
Nelle poche volte che l'aveva incontrata, l'uomo era sempre stato colpito dalla misteriosa figura di Amalia Enger. Non solo era bella, ma la sua eleganza, i movimenti calmi e composti, uniti a quello sguardo nel quale si potevano scorgere malinconia e tristezza non facevano che renderla ancora più affascinante.
«Amalia Enger, nata a Heidelberg nel 1898, esatto?»
«Sì, ispettore.»
«Si è sposata nel 1916 con Albrecht Seidel, venuto a mancare cinque anni dopo.»
La donna si rabbuiò. Era in momenti come quelli che la tristezza nei suoi occhi si accentuava.
«Sì. Sì, purtroppo» disse con voce grave.
L'ispettore abbassò per un secondo il capo, notando la malinconia della donna, che però tornò a rispondere alle domande successive. James Dyler si schiarì la gola prima di continuare, spostando di tanto in tanto gli occhi verso la cartella con i dati dei sospettati che aveva in mano.
«Suo marito faceva parte di una compagnia circense. È così che è stata introdotta al circo?»
Frau Enger abbozzò un sorriso. «Ho seguito mio marito per amore» disse. «Ero una ragazza che fin da piccola aveva ricevuto buona istruzione e avevo vissuto in una tenuta di campagna. Il circo mi era completamente sconosciuto. Ma anche dopo la morte di mio marito sono voluta rimanere lì. Il circo da allora è tutto ciò che mi rimane, e tutto ciò che mi dà la forza di andare avanti.» Nonostante la voce ferma e sicura, si riusciva a sentire la malinconia nelle sue parole, mentre lo sguardo sembrava viaggiare nel passato verso ricordi lontani.
L'ispettore annuiva in silenzio seguendo ogni movimento della donna, tamburellando appena con due dita sul mento.
«Lei ha figli, madame Enger?» domandò.
«Sì, ho quattro figli, ma non li ho avuti da mio marito. Li ho adottati dopo la sua morte.»
«Capisco. Li interrogherò più tardi e rivolgerò loro qualche domanda...»
«Mi parli di Sean O'Gryler» disse, facendosi indietro con la schiena, poggiandola contro la vecchia sedia di legno leggermente scheggiata.
La donna distese appena le labbra come faceva sempre quando ricordava qualcosa di spiacevole.
«Da quanto tempo lo conosceva?»
«Io e Sean ci siamo incontrati nel 1928, quando con il circo giungemmo per la prima volta in Scozia. Lui era il proprietario della terra dove ci sistemammo, era un giovane uomo che aveva appena iniziato a fare fortuna. Noi pagavamo l'affitto ogni settimana, e lui si tratteneva spesso con noi per parlare dell'arte circense e di quanto lo affascinasse. Era molto curioso e interessato a qualsiasi forma d'arte, lo apprezzavo molto per questo. Poi era gentile, perbene, qualità che apprezzo molto nelle persone, e gli piaceva raccontare piccoli aneddoti divertenti della sua vita.» Frau Enger abbozzò una risata. Persino quella era elegante e delicata. Le labbra socchiuse, distese in un sorriso composto, accompagnato da un lieve risolino. «Ci chiese di rimanere in contatto, e due anni dopo disse di essersi spostato a Londra, dove ci incontrammo nuovamente. Con il suo lavoro Sean ebbe modo di viaggiare in Francia, in Italia, e non perdeva occasione di venirci a trovare anche lì. Con lo scoppio della guerra - noi eravamo tornati in Germania, all'epoca - non avemmo più modo di incontrarci per molto tempo, e anche scriversi era impossibile. Fu solo l'anno scorso, quando tornammo in Inghilterra, che potemmo ristabilire i contatti.»
«Da quel momento vi è sembrato che qualcosa fosse diverso?»
«No, non credo. Sean mi era sembrato lo stesso uomo che avevo incontrato vent'anni prima. Ci siamo raccontati le cose che erano cambiate in quegli anni. Lui si era risposato dopo essere rimasto vedovo, e aveva detto che un giorno di questi ci avrebbe presentato la moglie...»

Nonostante avesse raggiunto da molti anni la vecchiaia e la stanchezza nelle ossa aveva iniziato a farsi sentire, Tumpe Zuwena aveva una memoria di ferro e neanche un pelo sulla lingua, che andavano perfettamente a braccetto con la sua parlantina sveglia e spiccata. Era una donna piccola e leggermente in carne, la pelle scura in netto contrasto con gli abiti e il turbante dai colori accesi e allegri, che accentuavano l'aspetto considerato "esotico" che attirava gli sguardi curiosi della gente.
L'ispettore aveva ascoltato volentieri l'anziana, il cui accento indecifrabile non era di alcuna distrazione, visto che proseguiva nel raccontare qualsiasi cosa le venisse in mente con scioltezza.
«Ricevemmo una sua visita quando arrivammo a Londra» stava dicendo Tumpe. «Che sorpresa che ci fece! Ci disse di passare da Nochtown e che ci avrebbe affittato volentieri un terreno.»
L'uomo giocherellò con l'orlo del cappello poggiato sul tavolo. «E quando vi siete incontrati di nuovo» disse, «come le è sembrato? Pensa che fosse diverso dal solito? Magari ha dato l'impressione che qualcosa non andasse?»
La donna ci pensò su. «No, non credo ci fosse nulla di diverso, a parte qualche ruga e qualche chiletto in più.» Poi corrugò le labbra e la fronte e aggiunse: «Anche se da quando siamo arrivati qui in città mi è capitato di vederlo piuttosto teso, in certi momenti, ma non ha mai detto nulla a riguardo. Anzi, credo che volesse sviare il discorso.»
L'ispettore tese le orecchie e si inclinò maggiormente verso l'anziana con interesse.
«Perché? Magari ci sono state delle tensioni con qualcuno?» domandò, attendendo con impazienza la risposta della donna, che si fermò per riflettere. L'ispettore la vide assottigliare leggermente gli occhi neri per sforzarsi di ricordare qualcosa che potesse risultare utile.
«No, non credo» affermò infine guardando l'ispettore, scuotendo il capo sormontato dal turbante. Delle corte ciocche di capelli ingrigiti si mossero insieme ai grandi orecchini a cerchio.
«Sean passava del tempo con noi, ma non ci sono mai stati litigi o cose del genere. Rideva, scherzava, faceva battute e intratteneva i ragazzi con alcune storie dei suoi viaggi.» Tumpe poggiò le mani sul tavolo, facendo tintinnare i tanti bracciali che portava ai polsi, e reclinò la schiena verso la sedia sulla quale era seduta. «L'unico con cui passava più tempo era il signor Köhn, e anche quell'uomo sta sempre sulle sue. Se i due abbiano mai avuto qualche contrasto lo sanno solo loro. Beh... solo lui, il signor Köhn.» Parlando dell'uomo, l'anziana piegò leggermente le labbra in una smorfia, come se il solo pensarci le desse fastidio. Tuttavia, a James Dyler quell'informazione attirò molto.
«Passavano molto tempo insieme, eh?» ripeté.
«Oh, sì. Entrambi erano uomini d'affari, credo che tra uomini d'affari si vada d'accordo. Uscivano spesso insieme. Tra di noi, credo che Cajus fosse quello che conosceva meglio Sean.»
"Finalmente qualcosa di più utile" pensò James Dyler esultando mentalmente. "Può darsi che questo 'signor Köhn' possa raccontarmi delle cose interessanti..."
«Lo terrò a mente, signora» disse con tono soddisfatto, facendo sorridere l'anziana. «La ringrazio del suo tempo.»
«Non c'è di che, ispettore. Ormai ho vissuto tutta la mia vita: il tempo che mi rimane posso solo dedicarlo ad altri.»
L'agente Rockerford entrò nella stanza e aiutò la donna ad alzarsi.
«Prego, signora.»
«Grazie mille, caro. Sei proprio un bravo giovanotto» cinguettò Tumpe stringendo affettuosamente il braccio offertogli dall'uomo. Quello sorrise fieramente, accompagnando l'anziana signora alla porta, mentre l'ispettore sistemava i fogli sul tavolo, cercandone uno in particolare.
«Mi faccia entrare il signor Köhn» disse l'ispettore al secondo agente che, annuendo, uscì anch'egli.

Cajus Köhn era un uomo di mezz'età, snello, dalle forme ossute, il volto segnato da rughe sulla fronte e ai lati della bocca, perennemente piegata in un'espressione di disgusto che talvolta si tramutava in un ghigno.
«Lei è nel circo da quanto tempo?» domandò l'ispettore osservando attentamente il saltimbanco.
«Più o meno da quando è nato» rispose quello. Aveva una pronuncia tedesca piuttosto marcata, ma parlava fluentemente l'inglese. «Frau Enger aveva bisogno di qualcuno che si occupasse dei soldi. Sono un esperto in quello.» L'angolo destro della bocca si piegò in un sorrisetto. «Ho studiato economia all'università di Leipzig. Anche io, come Frau Enger, ho avuto una buona istruzione» aggiunse per spiegarsi meglio.
«Sembrerebbe una laurea sprecata» commentò l'ispettore, continuando a scrutarlo attentamente. «Come è finito uno come lei in un circo, signor Köhn?»
Gli occhi del signor Köhn erano freddi e impassibili, così come la sua postura e il suo tono di voce, rauca e stridula. «Ho studiato solo per compiacere mio padre, non ho mai desiderato lavorare come banchiere. Ho pensato che il circo fosse il posto migliore per... avere più libertà, ecco. Anche se non sembra, apprezzo molto l'arte. Proprio come il signor O'Gryler.» Sorrise, e quella volta i corti baffetti biondi celarono un ghigno sornione che infastidì l'ispettore.
«Parlando di questo» disse quest'ultimo. «Qual era la sua relazione con il signor O'Gryler?»
Cajus Köhn inspirò profondamente, come se aspettasse quella domanda da molto tempo e tutto ciò che aveva detto fino a quel momento fosse stato di poca importanza.
«Lo conoscevo da quando sono arrivato nel circo, come Frau Enger. Come me, il signor O'Gryler aveva il vizio del gioco» disse con un vago gesto della mano. «Lo so, piuttosto fastidioso, ma non posso farci nulla. Sean mi ha mostrato dei locali che più frequentava per scommettere qualche spicciolo. Il "Night Card" lo conosce? Bel posto.»
«No, mai sentito» tagliò corto l'ispettore, per poi continuare. «Deduco che voi passavate molto tempo insieme, è corretto?»
L'uomo distolse gli occhi azzurri da quelli dell'interlocutore prima di rispondere. «Avendo interessi comuni ci siamo trovati spesso a bere qualcosa insieme, ma non abbiamo mai parlato di cose personali. Se me lo chiedesse, le risponderei che non lo conoscevo affatto. Io sono uno che non va in giro a parlare della propria vita agli altri, sa? E Sean faceva altrettanto.»
«Certamente» mormorò l'ispettore incrociando le braccia. «Lei mi ha detto che la sera dell'omicidio non era al circo e che è tornato solo passata mezzanotte, è esatto?»
«Esattamente, ero fuori, a bere con alcuni tizi conosciuti in un locale. Quando sono tornato il signor O'Gryler se ne era già andato.»
«È sicuro dell'orario?»
«Sì, ho controllato l'orologio qualche minuto prima. Avevo atteso che piovesse di meno prima di rientrare.»
L'ispettore annuì in silenzio, poi chiese: «Ha visto qualcuno al ritorno?».
Herr Köhn sollevò le sopracciglia con noncuranza. «Era buio, non ne sono sicuro.» Poi gli occhi gli si illuminarono quando aggiunse: «Anche se prima di dirigermi alla mia roulotte mi è sembrato di vedere la signorina Wieczorek allontanarsi dal tendone, e poco dopo il figlio maggiore di Frau Enger, l'albino, venire sempre dalla stessa direzione. Mi sembrò che andassero entrambi parecchio di fretta.»
«Due persone, eh?» mormorò l'ispettore scarabocchiando i due nomi citati dall'uomo. «Ha detto che questo è successo verso mezzanotte, esatto?»
«Mezzanotte passata, sì. Loro non mi hanno visto, sembravano entrambi piuttosto agitati. Immagino che qualsiasi cosa fosse successa sia stata molto grossa.» Ridacchiò con voce gracchiante, come a prendere in giro i due ragazzi, soddisfatto di aver avuto l'occasione di rivelare una cosa del genere all'interlocutore.
«Bene, più tardi vedrò di sapere qualcosa anche da loro. La ringrazio, signor Köhn» disse James Dyler, venendo ricambiato da un cenno del capo da parte del tedesco, che prima di andarsene domandò: «Allora, ispettore, sospetta già di qualcuno in particolare?».
Quella frase colse di sorpresa l'uomo seduto dalla parte opposta del tavolo. «Non credo che dovrei dire a lei quello che riguarda le indagini. Per ora rimanete tutti sospettati.»
Cajus Köhn non rispose, mantenendo il ghigno appena accennato sul volto come se avesse immaginato quella risposta. «Capisco.»
Attese qualche secondo, prima di commentare: «Io terrei d'occhio certi individui, ispettore: potrebbe non vedersi, ma alcuni di loro sono veramente poco raccomandabili». Si zittì, come se avesse cambiato idea su ciò che stava per dire, ma poi ad un'alzata di sopracciglio dell'ispettore fece spallucce. «Non che io voglia puntare il dito contro i miei compagni, ma sapendo con che situazione abbiamo a che fare...» Alzò gli occhi freddi verso quelli dell'altro. «Prendiamo ad esempio Sven Huberen. Può non sembrare, ma in passato ha avuto problemi con la legge: omicidio.» 

«Signor Huberen, in passato è stato arrestato per furto in abitazione e omicidio colposo, lo conferma?»
Era un uomo alto e molto robusto, e l'espressione docile e gentile. Alla domanda dell'ispettore il suo sguardo divenne preoccupato, poi sospirò e abbassò la testa con rassegnazione.
«Sì» mormorò, trascinando le parole come se quella frase l'avesse ripetuta così tante volte da essersene stancato. Ma posso confermare solo sulla prima, io non ho mai ucciso nessuno.»
L'ispettore aggrottò la fronte. «Come sarebbe?»
«Le dico che quello che c'è scritto lì è sbagliato» ripeté il clown. «Mi hanno arrestato per furto e poi qualcuno mi ha anche accusato di omicidio. All'epoca non avevo soldi e vivevo per strada, nessuno ha creduto a una parola di quello che ho detto anche se ero innocente.» Aveva ripetuto quelle parole tutte d'un fiato, la voce ferma e lo sguardo luccicante fisso in quello dell'ispettore, tanto che quest'ultimo fu sul punto di credergli.
«Dice sul serio?» domandò, e lui annuì.
«Non sarei capace di far del male a una mosca. Deve credermi, non sarei capace di commettere nessun crimine del genere!»
Gli occhi azzurri dell'uomo sembravano lucidi sotto il debole bagliore della lampadina appesa sopra le loro teste. Il capo era di nuovo abbassato, come se il peso della vergogna fosse così forte da non permettergli di sollevarsi. Perché, sì, per Sven Huberen il suo passato era l'unico punto debole, e se ne vergognava. Tutte le ingiustizie e le umiliazioni di una vita lo perseguitavano ancora, dopo più di vent'anni. Forse tutte le sue sfortune avevano atteso quel momento. Aveva già conosciuto la "legge", e ora finalmente tutto gli si rivoltava contro.
"Sei stato chiamato assassino una volta, lo sarai di nuovo" pensava, non osando guardare negli occhi l'ispettore fino a quando lui non gli rivolse la parola.
«Va bene, signor Huberen. Può star tranquillo che non mi baserò unicamente sui suoi precedenti per giungere a una conclusione affrettata sull'omicidio» disse l'uomo con tranquillità, non facendo caso alla faccia grata e sollevata del circense. «Ma sa che cose del genere sono comunque necessarie da sapere.»
«Lo so. Sì, sì, va bene» mormorò piano il clown, con un lieve sorriso.
«Quindi lei è uscito di prigione e ha incontrato Frau Enger.»
«Vivevo di nuovo per strada, ma lei sì è offerta di ospitarmi purché dessi una mano.»
«E così ha finito per fare il clown» disse l'ispettore piegando un lato delle labbra.
Sven Huberen assottigliò lo sguardo felice, ricordando la persona che lo aveva convinto a diventare un pagliaccio. «Sì, anche se non è mai stato nei miei piani. Dovevo solo aiutare dietro le quinte, ma non avevo intenzione di rimanere a lungo e svolgere più compiti mi faceva guadagnare di più. Alla fine, sono rimasto e ormai da quasi vent'anni mi vesto in modo orribile con un trucco orribile in faccia.»
L'ispettore accennò un sorrisetto, prima di chiedere: «Lei è nel circo dal 1930. Immagino che il signor O'Gryler lo abbia conosciuto bene».
«Esatto. Con Sean potrei dire che eravamo buoni amici. Anche se non era possibile incontrarci spesso, siamo rimasti in buoni rapporti fino alla fine.» L'uomo sorrise, prima di assumere un'espressione preoccupata al ricordo del signor O'Gryler. «Mi dispiace davvero per quello che è successo. Non riesco a pensare che qualcuno che conosco sia stato capace di una cosa così.» «Per questo continueremo a investigare fin quando non troveremo il colpevole» disse l'ispettore. «La sera dell'omicidio cosa ha fatto, signor Huberen?»
«Ho bevuto insieme a tutti gli altri. Ero seduto vicino a Sean e abbiamo chiacchierato un po' di tutto, su come ce la passavamo dopo la guerra e altre cose simili, e quando se ne è andato mi sono ritirato. Dopo mezzanotte Olga è venuta a svegliarmi per chiedere di far zittire il cane perché continuava ad abbaiare. Lo fa spesso la notte, forse per giocare con gli insetti o altri animali. Quando sono arrivato ha smesso, ho tranquillizzato Olga e sono tornato a dormire, così come lei.»
«E non ha visto nulla di sospetto?»
«Stava ancora piovendo, e c'era anche un po' di nebbia. Era difficile vedere quello che succedeva intorno, quindi non ho prestato molta attenzione.»
L'ispettore annuì in silenzio. «Chi di voi è stato l'ultimo a ritirarsi, dopo il signor O'Gryler?»
Sven abbassò lo sguardo, cercando di ricordare. «Non sono sicuro. Forse Jim, era lui che stava sistemando il tavolo a fine serata.»

«Signor Color! Si accomodi, prego.»
La testa del nano spuntava per un soffio oltre il tavolo, e i piedi penzolavano dalla sedia a qualche centimetro dal pavimento.
«È bello avere a che fare con un inglese, finalmente.»
«Perché? Cosa cambia?»
«Nulla. Ma almeno abbiamo delle cose in comune.»
«Non può mica aspettarsi che tutti gli inglesi siano uguali.»
L'ispettore si zittì qualche secondo, decidendo di lasciar perdere quel discorso. A quanto pare il circense non amava molto l'ironia.
Osservandolo, James Dyler pensò che, a parte la fisicità, quell'individuo fosse piuttosto strano: la sua espressione apatica si rifletteva negli occhi chiari e inespressivi, e nella voce bassa e dal tono cantilenante, come se qualsiasi conversazione fosse una noia per lui.
«Era solo un modo per iniziare la conversazione in modo amichevole, signor Color» affermò l'ispettore. «Lei ha vissuto a Londra, prima del circo, vero?»
«Sì. Prima vivevo più a nord, ma quando la mia famiglia si è impoverita ci siamo spostati. Avevamo bisogno di lavoro.» Jim sospirò, l'unico movimento che fece intendere la sua leggera malinconia. «Mia madre ben presto si è ammalata e necessitava di assistenza medica. Così l'ho portata in un centro di cure a Londra e ho iniziato a svolgere piccole consegne per guadagnare qualche soldo. Dopo che è morta ho conosciuto il circo e ho pensato di girare il mondo.»
«E suo padre?»
Il nano alzò lo sguardo di pietra verso di lui e per un attimo James Dyler pensò di scorgere un ghigno nei suoi occhi.
«Gli hanno sparato» disse, e per la prima volta la sua voce sembrò assumere un tono più vivace.
«Mi dispiace» mormorò l'ispettore abbassando appena il capo.
Il nano, però, alzò le spalle. «Era sempre fuori per lavoro, non lo conoscevo nemmeno» borbottò. «Non si può compiangere un genitore, se non lo si conosce. Lei non crede, ispettore?»
L'uomo lo fissò negli occhi per qualche secondo, senza rispondere alla sua domanda, che immaginò fosse retorica. «Lei mi ha detto che verso mezzanotte si è diretto all'uscita del tendone e poi è tornato indietro passando per l'esterno del tendone.»
«Sì. Ero andato a portare il sacco della spazzatura che avremmo buttato l'indomani. Poi ha iniziato a piovigginare e mi sono affrettato a tornare nella mia roulotte.»
«Il signor O'Gryler se ne era già andato?»
«Da poco, sì. Non sono passato dal tendone perché a un certo punto ho sentito una conversazione interessante e sono rimasto ad ascoltare.» Jim fece una pausa per guardarlo negli occhi e attirare la sua attenzione, e sorrise quando l'ispettore assunse un'espressione incuriosita.
«Di cosa si tratta?» domandò l'uomo con impazienza.
Quello abbassò la voce nel rispondere. «Mentre tornavo mi è parso di sentire il signor Köhn e il signor Romanovskij discutere piuttosto animatamente. Credo parlassero di una somma di denaro che il signor Romanovskij doveva al signor Köhn. Hanno nominato anche Sean O'Gryler, ma non sono rimasto ad ascoltare oltre.»
«Il signor Köhn, eh?» James Dyler assottigliò lo sguardo, ripensando al saltimbanco e al ghigno sul suo volto. «Beh, signor Color, grazie dell'informazione. Me ne ricorderò sicuramente» disse, imbronciato, scrivendo il nome dei due sospettati su un pezzo di carta.
«Non c'è di che, ispettore» sorrise il nano con voce melliflua.

**********

Questo capitolo è stato particolarmente difficile. Pensando all'interrogatorio immaginavo un qualcosa simile a quello che succede nei film, con la scena che si spostava da un personaggio all'altro a seconda di cosa si parlasse e con chi si parlava. Visto che mettendolo per iscritto sarebbe stato parecchio confusionario, ho pensato di seguire in parte quel modello, dedicando però un piccolo pezzo a ogni personaggio.
Questo è il primo capitolo in cui i circensi compaiono veramente e vengono presentati. Spero che vi daranno una buona impressione e che possiate affezionarvi presto a loro come lo sono io.
Fatemi sapere cosa ve ne pare di questo modo di fare gli interrogatori, per favore, è la prima volta che ne scrivo uno!

Ciao!

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