CINQUE

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CAPITOLO 5 | CONTRATTEMPI

2017

"Touch my mouth and hold my tongue

I'll never be your chosen one

I'll be home safe and tucked away."

(Mumford & Sons - Broken Crown)

"DOVREMMO cenare insieme."

Inarco un sopracciglio, guardando Kevin dall'altra parte del tavolo della mia cucina. "Credevo lo stessimo facendo," gli faccio notare, accennando con lo sguardo ai nostri piatti di insalata di pollo.

Scuote la testa, "Intendo, una cena vera e propria..."

"L'insalata di pollo è così terribile?"

Mi sorride, "... in un ristorante."

Rimango con la forchetta a metà tra piatto e bocca. "Un appuntamento?" chiedo, incredula.

Lui mi guarda, e c'è qualcosa nei suoi occhi che mi dice che il tono speranzoso della mia voce gli sta spezzando il cuore. In più di due anni insieme, io e Kevin ci siamo incontrati sempre nel suo ufficio o tra le mie quattro mura. E a me va bene, perché c'è un prezzo da pagare per tenere una relazione segreta per davvero, ma mi rendo conto che è per questo motivo che sento le farfalle nello stomaco alla prospettiva di fare qualcosa che tutte le coppie normali fanno. Sono emotivamente scombussolata.

"Ti piace la cucina francese?"

"Non l'ho mai provata," ammetto in un piccolo sorriso.

Kevin ricambia la mia espressione, "Conosco un posto... domani sera?"

Annuisco, appoggiando la forchetta sul tovagliolo. Quando mi alzo in piedi e aggiro il tavolo fino a raggiungerlo, Kevin ha appena finito di bere un sorso della sua birra. Mi guarda, interrogativo, "Cosa-?"

Non prosegue la frase perché mi sistemo a cavalcioni su di lui, le mani sul suo petto che salgono a racchiudere il suo viso. Ha la barba più lunga del solito, e mi piace la sensazione sotto le dita. La mia sedia Ikea probabilmente piange e scricchiola sotto il peso aggiunto, ma al momento poco mi importa mentre inclino la testa per baciarlo come si deve. La sua memoria muscolare si risveglia quando la mia lingua cerca la sua, e le sue mani abbandonano il tavolo per scivolare dalla mia schiena fino a stringersi salde sui miei fianchi.

Ci separiamo quanto basta per riprendere fiato, e con la fronte ancora appoggiata alla sua inizio a sbottonargli la camicia. Kevin inclina appena la testa per farsi strada con una scia di baci dalla pelle scoperta del mio collo e poi fino al mio orecchio.

"Livia," mormora, e la sua voce è poco più di un sussurro roco. Oh, l'effetto che mi fai. C'è una traccia di rimprovero malizioso nel suo tono, ma so perfettamente dal modo in cui le sue mani guidano il lento ondeggiare dei miei fianchi, che questo mio attacco improvviso non gli dispiace. Affatto. "... non dovremmo cenare?" mi chiede. Lo sento sorridere sulla mia pelle.

Sono arrivata all'ultimo bottone della camicia, che lascio aperta sul suo petto. Con un singolo, unico movimento, mi libero della maglia a maniche lunghe che ho addosso. L'indumento finisce sul pavimento, ma lo sguardo di Kevin non abbandona per un istante la mia figura.

"Ceneremo domani," dico soltanto, prima di avventarmi su di lui.

2014

"Down, down in my bones

Somewhere I'd never have known 

Right at the back of my head

It hit me like a beam of light

Hit me like a hook of the right

And I could have fell to the floor

[...]

'Cause it's you

Oh, it's always you

Oh, I always knew

Oh, it's you"

(The Vaccines - I always knew)

Da quando ho incontrato il professor McKidd a La Libellula, faccio fatica a pensare ad altro.

Ho rivissuto nella mia testa la nostra conversazione, da ogni angolazione possibile. Ho immaginato cento volte cose più intelligenti da dire, gesti meno infantili, atteggiamenti più adulti. Nel dormiveglia, quando la mia fantasia sente meno le costrizioni della realtà, ho creato nel dettaglio una scena di sesso particolarmente irruento, consumato sul tappeto della saletta di linguistica, tra gli scritti di Chomsky e quelli di de Saussure.

L'unica cosa di cui sono certa è che sono confusa.

Le sue lezioni di filologia romanza sono interessantissime, e io mi ritrovo ogni volta completamente rapita dalle sue parole, dall'amore che traspare per la materia in ogni suo gesto e in ogni sua frase. Prendo appunti senza risparmiarmi, tanto che a volte alla fine delle due ore ho la mano indolenzita, e mentre molti dei miei compagni si lamentano uscendo dall'aula di quanto questa parte di linguistica sia noiosa e difficile, io non vedo l'ora di rinchiudermi in biblioteca per poter rileggere tutto quello che ho scritto. Se mi fermo a rifletterci un po' su, riesco ad afferrare la vaga sensazione nella mia testa che mi suggerisce che tutta la mia dedizione alla filologia romanza sia legata non soltanto al colpo di fulmine che ho avuto con la materia, ma anche al mio sincero desiderio di dimostrare al professor McKidd di cosa sono capace. Preferisco non soffermarmici troppo, però. Le implicazioni del mio trasporto emotivo nei confronti di quest'uomo mi spaventano.

Qualche volta, nel bel mezzo della lezione, il suo sguardo incrocia il mio, e per un momento è come se in aula fossi sola, e lui stesse parlando soltanto per me. Gli attimi in cui i suoi occhi azzurri scorrono su di me mi fanno mancare il respiro e rifugiare la testa nel quaderno. Ma sono quelli che preferisco.

L'ho visto altre volte alla caffetteria dell'università. Ci siamo scambiati un rapido cenno del capo, ma nient'altro. Rimango sola con il mio caffè al bancone e lui seduto a un tavolino, oppure esco con il mio americano in mano e lui arriva, passandomi accanto con un veloce buongiorno.

Non c'è alcun motivo per cui le cose debbano essere diverse, mi ripeto. Giusto?

*

Quando arrivo in caffetteria, dopo una noiosissima lezione di geografia, la voce di Emily, una mia compagna di corso, attira la mia attenzione. È seduta a un tavolino piccolo ma piuttosto affollato e si sta alzando in piedi per farmi segno di raggiungerla.

"Prendi un caffè con noi, Holly?" mi chiede. Emily mi piace: è sempre gentile, disponibile e di buon umore. È piacevole stare in sua compagnia. Seduti all'angolo noto anche Lucas e Grace: mi rivolgono un sorriso e un rapido cenno di saluto, che ricambio, prima di immergersi nuovamente nella loro fitta conversazione. Quando Luke sussurra qualcosa all'orecchio di Gracie, lei ride di gusto e lo guarda con una tale adorazione negli occhi che per un istante sono tentata di tirare a lui uno scappellotto, perché ragazzo mio, cosa aspetti a chiederle di uscire?

"... stiamo cercando di organizzare un gruppo studio di filologia."

Mi sembra una buona idea, considerato anche il repentino avvicinamento della prova scritta. Annuisco, e, mentre sistemo la mia giacca e il mio zaino su una sedia vuota, il mio sguardo cade sul lato del tavolo occupato da due ragazzi che non ho mai visto prima. Emily è rapida a intervenire in mio soccorso. "Oh, giusto! Lui è mio fratello Blake," mi spiega, indicandomi un ragazzo dai limpidi occhi azzurri e dai capelli scuri, così perfettamente ricci da farmi sentire invidiosa, "... e lui è Joseph."

"Joe," la corregge lui, passandosi una mano tra gli spettinati capelli color sabbia.

Stringo le mani che mi vengono offerte e mi presento rapidamente, mentre Emily prosegue con una linguaccia all'indirizzo del fratello. "... Holly, loro sono altolocati giuristi."

"Non così altolocati," la corregge Blake, mostrandole il dito medio.

"E neanche così giuristi, se non passiamo la prova intermedia di commerciale," aggiunge laconicamente Joe, che ha davanti a sé una tazza vuota di caffè e un libro delle dimensioni di un vocabolario.

Alzo appena la voce, per farmi sentire da tutto il tavolo, "Vado a prendermi un americano, qualcuno vuole qualcosa?"

Braccia scattano su per aggiungere caffeina all'ordinazione e per mettermi in mano sterline. Joe si alza in piedi, rivolgendomi un sorriso. "Ti accompagno."

"Grazie!"

Ricambio la sua espressione, e chiacchierando del più e del meno ci avviamo verso la cassa.

2017

Finisco di applicare un'ultima passata di mascara e mi osservo nello specchio, soddisfatta.

Ho usato l'arricciacapelli, e ora le mie ciocche bionde scivolano sulle mie spalle in onde morbide e ben delineate, al contrario della massa crespa in cui finisco per ridurle di solito. Il vestito corto, di velluto bordeaux, è semplice, ma abbinato alle scarpe col tacco e alle calze nere velate contribuisce a slanciare la mia figura.

Penso alla biancheria dalle allacciature complicate che ho addosso, al pizzo e alla seta nera, e a come voglio che si concluda questa serata. Il mio riflesso nello specchio ha le guance rosse. Sistemo un'ultima volta i capelli ed esco dalla mia stanza.

Sono quasi le sette, e Kevin dovrebbe essere qui a minuti. Ho lasciato la borsa sulla sedia e il cellulare appoggiato sul tavolo della cucina. Mi siedo - i tacchi fanno già male - e tamburello le dita sulla superficie di legno: sono euforica e nervosa allo stesso tempo, neanche fosse il nostro primo appuntamento. Scuoto appena la testa e sorrido, quando realizzo che in fondo lo è.

Il cellulare si illumina, avvisandomi con una vibrazione leggera dell'arrivo di un messaggio. Sblocco lo schermo, e inizio ad alzarmi in piedi per prendere il cappotto. Deve essere Kevin che mi avvisa di essere sotto casa, penso, buttando un occhio veloce al telefonino mentre mi dirigo verso la porta. Quando il mio cervello processa l'effettivo contenuto del messaggio, rimango bloccata al centro del salotto.

Ho avuto un contrattempo, dobbiamo rimandare.

Mi dispiace.

Un contrattempo.

Contrattempo è una parola che mi è diventata molto familiare, in questi ultimi anni. È un nome buffo per una moglie. Non posso chiamarlo, non posso scrivergli, non posso fare niente. Succede, Holly, mi dico, mettendomi lentamente a sedere sul divano, nel silenzio vuoto della mia casa. Promesse infrante, serate da passare insieme spese in solitudine a mangiare cibo cinese, non sono nuova a questa vita, dovrei esserci abituata, giusto?

Eppure, fa male comunque. Penso di nuovo alla biancheria di pizzo e seta, e vorrei ridere e piangere insieme mentre la mia realtà crolla davanti ai miei occhi come un fragile castello di carte.

Una moglie non è un contrattempo.

Io sono un contrattempo.

Ciao a tutti! Nel presente di questo capitolo, una situazione iniziata alla grande per Holly e conclusasi nel peggiore dei modi scatena qualche riflessione e scava ancora di più nella sotterranea infelicità che cerca ogni volta di nascondere dietro un bel sorriso. Invece nel passato ci troviamo davanti a un momento di transizione, dopo l'incontro della settimana scorsa a La Libellula - oltre all'introduzione di qualche nuovo personaggio, che rivedrete su Instagram domani e che sicuramente continuerà ad apparire anche nel presente!

Nel prossimo capitolo, intitolato "Galway girl (1)": nel 2014, Holly fissa un appuntamento per il ricevimento nell'ufficio del Professor McKidd, mentre nel 2017 decide di di concedersi una serata di svago lontana da tutti i drammi e problemi che affollano la sua vita, e finisce per fare la conoscenza di un barista molto affascinante.

Vi lascio un indizio:

Non perdetevi gli aggiornamenti di Victoria's state of mind e Us against the world, noi ci vediamo venerdì prossimo!

Holly

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