10 - L'interrogatorio (seconda parte)

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La prima impressione è molto importante. Una persona può arrivare a fidarsi o meno di un'altra a seconda del suo aspetto, vestiti o modo di atteggiarsi. La maggior parte delle volte, ci si fida di chi è più simile a noi.
Forse per questo motivo Zakhar Romanovskij non era piaciuto all'ispettore: i capelli scuri troppo lunghi e tenuti insieme in uno chignon, la barba rasa e incolta e i bizzarri baffi gli davano un'aria trasandata. La gente che lo incontrava lo guardava di sottecchi, messa in soggezione dall'espressione leggermente imbronciata e dal suo carattere silenzioso e temerario che non lo facevano sembrare molto amichevole. In effetti, a Zakhar non piaceva parlare. Di solito comunicava con monosillabi o frasi brevi, nel leggero accento russo che con il tempo era quasi riuscito a nascondere.
James Dyler aveva pensato di sfruttare la poca voglia di comunicazione dell'uomo per ottenere delle risposte, soprattutto dopo quello che il signor Color gli aveva riferito.
«È da molto che è nel circo, vedo» constatò, osservando il sospettato seduto in modo composto.
«Sì.»
«1935, esatto?»
«È esatto» rispose quello con voce bassa, mentre lo sguardo vagava per la stanza spoglia e poco illuminata. Evitava spesso di guardare l'altro negli occhi, forse senza intenzione, ma quei gesti non facevano altro che convincere l'ispettore che il mangiafuoco nascondesse qualcosa.
«Non mi ha ancora chiesto del signor O'Gryler» borbottò Zakhar a un certo punto.
L'ispettore alzò le sopracciglia in un gesto di falso stupore. «Non vede l'ora di parlare dell'omicidio o di andarsene da qui?»
Il circense sorrise, facendo arricciare la cicatrice che si diramava dalla tempia e il sopracciglio fino allo zigomo sinistro. «Penso solo che abbiamo perso troppo tempo in domande inutili» mormorò, tamburellando con le dita sul ginocchio.
«Le domande inutili mi servono per analizzare chi ho davanti. Non sa quanto si può capire da una persona anche solo chiedendole cosa ha fatto la mattina» disse l'ispettore, osservando gli occhi scuri del sospettato puntarsi su di lui. «Ma dato che vuole procedere... Presumo che il signor O'Gryler lo conoscesse bene. Dopo anni nel circo, qualche tipo di relazione avrebbe dovuto instaurarsi.»
Zakhar scosse le spalle in modo vago, guardando con un certo interesse la porta della stanza interrogatori.
«Non abbiamo mai stretto un legame. Era come un estraneo, per me.»
«La sera dell'omicidio però avete bevuto insieme.»
«Ci siamo scambiati qualche parola» disse, abbassando il tono di voce, come se volesse evitare di essere sentito. «Ma non parlo molto.»
«Capisco» mormorò l'ispettore, decidendo di arrivare al dunque. «Signor Romanovskij, l'ultima volta mi ha detto di essersi ritirato nella sua stanza poco dopo che il signor O'Gryler era andato via.»
«Sì.»
«Che ore potevano essere?»
«Le undici e mezza.»
«È sicuro?»
«Non ho controllato l'orario, ma penso fosse quello.»
«E non ha fatto nulla di particolare, prima? O dopo.»
«No» disse secco.
James Dyler inspirò profondamente. «Signor Romanovskij, non mi piace la gente che mente, sa?»
Zakhar fissò l'ispettore in silenzio, con volto impassibile. «Non capisco cosa vuole dire» replicò, facendo fuoriuscire appena la cadenza russa.
«Di cosa avete parlato con il signor Köhn?»
«Cajus mi ha solo chiesto indietro i soldi che mi aveva prestato per un bicchiere di birra.»
«E il signor O'Gryler cosa aveva a che fare con questa storia?»
Scosse la testa con gesto vago. «Cajus doveva dei soldi a quell'uomo, glieli aveva prestati per fare qualche scommessa. Con i soldi che gli ho dato avrebbe dovuto ripagare il debito.»
«È tutto?»
«Sì, il signor Köhn può confermarlo.»
«Come mai non me l'ha detto la prima volta?» domandò l'ispettore, guardandolo con sospetto.
«Non pensavo fosse importante, mi è sfuggito di mente.»
«Decido io cosa è importante, signor Romanovskij. Faccia in modo che non le sfugga di mente nient'altro.»
«Sì.»
Passarono un paio di secondi in cui i due si fissarono negli occhi, e l'ispettore poté avvertire una certa tensione nell'altro: la mascella era contratta, come se fosse in procinto di dire qualcosa; gli occhi non facevano che vagare verso la cartella gialla poggiata sul tavolo, mentre si tormentava insistentemente le dita delle mani.
«Se ha finito posso andare, ispettore?» Ci fu ancora silenzio.
«Può andare. Si ricordi che la tengo d'occhio, signor Romanovskij. Non mi dia un altro motivo per cui dovrei sospettare di lei.»

«Signora Wald, lei è sposata?»
«Lo ero. Mio marito è stato dato per disperso in guerra» disse, con tono quasi sussurrato.
«Ah. Mi dispiace.»
Astrid abbassò le palpebre, cercando di non guardarlo in volto. «Non è da lei che mi aspetto delle scuse.» Si sistemò alcune ciocche dei ricci capelli neri che le erano cadute sulla fronte.
L'ispettore la guardò con curiosità: poteva avere una ventina d'anni, il volto tondo per via delle guance paffute e rosee, che si coloravano facilmente. Era seduta con le mani in grembo e la testa bassa, come se temesse di guardarlo in volto.
Parlando con lei, l'ispettore si era reso conto di una cosa in particolare: Astrid era estremamente timida. Persino le sue azioni sembravano essere impedite dall'insicurezza e dal timore di parlare con lui. Anzi, sembrava che fosse imbarazzata dal solo fatto di trovarsi lì. Era difficile credere che quella ragazza potesse essere stata coinvolta in un omicidio, introversa com'era.
"Eppure il signor Köhn l'ha vista sul luogo del delitto" aveva pensato l'uomo. Forse quella ragazza non era così innocente come sembrava.
«Come ha incontrato la signora Enger? Da quel che ho capito lei non ha nulla a che fare con il circo.»
«No, infatti. Prima di conoscere Frau Enger non avevo mai visto un circo» disse lei, sorridendo appena. «Frau Enger mi ha aiutata quando ero in un momento di difficoltà. Dopo la perdita di mio marito non avevo un posto dove stare. Ho incontrato Frau Enger per caso, e lei mi ha dato una casa e una nuova famiglia.»
L'ispettore non parve sorpreso: aveva incontrato la signora Enger, ci aveva parlato, anche se per poco, eppure quella donna gli era sembrata molto buona. Forse troppo.
«Sembra proprio una santa, questa Amalia Enger» osservò ad alta voce, provocando una piccola risata nella ragazza.
«Forse lo è» mormorò lei.
James Dyler rimase in silenzio per una manciata di secondi, prima di decidersi a parlare di nuovo: «Perciò in questi quattro anni lei ha avuto modo di conoscere bene tutti gli altri, vero?».
«Sì, siamo molto uniti. Siamo come una famiglia.»
«È in buoni rapporti anche con il signor Enger?» continuò l'ispettore, puntando gli occhi verso di lei per osservare la sua reazione. Come previsto, Astrid sussultò, come se fosse stata punta da uno spillo. «Come?»
«Georg, intendo. Lei e il signor Enger siete amici?»
«Oh» sospirò lei, sfregandosi le mani. «Sì, siamo amici. Parliamo, scherziamo, come con gli altri. Poi ogni tanto lo aiuto con le sue esibizioni, e...»
«In buoni rapporti, d'accordo» disse l'uomo. «E per caso eravate insieme, la sera dell'omicidio?»
«A cena? Abbiamo mangiato insieme agli altri...»
L'ispettore alzò una mano per fermarla. «Mi perdoni, non era quello a cui mi riferivo. Intendevo se dopo la cena lei e il signor Enger foste insieme. Dopo.» Evidenziò bene l'ultima parola.
Il volto di Astrid assunse un immediato colorito rosa, che si espanse dal naso fino alle orecchie. «Mi scusi? No» incespicò, gli occhi scuri spalancati da quell'affronto. «In verità quella sera non mi sentivo bene, così ho deciso di andare a dormire subito dopo lo spettacolo.»
«Però il signor Köhn ha affermato di averla vista uscire dal tendone del circo, verso mezzanotte. È vero?»
«Ah. Sì, è vero» disse abbassando il tono della voce, mortificata.
«Non me lo aveva detto la prima volta.»
Lei sembrò arrossire. «Ecco, mi era sfuggito di mente.»
«Ah» L'ispettore pensò che quella frase l'aveva già sentita troppe volte quel giorno, e proseguì. «Era in compagnia del signor Enger?»
«No. No, ero da sola.»
«E cosa faceva da sola nel tendone, a quell'ora, se posso chiedere?»
«Avevo dimenticato dei costumi di scena dietro le quinte. Ero andata a prenderli per evitare che si rovinassero con la pioggia. Ha piovuto, quella notte.»
«Già, è vero. E presumo che lei non abbia incontrato né il signor O'Gryler né tanto meno il signor Enger, è così?»
«Infatti. Non mi sono trattenuta molto, e non mi è sembrato di aver visto nessuno in giro. Pensavo di essere sola.»
«Signora Wald, se per caso sta proteggendo qualcuno...»
«No! Proteggere un assassino non è una cosa che farei, ispettore» affermò sicura di sé la ragazza, prima di abbassare di nuovo la testa, vergognandosi di aver alzato troppo la voce. «Anche se ci fosse stato qualcuno a quell'ora, non ci ho fatto caso» tornò a dire. «Gliel'ho detto, non mi sentivo molto bene. Ero piuttosto stordita.»
«Non si preoccupi, signora. I miei sono solo accertamenti» La tranquillizzò l'ispettore. Per il momento era meglio lasciarla andare.
«Ma se per caso avesse visto qualcosa, qualsiasi cosa che ci possa aiutare con le indagini, lei ce lo riferirà, vero?»
«Sì, ispettore.»

«No, credo che lei stia facendo un errore» parlò il circense. «Astrid è come una sorella per me. Non potrei mai...»
«Va bene, signor Enger, ho capito» lo interruppe l'ispettore. «Ma, nonostante la signora Wald affermi di non averla vista, Cajus Köhn ha ribadito il contrario. A chi dovrei credere?»
La smorfia che si formò sul volto di Georg fece ben intendere i suoi pensieri. «Cajus Köhn è un bugiardo. Non deve credere a tutto quello che dice.»
«Come mai pensa questo?»
A quel punto, il ragazzo sembrò esitare. Voltò appena la testa, massaggiandosi le nocche screpolate della mano destra. «No, nulla, era per dire. Mi perdoni, a volte parlo senza pensare.»
L'ispettore l'aveva notato: Georg Enger aveva un carattere a dir poco irruente, nonostante non fosse certo la prima cosa che saltava all'occhio incontrandolo per la prima volta. Il figlio maggiore della signora Enger aveva la pelle bianchissima, così come i capelli, le ciglia e le sopracciglia, e gli occhi grigi dalle curiose tonalità violacee. L'ispettore non aveva mai visto una persona albina prima di allora, ma sapeva che nei circhi era comune incontrare gente "speciale". Si chiese se la signora Enger lo avesse adottato proprio per questa sua peculiarità.
«Quindi lei afferma di non essersi mosso dalla sua roulotte.»
«Esatto. Il signor Köhn avrà visto male. Io sono andato a letto poco dopo che il signor O'Gryler se ne è andato. Anche Gilbert e Zakhar l'hanno fatto, può chiedere a loro.»
«Oh, sì. Con il signor Romanovskij ho già parlato di questo...» L'ispettore storse il naso al ricordo del sospettato. Poi continuò: «Durante la perquisizione abbiamo trovato dei coltelli nella sua roulotte».
«Ci faccio gli spettacoli, ovviamente ho dei coltelli.»
«E oltre a quelle utilizzate negli spettacoli ci sono altre armi?»
«No. Abbiamo solo coltelli, un paio di asce, fruste... Ma a mia madre non piace che teniamo armi da difesa.»
«Sospettiamo che l'arma usata per uccidere il signor O'Gryler sia uno degli oggetti di scena, che poi sia stato fatto sparire per nascondere le tracce di sangue. Le risulta che manchi qualcuna delle armi?»
Georg puntò lo sguardo verso di lui. La luce flebile della stanza interrogatori aveva permesso al circense di togliere gli occhiali da sole che indossava spesso. Gli occhi si agitavano in continuazione, con movimenti quasi impercettibili, da destra verso sinistra.
«Ogni tanto capita che si perda qualcosa. Tutti possono prendere gli oggetti di scena, quando sono nel tendone. Sì, credo manchi uno dei coltelli» aggiunse alla fine, abbassando lo sguardo sul tavolo.
«Bene. Continueremo con la ricerca dell'arma del delitto» disse l'ispettore. «Ha idea di chi possa averlo rubato?»
Georg fece una risata. «Crede davvero che sia stato uno di noi? Rubato? No, rubato no. Non ci sono ladri tra noi. Nessuno potrebbe mai rubare qualcosa. O uccidere.»
«Su questo ho dei dubbi.»
Georg lo guardò negli occhi, stringendo le labbra.
«Non so chi può averlo rubato. Gliel'ho detto, non so chi avrebbe voluto il signor O'Gryler morto.»
«Se ne è sicuro, non c'è motivo per cui io possa trattenerla» disse l'ispettore, con un gesto del capo.
Georg annuì, alzandosi.
«Quello che diciamo qui dentro» esordì, prima di raggiungere la porta, «non lo rivelerete agli altri, vero?»
«No, sono questioni di polizia. Perché, signor Enger?»
Lui scosse appena le spalle, uscendo. «Ero solo curioso.»

James Dyler rimase stupito da come gli occhi del giovane funambolo lo fissassero con tanta intensità. Erano grigi, così lucidi da dare l'impressione che fossero fatti di vetro.
L'ispettore tamburellò sul tavolo. «Ciao» disse. Il ragazzo non replicò, intento a osservare il movimento delle sue dita. Quando smise, sollevò gli occhi grigi verso il suo volto, e l'uomo ripeté il saluto.
«Ho preparato delle domande per te» disse, allungando il foglio verso di lui. «Leggi» scandì a voce alta l'ispettore, mimando il gesto.
Il circense gettò uno sguardo al foglio.
«La ringrazio, signore» disse con voce chiara e sicura. Poi, notando l'espressione confusa dell'ispettore, aggiunse: «Guardi che sono sordo, mica scemo. E non sono neanche muto».
L'uomo sorrise alla spigliatezza del ragazzo. «Tu sei il figlio minore della signora Enger. Molto piacere.»
«Piacere mio» ricambiò il saluto Viktor. «Vuole che le dica cosa sapevo del signor O'Gryler?»
«Vorrei sapere cosa è successo la sera dell'omicidio» disse l'ispettore, e indicò una delle domande.
Viktor fece spallucce, concentrandosi sul foglio che gli aveva dato l'uomo. «Quando siamo venuti qui era molto felice di vederci. Io non mi ricordo bene di lui, ero troppo piccolo. Ma era simpatico. Veniva a trovarci quasi ogni giorno.»
«Perché mai?»
«Che ne so. Voleva sapere cosa avevamo fatto durante la guerra, dove eravamo stati e dove saremmo andati dopo. Immagino che è quello che si chiede per fare conversazione.»
James Dyler annuì. «La sera dell'omicidio...» Indicò un'altra delle domande sul foglio. «Hai notato qualcosa di strano, la sera dell'omicidio?»
Il funambolo si zittì per qualche istante. «Prima dello spettacolo, l'ho visto parlare con qualcuno» disse. «Credo che non volessero farsi vedere, perché erano nascosti, nel tendone. Herr O'Gryler gli ha dato qualcosa, ma non sono riuscito a vederlo.»
«Qualcosa di segreto, a quanto pare» mormorò l'ispettore. «Perfetto. Basta così, Viktor, puoi andare.»
«Mi dispiace non essere stato di aiuto, signore» si scusò il ragazzo alzandosi in piedi.
«No, Viktor. Grazie» rispose l'ispettore, con un gesto della mano.

Durante il breve tragitto dall'auto alla stazione di polizia, ciò che avevano ricevuto erano stati solo sguardi curiosi e sussurri della gente per strada. Era per questo motivo che Hansel e Gretel non uscivano mai dal circo.
Le persone più gentili si limitavano a spalancare gli occhi e a squadrarli dalla testa ai piedi con compassione; altri non riuscivano a nascondere il movimento del labbro, in uno sguardo di disgusto. Anche l'ispettore assunse un'espressione stupita, quando li vide entrare, ma se ne pentì subito dopo, notando i loro volti arrossarsi dalla vergogna.
«Ciao» disse l'uomo sorridendo ai due volti timidi e silenziosi.
«Ciao» sussurrò di rimando Greta. Una vocina sottile, infantile, che mai avrebbe fatto pensare a una ventenne.
«Questa è la prima volta che vedete Nochtown?»
«Non ci piace uscire dal circo. Essere guardati dalle persone.»
«Ah. Beh, siete stati coraggiosi a venire fin qui.»
La ragazza annuì appena. Hansel, invece, continuò a fissare il tavolo con soggezione.
Seguì qualche secondo di silenzio, in cui l'ispettore cercò qualcosa con cui iniziare la conversazione.
«Ho sentito che suonate il pianoforte. Sono venuto allo spettacolo. Siete veramente molto bravi.»
Finalmente, entrambi sollevarono la testa, guardando l'uomo con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Davvero?» domandò Gretel. I suoi occhi si illuminarono in un largo sorriso.
«Sì. Mi piace molto la musica. Da quanto suonate?»
«Dieci anni. O più.»
«Ve lo ha insegnato vostra madre?»
«Nostro fratello.»
«Ah. Vostro fratello non sembra un musicista.» Gretel rimase in silenzio.
L'uomo spostò lo sguardo verso il gemello, che per tutta risposta, abbassò il suo. «E tu?»
«Ad Hansel non piace parlare con gli sconosciuti» si intromise la sorella, alzando appena la voce.
«Capisco. Non importa. Ma se hai qualcosa da dire puoi farlo, Hans» disse l'ispettore. «Voi conoscevate il signor O'Gryler?» Entrambi annuirono.
«E com'era?»
«Gentile. Parlava molto, e ci raccontava di tutti i viaggi che aveva fatto. Gli piaceva sentirci suonare.»
«E quella sera ha parlato con qualcuno in particolare?»
«No. Di solito parlava con il signor Köhn, ma quella sera non ha cenato con noi. Così il signor O'Gryler è rimasto con Gilbert, e Sven, e Bernardo. Aveva detto che sua moglie era fuori città e che quindi poteva restare con noi.»
Gretel rimase in silenzio, le guance arrossate e il fiato corto per aver parlato senza nemmeno respirare. Hansel guardò verso la sorella, impaziente.
«Non c'è altro che ricordate, di quella sera?»
Gretel scosse nuovamente il capo. «Siamo andati a letto presto.»
James Dyler sospirò. Non si aspettava molto.
«Sì.»
L'ispettore quasi sussultò. Era la prima volta che Hansel apriva bocca, e dopo averlo fatto fremette, temendo di aver sbagliato.
«Sì, Hans?» lo incitò l'uomo.
«La sera» mormorò nervosamente. «Aveva perso il portafogli.»

«Bene. Credo che possiamo iniziare.» L'ispettore si passò una mano tra i capelli castani, poggiandosi allo schienale della sedia.
«Finalmente, direi.»
L'ispettore Dyler gettò un'occhiata all'uomo elegantemente vestito seduto dalla parte opposta del tavolo. «Anche lei non vede l'ora di parlare del signor O'Gryler, eh?»
Gilbert Viville alzò le spalle con noncuranza. Si lisciò una manica della giacca, giocherellando con un bottone. «È per questo che siamo qui, non? Dato che non so nulla sull'omicidio, non capisco perché restare qui tutto questo tempo.»
«Sono convinto che ognuno di voi sappia più di quanto dice» replicò l'ispettore.
Il mago alzò gli occhi azzurri verso di lui con un largo e splendente sorriso.
«Forse ha ragione. Ma, per quanto mi riguarda, non so nulla» aggiunse, stravaccandosi meglio sulla sedia, incurante dell'occhiataccia che l'altro gli rivolse.
«Beh, a questo punto può iniziare raccontandomi del suo legame con la vittima.»
Il circense sbuffò. «Io e Sean eravamo amici da sempre. Era un tizio simpatico, e poi mi riesce facile fare amicizia» esordì, fermandosi per lanciare un'occhiata maliziosa all'ispettore. «Non le piace la magia, vero?» domandò, interrompendo il discorso.
«Perché me lo chiede?»
«Beh, lei fa domande a me... Non mi sembra una persona che crede alla magia.»
James Dyler sospirò. «Ha ragione, infatti. E non si aspetti che dica il contrario.»
«Al signor O'Gryler piaceva, la magia. Diceva che apprezzava gli uomini di spettacolo. E anche le donne, ci mancherebbe. Aveva preso in simpatia la mia assistente. Non lo biasimo.» Ridacchiò, ma smise quando incrociò lo sguardo irritato dell'ispettore.
«Quando veniva al circo andavamo sempre a bere qualcosa. Così, giusto per fare quattro chiacchiere. Possiamo dire che eravamo très amis. Amici.»
«E quella sera?»
«Anche quella sera, oui. Abbiamo bevuto un po' troppo, sa com'è: una chiacchiera tira un bicchiere... A un certo punto - non mi ricordo di cosa stavamo parlando -, ma ha detto che era tardi e che doveva andare a casa. Io e gli altri abbiamo bevuto ancora e poi sono andato a letto. Non ricordo l'ora, mi dimentico tutto quando bevo.»
«Quindi la notte non ha sentito nulla? La sua roulotte è una delle più vicine al tendone.»
«Gliel'ho detto, ero completamente andato! E poi era passato del tempo da quando Sean ci aveva salutato. A meno che non sia rimasto nello chapiteau tutto il tempo, non so come abbia fatto a morire lì.»
L'ispettore Dyler rimase in silenzio, la fronte aggrottata, pensando a quelle parole.
«Nessuno è entrato nel tendone quella sera?» domandò.
«Non, nessuno. Almeno credo. Anche perché a un certo punto ha iniziato a piovere e tutti ci siamo ritirati. Ecco, forse è rimasto lì aspettando che finisse di piovere e qualcuno lo ha ucciso pensando fosse un... Com'è che si chiama? Intrus? Non so chi, eh. Non c'è nessuno che conosco che potrebbe uccidere qualcuno così...»
Gilbert Viville era capace di parlare di un argomento all'infinito. Faceva uscire le parole come un fiume in piena, storpiandole con la sua pronuncia e alcuni termini francesi che richiedevano una particolare attenzione da parte di James Dyler.
«Va bene, signor Viville, ho capito» lo interruppe l'ispettore a un certo punto.
«Posso andare, adesso?» domandò il mago con sguardo speranzoso.
«No» rispose l'altro. «Sapeva che il signor O'Gryler aveva perso il portafogli?»
Gilbert aggrottò la fronte, confuso da quella domanda improvvisa.
«Eh? Non, non ne sapevo nulla» disse, spazientito. «Anzi, sì, forse l'ha fatto, ma poi ha detto che non gli importava di averlo perso. Molto bizarre: di solito i ricchi si arrabbiano, quando perdono soldi.»

*********

Aesthetic di Georg perché è uno dei primi che ho fatto ed è anche figo.

Look who's back after one year!

Voglio morire :')

Abbiamo conosciuto un'altra metà del circo, compresi i quattro figli di Frau Enger, a cui lei tiene molto (e anche io. Hansel e Gretel sono i miei bimbi).
Gilbert e Zakhar li avevamo già visti parlare con Sven alla fine del capitolo 9. Vi siete fatti qualche idea in più su di loro?

E infine Astrid. Chissà cosa è successo, quella sera. Era davvero in compagnia di Georg, oppure è tutto un equivoco?

La terza parte del capitolo 10 sarà l'ultima (finalmente), poi riprenderemo le vicende di Lily.

Ciao!

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