3 - Pioggia del destino

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[Nella foto sopra: Miss Rosemary Queenie nel suo negozio]

L'indomani mattina, Lilith si alzò alle dieci e mezza. Non appena si rese conto dell'orario, saltò dal letto come una molla.
Si preparò, afferrò il taccuino e la penna che aveva poggiato sulla scrivania la sera prima e scese al piano di sotto.
La signora Blacklow era così gentile da preparare la colazione anche per lei, perché non voleva che uscisse senza aver mangiato.
Era molto buona con lei, come una seconda mamma. Aveva dei figli, ma erano tutti grandi e alcuni non abitavano più a Nochtown. Perciò Lily era diventata come una di famiglia.
D'altro canto, era una così brava ragazza. Era sempre disponibile a darle una mano, quando glielo chiedeva.

«Allora, quali impegni ti affliggono per oggi?» domandò la signora mentre versava del latte caldo in una tazza e la porgeva a Lily.
Conosceva molto bene la vita frettolosa che la ragazza aveva e quanto essa ci tenesse al suo lavoro da giornalista.
«Non molto, in realtà. Devo terminare l'intervista a Miss Queenie. Poi tornerò a casa e terminerò l'articolo, così domani potrò consegnarlo al signor Wipond.»
«Non ti sembra di fare tutto un po' di fretta, cara? Così finirai per avere un esaurimento» disse la signora Blacklow.

«Voglio dimostrare al signor Wipond che so fare il mio lavoro. Anche meglio degli altri» rispose Lily mentre finiva di bere e poggiava la tazza vuota sul tavolo. Prese la borsa e si preparò a uscire.
«Prima di tornare qui, puoi essere così gentile da passare dal dottor Holiday? Ho bisogno delle mie medicine» domandò.
Raggiunse la ragazza, che nel frattempo era uscita dalla piccola sala da pranzo per andare nel corridoio, e le porse una ricetta medica e dei soldi.
La ragazza promise di passare dal dottore, salutò la padrona di casa e uscì.

Quel giorno tirava un vento sostenuto, l'aria era fresca e c'erano molte nuvole a coprire il cielo, ma comunque la gente non rinunciava a una passeggiata.
Lily attraversò Middle Street mentre cercava di sistemare nella borsa il foglio e i soldi che la signora Blacklow le aveva dato.
Si avviò verso il centro della città, camminando a passo svelto, con la testa china, cercando di pensare a come avrebbe potuto continuare l'articolo dedicato all'anziana fioraia.

Raggiunse il negozio della signora Queenie e mentre stava per entrare per poco non si scontrò con una anziana signora, dalla pelle scura e dai vestiti sgargianti, che stava uscendo.
«Oh, cielo, mi scusi tanto!» esclamò la ragazza mortificata.
«Non fa niente» disse la donna e proseguì per la sua strada, con in mano due vasi contenenti delle strane piante dall'aria esotica.
«Lily cara! Sei tornata! Devi finire il tuo articolo su di me?» disse allegramente la fioraia guardando la ragazza con i suoi grandi occhi, che con gli occhiali risultavano ancora più grandi.
«Sì, Miss Queenie, la ringrazio molto. Però... Non è che potrebbe arrivare direttamente alla parte in cui aprì il negozio?»

«... e così, decisi di aprirne uno tutto mio. Gli abitanti di Nochtown furono così gentili da aiutarmi a sistemare i fiori, sono stati così bravi. E dopo poco, il mio negozio divenne il più famoso della città, ma devo ringraziare in particolare la gente del posto, in questa città così bella!» terminò la vecchietta, sospirando.
Lily terminò di scrivere i suoi appunti e chiuse il taccuino soddisfatta.
«Grazie, Miss Queenie, è stata gentilissima. L'articolo dovrebbe uscire la settimana prossima.»
«Oh! Davvero? Ma che bello! Non vedo l'ora, mi immagino cosa diranno le mie amiche quando vedranno il mio nome sul giornale!» esclamò la donna emozionata.
Lily ridacchiò, salutando la fioraia e uscendo.

A qualche passo dal negozio della signora Queenie, attraversando la strada e superando il carretto del pesce che ogni martedì e ogni sabato il pescivendolo accostava al ciglio della strada, si trovava la farmacia del dottor Holiday.
Lilith si recò lì una volta terminata l'intervista, per ritirare le medicine della sua padrona di casa.
Attraversò la strada in diagonale, per raggiungere più velocemente la farmacia, sormontata dall'insegna verde smeraldo e da una scritta giallo oro.
Aprì la porta e venne accolta dal tintinnio allegro del campanello sulla porta.
Nella stanza non c'era nessuno, tranne un cliente avanti la cassa che attendeva paziente l'arrivo del dottore.

Lily salutò cortesemente, e il ragazzo ricambiò con un cenno del capo, tenendo lo sguardo basso, senza proferire parola. Non le sembrava di conoscerlo.
"Forse è un turista" pensò Lilith.
Era giovane, avrebbe potuto avere la sua età, con i capelli neri, pettinati all'indietro in modo naturale, senza traccia di brillantina. Gli occhi azzurri e spenti, le profonde occhiaie e la pelle pallida gli davano un aspetto malaticcio, accentuato ancor di più dal fisico magro e scarno, tanto che i vestiti gli andavano un po' larghi. Erano abiti semplici, una vecchia camicia bianca e un lungo pantalone color caffè usato e consunto, con delle bretelle di tessuto anche esse rovinate, e con nessuna giacca a coprirle. Le scarpe erano semplici, da passeggio, e avevano la suola sporca di terra.
Di tanto in tanto veniva scosso da un attacco di tosse.
"Strano periodo per ammalarsi" pensò la ragazza, ma si tenne a debita distanza nel caso fosse contagioso.

Dopo poco arrivò il dottor Holiday, con il suo faccione rotondo e la sua corta barba bianca. I pochi capelli bianchi che aveva in testa erano ben pettinati di lato, anche se qualche ciuffo andava dalla parte opposta, rendendo quell'acconciatura piuttosto buffa.
Quando era piccola, Lily pensava che il dottor Holiday somigliasse a Babbo Natale, e le era sempre stato simpatico.
In mano, l'uomo aveva un pacchetto che consegnò al ragazzo al bancone.
«Ecco a te, giovanotto. Sono cinque sterline.»
Il ragazzo poggiò il pacchetto sul tavolo ed estrasse dalla tasca un paio di banconote, impiegando qualche secondo per analizzare i pezzi di carta, per poi mettere da parte la cifra richiesta.
"Sono tanti soldi per uno che veste in questo modo" pensò Lily osservando le banconote nuove di zecca che il giovane stava rimettendo in tasca.
Il cliente pagò il farmacista. «Danke*» disse con un minuscolo sorriso. Poi guardò Lily. «Buona giornata, signorina.» E si diresse verso l'uscita.
Lei si girò per vedere il giovane aprire la porta del negozio e andare dall'altra parte della strada.
Si avvicinò a un uomo cicciottello, che stava affiggendo un manifesto a un palo.
Gli chiese qualcosa e l'altro annuì.
Poi si allontanarono dalla strada.

«Signorina Hunting?»
Lily si voltò verso il dottor Holiday, che stava aspettando che la ragazza le consegnasse la ricetta.
«Oh, giusto. Sono qui per la signora Blacklow. Ha bisogno delle sue medicine» disse lei consegnando il foglio medico che la donna le aveva dato.
Il farmacista lo prese, lesse quello che c'era scritto, e si girò per prendere ciò di cui aveva bisogno dallo scaffale dietro al bancone. Lì teneva tutte le medicine più richieste, così da non perdere tempo ad andare sempre avanti e indietro dal retro della farmacia.
«Curioso, quel ragazzo, eh?» disse, mentre cercava il farmaco giusto tra le moltitudini di scatole presenti sullo scaffale.
«Eh? Ah, sì. Ha una faccia... particolare» mormorò Lily. Poi aggiunse: «Non lo avevo mai visto in città».
«Questo perché non è di queste parti» disse il dottor Holiday. Aveva trovato la medicina di cui la signora Blacklow aveva bisogno. La mise in una busta.
«Credo sia uno dei circensi che sono arrivati qui in città la settimana scorsa. Si sono accampati in periferia, quasi vicino le campagne. Ma ogni tanto vengono qui in centro, forse per fare compere. O forse per stare un po' in giro. Non credo che nel circo si abbiano molte possibilità di fare nuove conoscenze.»
Consegnò la busta a Lilith, che pagò con i soldi datigli dalla signora Blacklow.
«Ha già visto uno spettacolo?» domandò poi il farmacista mentre Lily sistemava le medicine nella borsa.
«Ehm, no. Ma questa sera ci andrò con i miei nipoti.»
L'uomo sorrise. «Fa bene. Ho sentito dire che è  da restare a bocca aperta. I bambini si divertirebbero molto.»
«Grazie del consiglio, dottor Holiday, buona giornata» ringraziò la ragazza con un sorriso.
«Anche a lei, Miss Hunting» disse di rimando il farmacista guardando Lily uscire, per poi tornare nel retro della farmacia.

Una volta fuori, Lily attraversò la strada e andò a guardare il manifesto che l'uomo che si era allontanato con il giovane della farmacia aveva affisso.
Era il manifesto di un circo. Sopra vi erano disegnati, in maniera molto realistica, dei circensi nell'atto di eseguire delle acrobazie. C'era un uomo che sollevava un paio di grossi pesi, tre trapezisti nell'atto di volteggiare per aria ed afferrarsi al volo, un mago che faceva uscire mille colombe dal cilindro. Al centro del manifesto c'era una scritta: "Der Zirkus von Frau Enger".
Lily rimase a osservarlo per un po'. Quello era il circo dove i suoi nipotini le avevano chiesto di portarli. Sarebbero dovuti andare lì, quella sera.
La ragazza sollevò lo sguardo verso il cielo, che stava cominciando a riempirsi di nuvole.
Da lontano, si potevano scorgere nuvole grigie dirigersi verso la città.
"Giorno di temporale" pensò la ragazza e si affrettò a tornare al suo appartamento.

Non appena la ragazza aprì la porta dell'abitazione, una leggera pioggerella cominciò a cadere e, verso sera, si trasformò in un vero e proprio acquazzone che si protrasse per tutta la notte.
Lily, dalla sua camera, guardava le gocce battere sui vetri e scivolare giù, rincorrendosi l'un l'altra.
Le dispiacque per Jasper e Nicole, i quali sarebbero rimasti male al pensiero di non poter andare al circo, come avevano programmato. Ci sarebbe stata sicuramente un'altra occasione.
Si era chiusa in camera e aveva terminato l'articolo per il signor Wipond. Aveva scritto tutto quello che la signora Queenie le aveva detto, aggiungendo tutti i particolari necessari per rendere l'intervista interessante.
Le piaceva aggiungere emozioni e pensieri che i soggetti provavano, e descrivere dettagliatamente i luoghi di cui gli intervistati le parlavano.
Voleva stimolare la curiosità dei lettori del giornale quel tanto che bastava da invogliarli a continuare, desiderosi di scoprire quale sarebbe stata la conclusione, anche se, in quel caso, era già nota a tutti.

Quando terminò l'ultima pagina ed estrasse il foglio dalla macchina da scrivere, si sentì soddisfatta. Era un articolo degno di quel nome.
Legò il tutto con un nastro e lo poggiò sulla scrivania, in bella mostra, in modo da non dimenticarli il giorno dopo, quando sarebbe andata alla redazione per consegnare il lavoro al suo capo.
Uscì dalla sua stanza e scese allegramente le scale fino alla sala da pranzo, dove la signora Blacklow aveva preparato la cena.
Andò a dormire presto e la mattina seguente si recò al giornale.

All'alba del 7 luglio 1948, James Dyler si svegliò di soprassalto.
Abitava in un monolocale nei pressi del centro della città, nonostante reputasse quella zona troppo rumorosa per i suoi gusti.
Quando aveva giornata libera, era solito alzarsi mai prima delle nove e mezza, ma quella volta venne svegliato da un rumore che echeggiò per tutte le stanze della casa: lo squillo di un telefono.
"Fa niente, richiameranno più tardi" pensò e attese che il telefono smettesse di suonare.
Dopo poco, l'apparecchio cessò di trillare e l'ispettore chiuse gli occhi, tentando di riaddormentarsi. Ma ormai non c'era più nulla da fare e, con un sospiro, si alzò dal letto.
Il contatto con il pavimento freddo lo fece rabbrividire e la luce che trapelava dalle tende era ancora troppo fioca, perciò si avvolse nella sua vestaglia, e si avviò a tentoni verso il bagno.
Si lavò la faccia e osservò infastidito la barba che iniziava a crescere sul suo volto. Afferrò il pennello e cominciò a spalmare la schiuma sulle guance e sulla mascella. Stava per afferrare il rasoio, quando il telefono squillò di nuovo.

Sbuffò irritato, chiedendosi cosa ci potesse essere di così urgente per chiamarlo a quell'ora del mattino, mentre si avviava verso il telefono, con ancora la schiuma da barba in faccia.
Alzò la cornetta e la avvicinò all'orecchio, sporcando il microfono di schiuma.
«Accidenti... Pronto?» biascicò cercando di pulire e, allo stesso tempo, cercando di ascoltare l'uomo che parlava. Fece cadere la cornetta, che finì sotto al tavolino dove era poggiato il telefono, e si accovacciò per cercare di prenderlo.
«Pronto? Pronto, ispettore?» chiedeva la voce dall'altro capo del telefono.
«Rockerford?» domandò non appena riuscì ad afferrare la cornetta.
«Sì, ispettore, sono io.»
«Cosa c'è? Sono le sei del mattino» chiese con voce roca.
«C'è stato un omicidio, signore. L'ispettore capo ha detto di recarci immediatamente sul posto.»
L'ispettore Dyler sospirò. Il suo superiore non faceva caso se avevi giorno libero o no. Qualunque ordine desse, doveva essere eseguito.
Si passò una mano sugli occhi e chiese dove era successo l'omicidio.
«Al circo, signore. È stato trovato un cadavere nel tendone di un circo» rispose l'agente.
"Al circo?" ripeté James Dyler nella sua mente.
«Va bene. Cominciate ad andare. Io arrivo tra poco» disse per poi chiudere la telefonata.
"La giornata comincia bene" pensò mentre si avviandosi per la seconda volta verso il bagno.

**********
*"grazie" in tedesco.

Credo si capisse benissimo cosa volesse dire, ma per precauzione l'ho scritto.
Nel caso alcuni di voi abbiano pensato significasse "ti ammazzo il criceto".

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