2 - Casa, dolce casa

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La porta si aprì quasi subito, rivelando un volto femminile molto familiare e molto irritato.
Nonostante fosse ancora giovane, le prime righe sulla fronte e ai lati degli occhi erano ben visibili, e i capelli biondo cenere raccolti in una crocchia le davano un aspetto ancora più anziano.
Prima che la donna alla porta potesse dire qualcosa, Lily si scusò.
«Lo so, Liz. Sono in ritardo, di nuovo. Ma questa volta ho un valido motivo» disse superando la sorella e sfilandosi la giacchetta color camoscio e appendendola all'attaccapanni di legno nero laccato vicino la porta.
«Donna ha già apparecchiato la tavola. Le ho detto di aspettare a servire i piatti perché tu, come al solito, non arrivavi. Ce la farai a essere in orario almeno una volta? E ti ho già detto di non chiamarmi "Liz"!» La rimproverò Elizabeth chiudendo la porta dietro di sé e seguendo la sorella nel salotto, allestito in stile vittoriano ed elegante.
Elizabeth era molto diversa da Lily: cercava sempre di essere la moglie e la madre perfetta; era ordinata, puntuale, facilmente irritabile e fin troppo pignola.
Più volte aveva rimproverato la sorella affinché crescesse, imparasse a comportarsi da 'donna' e, magari, si trovasse anche un marito. Ma Lily non voleva saperne.

Lì nel salotto, su una poltrona, sedeva una donna intenta a leggere un giornale. Non si poteva considerare anziana: non aveva rughe, eccetto per una lunga linea a segnarle la fronte.
I capelli erano ancora neri tranne qualche ciocca brizzolata. Negli occhi, marroni, brillava ancora la luce della giovinezza.
Per certi versi, somigliava molto a Lily.
«Ciao, mamma» la salutò la ragazza, sedendosi sul divano accanto alla poltrona.
Hannah Hunting alzò lo sguardo dal giornale e sorrise alla figlia.

«Tesoro! Era ora! Pensavo non saresti più venuta!» esclamò allegramente.
«Ho passato le ultime due ore ad ascoltare l'intera autobiografia della signora Queenie. Quella donna sarebbe perfetta per intraprendere conversazioni in un comizio!» Si scusò la ragazza.
«Vado a dire a Donna di cominciare a portare i piatti in tavola» disse Elizabeth avviandosi verso la sala da pranzo.
«Ho letto il tuo articolo» cominciò la signora Hunting, quando la sua primogenita se ne fu andata, poggiando sul tavolino di fianco alla poltrona una copia del "Nochtown's journal". «Mi è piaciuto molto.»
«Oh» disse la giovane giornalista stendendosi a pancia in su sul divano e cominciando a guardare il lampadario d'ottone dalle rifiniture di cristallo.
«A me non convince. Non ritengo l'argomento sulla moda Hollywoodiana un articolo degno di questo nome. Insomma, a che serve sapere come porta i capelli una determinata attrice o quali vestiti indossa quell'altra?»
«Questo è quello che pensi tu. Ci sono ragazze a cui interessa eccome.»
«Ma non interessa a me, mamma. Io non voglio scrivere articoli sulla moda. Voglio parlare di politica, dei problemi che affliggono il nostro Paese, viaggiare il mondo!» esclamò Lily.
«Tu vuoi fare troppe cose insieme, signorina. Proprio come tuo padre.» La donna sorrise ricordandosi del marito.
Anche Lilith sorrise. Il suo amato papà. L'unico che fin dall'inizio aveva creduto in lei.
Quando morì, Lily aveva sedici anni. Era ancora in collegio, quando ricevette una lettera che la informava della morte del padre.
Fu un duro colpo per tutti. Il signor Hunting era molto amato in famiglia e fuori.

Madre e figlia rimasero in silenzio fin quando dalle scale non scesero due bambini.
«Zia Lily!» gridarono felici Jasper e Nicole correndo ad abbracciare Lily.
«Ehi! Ecco i miei bambini preferiti!»
La ragazza si tirò a sedere e abbracciò i nipotini.
Jasper e Nicole avevano dieci e sei anni, entrambi i capelli biondi di Elizabeth, e dei dolcissimi occhioni color nocciola. Per quanto potessero sembrare educati nei loro vestitini sempre puliti e in ordine, erano delle piccole pesti, sempre in movimento, e ogni occasione era buona per combinare pasticci.
Lily era la loro zia preferita, perché giocava sempre volentieri con loro e perché li proteggeva sempre quando combinavano qualche guaio.
A Lily ricordavano tanto lei da piccola, per questo andavano molto d'accordo.
«Beh, io vado a sedermi a tavola, se non vi dispiace. Signorini...» salutò la signora Hunting, divertita.
«Zia, ci porti al circo?» esclamò Jasper quando si furono staccati dall'abbraccio.
«Al circo?» chiese stupita la ragazza.
«Sì, è arrivato qualche giorno fa» annuì il bambino.
«Papà non ci vuole portare» disse la piccolina.
«Ci sarà un buon motivo per non portarvi...» cercò di spiegare Lilith.
«Non ho nulla in contrario nel portare i bambini al circo. Solo non ne ho il tempo» disse John Kyter, il marito di Elizabeth entrando nel salotto aggiustandosi la cravatta nera che portava.
Si era tolto il soprabito nero e il cappello di feltro del medesimo colore e li aveva appesi all'attaccapanni nell'ingresso. Lily non lo aveva sentito arrivare.
«Posso pur sempre accompagnarli io» azzardò la giovane, guardando il cognato.
«Oh, sì! Ti prego, papà. Ti prego!» esclamò Nicole avvicinandosi al padre e guardandolo con i suoi grandi occhi color nocciola.
John ci pensò un attimo. Non era certo che lasciare quei due piccoli uragani con Lily fosse una buona idea. Si passò una mano tra i capelli scuri. Guardò i suoi figli che nel frattempo si erano messi con le mani giunte davanti a lui facendo i faccini tristi e sospirò.
«E va bene. Sì, bambini, potete andare.»
I due fecero salti di gioia, per poi correre saltellanti verso la sala da pranzo quando la cameriera annunciò che il pranzo era pronto.
«Ma solo se vi comporterete bene!» esclamò il signor Kyter avviandosi anche lui, insieme a Lily e alla signora Hunting, verso la tavola.
«Tranquillo, John, so trattare bene le piccole pesti» lo rassicurò Lilith.

La sala da pranzo di casa Kyter era estremamente lussuosa. Tutto in quella casa lo era: grandi lampadari che pendevano dal soffitto di ogni stanza, mobili di legno intagliato sempre puliti; possedevano una radio, che era posizionata nel salotto, e ben presto John avrebbe comprato anche una vera televisione, una all'ultimo modello.
Tutti si sedettero al tavolo rettangolare. Elizabeth e John erano a capotavola, uno davanti all'altro, mentre i bambini e le due donne ai lati più lunghi del tavolo.
Donna, la cameriera, una signora cicciottella dalla carnagione scura e i capelli color ebano raccolti in una cuffia, cominciò a portare i primi piatti e, dopo una preghiera, la famiglia iniziò a mangiare.
A un certo punto, Nicole disse: «Mamma, zia Lily ha detto che ci porta al circo.»
A Elizabeth il circo non era mai piaciuto, lo trovava noioso, oltre che pericoloso per i bambini: e se una tigre li avesse attaccati? E se uno dei clown li avesse rapiti?
Alzò gli occhi dal piatto e fulminò Lily con lo sguardo. Era una delle sue doti: far sentire in colpa le persone semplicemente guardandole. Ti fissava con sguardo arrabbiato e subito avevi l'impressione che volesse ucciderti. La ragazza cercò di spiegare. «John ha acconsentito, però.»
Lo sguardo della donna si spostò al marito. Quello restò con la forchetta a mezz'aria, guardando la moglie.
«I bambini hanno insistito tanto!» si giustificò.
Elizabeth lasciò perdere e tornò a tagliare il suo pezzo di carne d'agnello.
«Possiamo andare domani sera, dopo cena» disse Lilith cercando di spezzare il silenzio.
«Per me va bene» stava per dire John, ma si trattenne quando incrociò lo sguardo della signora Kyter.
«Ho sentito parlare di questo circo. Non è molto grande, ma lo spettacolo è assicurato. Mi è parso di capire che è un circo straniero» disse la signora Hunting.
«Sì. Tedeschi» intervenne il banchiere.
«Non mi convincono i tedeschi. Basta solo vedere cosa hanno fatto durante la guerra...» borbottò Elizabeth, afferrando un bicchiere d'acqua.
«Il fatto che siano tedeschi non vuol dire che siano cattive persone. No?» disse Lily alzando lo sguardo dal piatto con un sorriso incerto sulle labbra, guardando per il tavolo in cerca si assenso. Ma nessuno proferì parola. Si limitarono a tenere gli occhi sul cibo, con sguardo impassibile.
E non se ne parlò più.

Verso le otto di sera, Lilith lasciò il numero 17 di Purple Street, salutando i nipotini, promettendo loro di passarli a prendere la sera seguente per recarsi al circo.
Si allontanò lentamente, verso Middle Street, la strada dove abitava.
Era una via spaziosa, con una larga strada, ma a differenza di Purple Street, le case che la costeggiavano erano una attaccata all'altra, dai colori scuri e tristi.
Quando si faceva buio, raramente venivano accesi i lampioni, tranne qualcuno per permettere di vedere dove si metteva i piedi.
Nonostante tutto, era un quartiere allegro.

In particolare, al numero 13, in una casa a due piani, abitava la signora Katherine Blacklow, sessant'anni, ma tenace e scattante come una molla.
Era la proprietaria dell'intera casa e, dato che era vedova e l'edificio in cui abitava aveva molte stanze, aveva pensato di affittare le camere del secondo piano.
Due anni prima, Lily, di ritorno da Cambridge e in cerca di un posto dove abitare, aveva sentito parlare della signora Blacklow e aveva deciso di affittare una camera al costo di due sterline al mese.
La donna aveva accettato subito, considerando Lilith una ragazza adorabile e molto educata.
Per quanto riguardava la stanza, la signora Blacklow permetteva qualsiasi cambiamento: spostare mobili e metterne di nuovi, dipingere le pareti, appendere quadri e altro.
Aveva solo tre regole: niente rumori forti dopo le nove di sera, niente animali e niente uomini in camera.
Lily aveva acconsentito alle regole e si era subito sistemata.

Aprì la porta dell'appartamento numero 13 ed entrò silenziosamente. A quell'ora la signora Blacklow riposava nella sua camera, che si trovava al primo piano.
Salì le scale di legno scricchiolanti, girò a sinistra, raggiunse la seconda porta, la sua stanza.
Premette l'interruttore, accendendo la lampadina appesa al soffitto. Non era molto luminosa, permetteva solo quel tanto che bastava per vedere.
Non aveva cambiato nulla della stanza, mantenendola così come la signora gliela aveva consegnata.
C'era un letto a una piazza, con le coperte abbellite da ricami floreali, un comodino da notte con un cassetto e un abat-jour, una piccola libreria che Lily non aveva esitato a riempire fino all'orlo, una sedia e una scrivania.
La scrivania ospitava la maggior parte degli oggetti presenti nella stanza: fogli, penne, una macchina da scrivere e una quantità indescrivibile di boccette di inchiostro occupavano l'intero tavolo. Lily non era mai stata tanto ordinata.
La ragazza chiuse la porta dietro di sé, si tolse la giacca e le scarpe, estrasse il suo taccuino con la penna dalla borsa e li poggiò sulla scrivania.
Andò ad aprire l'unica finestra della camera, senza tende, per far prendere un po' d'aria alla stanza.
Raccolse la quantità immane di fogli sparsi sulla scrivania e li sistemò in un angolo del tavolo, poggiando tutte le penne sopra di essi.
Si accomodò alla sedia, sistemò la macchina da scrivere e aprì il taccuino alla pagina dove si era appuntata le note durante l'intervista della signora Queenie.
Li lesse velocemente e, sistemato un foglio nella fessura della macchina, cominciò a scrivere l'articolo:

«Rosemary Queenie è senza ombra di dubbio una delle più talentuose fioraie della nostra città e dintorni.
Celebri sono le sue sculture floreali, esposte alla nostra fiera estiva che si è tenuta lo scorso 02 luglio, vincendo per il terzo anno consecutivo il primo premio.
Siamo andati a intervistare Miss Queenie di persona, ecco cosa ci ha raccontato:
... »

Lily lavorava per il "Nochtown's journal" da due anni, e da sempre aveva sperato in un incarico che le avrebbe permesso di intraprendere la sua carriera nel campo del giornalismo vero, così da arrivare ai livelli di Harmsworth* e magari di Pulitzer.
Ma da quando era arrivata in redazione, il suo capo non aveva fatto altro che metterla da parte.
Piccoli lavoretti, niente di più, mentre i suoi colleghi erano sempre impegnati in importanti questioni di Stato, partendo per Londra, Oxford, alcuni anche per paesi stranieri: Francia, Norvegia, America. Lei comunque aveva sempre portato a termine i suoi articoli, consegnandoli ogni volta prima della data di scadenza. Le veniva naturale, scrivere. Una volta scritta la prima parola andava avanti per ore e ore.
Lily continuò a premere i tasti della macchina finché non si sentì stanca.
Mise insieme i fogli che aveva scritto, legandoli con un nastro blu, e si alzò dalla sedia, andando a chiudere la finestra e spense la luce.
«Casa, dolce casa» sospirò.
Si sfilò i vestiti che aveva indosso, ripiegandoli con discreta cura e poggiandoli ai piedi del suo letto, sulle coperte ricamate. Indossò la sua vestaglia rosa e si coricò, stendendosi a pancia in su e osservando il soffitto di legno scuro e le pareti spoglie, mentre il silenzio regnava sovrano.

Rimase un bel po' in quella posizione, pensando a ciò che avrebbe dovuto fare il giorno seguente.
"Domani vado dalla signora Queenie e finisco l'intervista" pensò, "Magari il signor Wipond si convincerà che sono in grado di fare il mio lavoro".
Dopo di che si addormentò.

**********
*Alfred Harmsworth è stato un giornalista ed editore inglese, fondatore del "Daily Mail", uno dei quotidiani più importanti del Regno Unito, morto nel 1922.

Credo che sappiate benissimo chi è Pulitzer, quindi non lo metto :D

Perché voi sapete chi è, vero?

VERO?!

Bene, e io ve lo metto lo stesso:

Joseph Pulitzer è stato un famosissimo giornalista ungherese naturalizzato statunitense, da cui ha preso nome il "premio Pulitzer", praticamente il premio Nobel per il giornalismo.

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