QUATTRO

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CAPITOLO 4 | LA LIBELLULA

2017

"When you think of love, do you think of pain?"

(Vance Joy - Mess is mine)


SONO le cinque e io sto tornando a casa da La Libellula, con lo zaino sulle spalle e un sacchetto di libri nuovi che avevo ordinato. Will mi ripete sempre che sono la loro migliore cliente, e ormai sono quasi certa che non lo dica solo per prendermi in giro.

L'aria è umida, e il cielo gonfio di nubi scure che minacciano pioggia. Tiro su il bavero del cappotto e mi dirigo verso casa, chiedendomi se sia meglio cucinare qualcosa o cedere alla tentazione del ristorante thailandese che ha aperto a due isolati da me.

Forse dovrei sentire Kevin, magari... Il mio cellulare vibra nella tasca dei jeans, strappandomi ai miei progetti. Quando lo raggiungo, sullo schermo c'è l'avviso di una chiamata in arrivo. Esme.

"Ehi!" saluto, non riuscendo a trattenere un sorriso.

"Holls, ciao!" mi risponde la voce allegra di mia sorella, e all'improvviso è come essere di nuovo a casa, "Come stai?"

Attraverso la strada, il cellulare all'orecchio, stretto nella mano destra. Reggere la pesante borsa di libri con una mano sola aggiunge un nuovo livello di difficoltà al percorso verso il mio appartamento. "Stanca è la parola di oggi," ridacchio, "... ho appena finito il mio turno in libreria, e stavo giusto decidendo se cucinarmi la cena o ordinare thailandese. Suggerimenti?"

"Le tue foto su Instagram mi dicono che consumi fin troppo cibo spazzatura," mi rimprovera, ma c'è affetto nel suo tono di voce leggero.

Alzo gli occhi al cielo, anche se so che non può vedermi, e sbuffo rumorosamente, "Avrei dovuto bloccarti," commento. Sono ormai in prossimità del portone del mio palazzo, così, tenendo precariamente il cellulare tra spalla e orecchio, inizio a frugare nelle tasche della giacca alla ricerca delle chiavi di casa. Scontrini, una caramella, un pacchetto di sigarette dimenticato... trovate.

"Oh, come con mamma? Credo che non ti abbia ancora perdonata."

"L'avrò bloccata per cinque minuti, Ez! Te lo giuro, ha commentato ogni foto, dal duemilatredici!"

Il tempo di rievocare la prima settimana della mamma su Instagram e io sono in casa, già senza scarpe. Appoggio lo zaino e la borsa dei libri sul divano e mi dirigo verso la cucina, per procedere a una rapida ispezione del frigorifero.

"Ehi, come sta Dylan? Amy mi ha scritto ieri per dirmi che suo padre, e sto citando, la priva delle sue libertà fondamentali... Oh, ho del salmone in frigo!".

Sento Esme ridere di gusto. "Quella ragazza è troppo melodrammatica perché Dylan arrivi sereno ai quarant'anni."

Amelia è la primogenita di Esme e Dylan, nonché l'unica figlia femmina. Ha dodici anni ed è sveglia, con la risposta sempre pronta e quell'aura di cosa ne sapete voi della mia vita che si appiccica addosso a tutte le ragazzine alle soglie dell'adolescenza. La adoro.

Metto il cellulare in viva voce e lo appoggio sul tavolo di legno scuro della cucina, per avere le mani libere mentre proseguo nella raccolta, tra frigorifero e armadietti, degli ingredienti che mi servono per la cena. Esme intanto mi racconta della sceneggiata apocalittica che si è consumata un paio di giorni fa tra le loro quattro mura, quando Dylan ha vietato ad Amelia un'uscita serale, al cinema, lungo la settimana.

"Ho provato a spiegarle che c'era scuola il giorno dopo, ma ovviamente..."

"... Connor Murphy sarebbe andato al cinema, immagino," concludo per lei, legandomi i capelli.

"Precisamente. Ti lascio immaginare la reazione di Dylan."

"È la sua bambina, credevi davvero non avrebbe dato di matto?" rido. Non è niente di più che una cotta adolescenziale, ma è evidentemente abbastanza per trasformare Dylan Walsh, un uomo moderno e tutto d'un pezzo, in un orso cupo e protettivo.

"Ehi, ascolta, che ne dici se ci sentiamo su Skype dopo cena?" propongo, guardando l'orologio, "Devo ancora farmi una doccia, e non credo proprio che questo salmone si cucinerà da solo. Per quanto io lo desideri."

"Certo," mi dice, "... appuntamento alle otto e mezza: divano, coperta e bicchiere di vino. Come ti sembra?"

"Oh," sorrido, "... se tutti gli appuntamenti fossero così."

La sento ridere. Esme ha una risata deliziosa.

"Mi aspetto la foto del salmone su Instagram, mi raccomando. Mamma non vede l'ora di sapere che stai mangiando sano."

La nostalgia di casa è come una seconda pelle, sepolta sotto una corazza dura. Ma è in momenti come questi che la mia famiglia mi manca da matti.

2014

"There's a drumming noise inside my head

That starts when you're around
I

swear that you could hear it
It makes such an all mighty sound
Louder than sirens
Louder than bells
Sweeter than heaven
And hotter than hell"

(Florence + The Machine - Drumming song)

Le domeniche a La Libellula sono lente e oziose.

L'esperimento di Will - tenere aperto il negozio anche l'ultimo giorno del fine-settimana - procede piuttosto bene, fino ad ora: turisti meravigliati che si aggirano tra gli scaffali stracolmi, cercando invano di non far scricchiolare le assi del parquet, studenti che dai college vengono a ritirare i propri ordini e clienti abituali, che magari fanno un salto a salutare tra una commissione e l'altra prima del pranzo della domenica.

Questa mattina ci siamo soltanto io ed Elaine, una degli altri tre dipendenti. Elaine avrà di poco superato i cinquant'anni, è sottile come un giunco e porta i riccissimi capelli castani sempre legati in un pratico chignon sopra la testa. Da quando ho aiutato suo figlio Miles con i compiti di letteratura, in estate, e lei ha scoperto che la caffeina è una componente fondamentale delle mie giornate, ogni occasione è buona per regalarmi miscele di tè particolari. Ho tentato di fermarla, davvero, ma alla fine ho dovuto rassegnarmi. In più, tutti i tè che mi porta sono buonissimi.

Oggi lei è in cassa, mentre io sono felicemente imprigionata tra i reparti di critica letteraria e linguistica: ieri sono arrivati tre scatoloni con le ultime ordinazioni, e stamattina li ho trovati in magazzino con un biglietto scritto a mano da Will che recitava un allegro e decisamente blasfemo: Olivia, ecco il tuo pane quotidiano.

Così, ho faticosamente trascinato gli scatoloni fino all'incrocio delle due salette e sto cercando fare delle pile di libri che possono essere messi in magazzino per far posto a questi nuovi. A un certo punto ho realizzato che riorganizzando meglio una sezione si sarebbe potuto farci stare tutto. È stato anche il momento in cui ho realizzato che Will si sarebbe messo le mani nei capelli, e che a fine giornata avrei avuto mal di schiena.

Mi muovo canticchiando tra gli scaffali, approfittando della quiete della mattina. Tra uno spostamento e l'altro, ho trovato almeno cinque volumi che mi piacerebbe comprarmi. Ne apro uno di linguistica germanica, infilandoci il naso per sentire il profumo felice della carta lucida, e poi lo ripongo al suo nuovo posto.

Sto trasportando una pila di edizioni critiche da sistemare nello spazio che ho ricavato nel reparto di letteratura: li ho impilati con cura, ma sono così tanti da arrivarmi fin sotto il mento - avrei dovuto fare due viaggi, penso, e poi succede. Qualcuno sta entrando con passo svelto nella saletta di linguistica, da cui io sto uscendo: finisco addosso allo sconosciuto, i libri cadono per terra e io inciampo nei miei stessi piedi dallo spavento.

"Merda!"

"Scusami!"

Le mani dello sconosciuto si stringono sulle mie braccia per tenermi in piedi, e io mi ritrovo sotto lo sguardo di un paio di occhi azzurri che rendono lui molto meno sconosciuto e questa situazione doppiamente imbarazzante.

È il professor McKidd.

Vedo nel suo sguardo un lampo di sorpresa, e poi un sorriso. Se potessi morire per autocombustione, succederebbe ora. Perché la vita è fatta di ingiustizie: ogni giorno in cui c'è lezione di filologia romanza passo lunghi minuti davanti al mio armadio, cercando di rendermi ben più che presentabile agli occhi di quest'uomo, e oggi ho addosso una salopette di jeans, un paio di scarpe da ginnastica e un maglione a righe bianche e blu. Così adulta e professionale, Holly, avanti così.

"Dovresti davvero imparare a guardare dove metti i piedi."

Lo dice con un sorriso e uno sguardo divertito che percorre la mia figura. Il fatto che si sia ricordato e mi stia riproponendo la prima fase che gli ho detto quel giorno in caffetteria però, non contribuisce affatto ad alleggerire la tensione che sto provando.

"Mi dispiace, io..." sto balbettando e arrossendo tutto insieme, e in me non c'è niente della donna posata e consapevole che vorrei essere, mentre mi chino per raccogliere i libri da terra. "... Dio, non è possibile che stia succedendo davvero."

Lui ride, abbassandosi con me per darmi una mano. "Non c'è motivo di preoccuparsi..." mi dice con un sorriso, prendendomi delicatamente dalle mani un volume delle dimensioni di un dizionario e sistemandolo nella sua pila. Il suo sguardo scende sulla bretella destra della mia salopette, su cui c'è appuntato il mio cartellino con nome, cognome e la fototessera che ho scattato alla macchinetta fuori dal supermercato. In quella minuscola foto ho gli occhi spalancati come un cervo davanti ai fanali di un'auto - all'incirca la situazione attuale. "... Miss Gardner."

Quando ci rimettiamo in piedi entrambi, sento di aver recuperato almeno un po' di senso pratico, anche se l'effetto che mi ha fatto essere chiamata Miss Gardner deve essere ben visibile sulle mie guance. Reggo i miei libri con una mano e faccio segno con l'altra a quelli tra le sue braccia, "Non deve- voglio dire, devo solo sistemarli di là..." gli rivolgo un lieve sorriso.

Scuote la testa, "Nessun problema," mi dice. Mi sorride, gentile e divertito insieme. "Fammi strada."

"Grazie."

Gli passo accanto e lo guido alla sezione di letteratura, fin troppo consapevole di ogni mio movimento e del suo sguardo, concentrato sulla mia nuca. Ha addosso un paio di jeans scuri e una camicia scozzese - oh, divertente - e il suo accento si è fatto sentire ben più del solito anche se la conversazione è stata così breve. Per il suo bene e il mio, dovrebbe essergli impedito di chiamarmi Miss Gardner con questo tono ruvido e quasi spigoloso. La mia professoressa di Linguistica Generale direbbe che è perché l'inglese scozzese ha un accento rotico, ma io dico che l'effetto della sua voce sul mio stato emotivo ha ben poco a che fare con la pronuncia di una monovibrante alveolare in coda di parola.

Raggiungiamo il tavolo al centro della stanza della sezione di letteratura: sopra ci sono ammucchiate in ordine un po' sparso le copie usate o scontate. Mi ritaglio uno spazio per la mia pila di libri e lui mi imita.

"È la prima volta che viene qui?" chiedo. L'educazione prima di tutto.

"Sì, in effetti," risponde. Gli sorrido gentilmente, iniziando a riordinare i volumi che abbiamo portato in ordine alfabetico, in modo da poter riempire senza problemi gli scaffali vuoti mancanti. "... il collega di filologia classica è un cliente abituale, me ne ha parlato molto bene. Tutte lodi meritate."

Sistemo la prima fila di libri e poi torno vicino al tavolo per prenderne altri. Il professor McKidd li ha già impilati per me, e io cerco di non arrossire sotto il suo sguardo quando mi passa i volumi.

"All'inizio eravamo molto più piccoli di così, coprivamo principalmente grosse case editrici e ritiro dell'usato," gli spiego, muovendomi di nuovo verso lo scaffale. "... lavoravo qui da pochissimo, quando Will, il proprietario, ha deciso di fare un salto nel vuoto e comprare i locali adiacenti, mi pare sia stato nel duemilanove..." rifletto, cercando di ricordare l'anno giusto. Quando torno da lui per prendere altri volumi, mi sta fissando con la fronte appena corrugata. "... sì, cinque anni fa. Da allora è stato un crescendo, soprattutto da quando abbiamo iniziato a fornire anche testi universitari. Dopotutto, era una fetta di mercato troppo ampia per poter essere ignorata, soprattutto vista la vicinanza..."

Ho sistemato l'ultimo libro e mi volto nella sua direzione, trovandolo sempre in piedi accanto al tavolo. La sua espressione corrucciata però, non se n'è andata. Spalanco gli occhi, indecisa. "... ho detto qualcosa che non va?"

Lui sembra riscuotersi, tornando a incrociare il mio sguardo. "Oh, no," si affretta a rassicurarmi. Ha un'espressione decisamente troppo simile a quella di un bambino colto con le mani nella marmellata. Muove un passo nella mia direzione e poi alza il braccio per sfregarsi la nuca, rivolgendomi un mezzo sorriso che sa di scuse. E'... imbarazzato? "Mi dispiace, è che ha detto che lavora qui dal duemilanove, e stavo cercando di..." lo sento esalare un lungo sospiro, quasi rassegnato davanti al mio sguardo sempre più confuso, "... quanti anni ha, Miss Gardner?" chiede finalmente.

Oh. Oh!

"Non le hanno insegnato che non si chiede l'età di una signora?" lo rimprovero mettendomi una mano sul cuore, prima di ricordarmi che lui non è né un mio pari né un amico di vecchia data e che questa situazione è decisamente surreale. Continuo a parlare, perché l'espressione dispiaciuta nel suo sguardo mi sta facendo capire che pensa seriamente di avermi offesa. "Sto scherzando, sul serio," dico, e lo vedo rilassarsi leggermente. "Non avevo sedici anni quando ho iniziato a lavorare qui, se era questo a preoccuparla... sono arrivata qui dall'Irlanda nel duemilanove, a diciotto anni compiuti, e mi sono iscritta all'università soltanto lo scorso anno. Per questo i conti non tornavano, immagino," concludo, sorridendo.

Sintetizzare la storia della mia vita al mio professore di filologia romanza non era tra i miei programmi per il fine-settimana, ma ormai è fatta.

"Davvero, mi dispiace," ripete, e prima che io possa tranquillizzarlo nuovamente, qualcos'altro nella mia spiegazione attira la sua attenzione. "Irlanda, ha detto?"

Sorrido. "Galway, nata e cresciuta."

"Mi sembrava di aver colto un'inflessione particolare."

"Sì, cerco sempre di controllarmi un po', ma non mi riesce molto bene."

"Non lo faccia," mi dice semplicemente, sorridendo.

Arrossisco senza scampo, nello stesso momento in cui la figura di Elaine appare sulla soglia della sala di letteratura. "Holly, ehi-" si interrompe, notando che non sono da sola. "Buongiorno, scusatemi," saluta velocemente e poi torna a concentrarsi su di me. "C'è Will al telefono in cassa, aveva bisogno di parlarti."

"Ma certo," replico. Elaine sparisce nuovamente nel corridoio, e io cerco lo sguardo del professor McKidd quando mi fermo sulla soglia. "Grazie ancora."

"Grazie a lei, Miss Gardner."

Ci sorridiamo un'ultima volta. Mentre mi affretto lungo il corridoio per raggiungere la cassa, non riesco a pensare ad altro che a come suonerebbe il mio nome pronunciato dalle sue labbra.

2017

Ho consumato una cena sanissima a base di salmone e verdure al vapore e ora sono accoccolata sul divano, nel mio comodo pigiama di flanella e con un calice ancora mezzo pieno di vino rosso in mano. Se Vicky fosse qui alzerebbe gli occhi al cielo, rimproverandomi perché con il pesce si beve solo bianco; ma io avevo questa bottiglia da finire in frigorifero e per di più l'ho vista vomitare l'intero contenuto di un economicissimo cartone di vino rosso direttamente nel mio water, questa estate, quindi, pazienza.

Dallo schermo del computer, che ho appoggiato sul tavolino, Esme mi sta raccontando di come procedono i preparativi del matrimonio. Dopo vent'anni insieme e quattro figli, finalmente lei e Dylan si sono decisi. Nessuno di loro è particolarmente religioso o ha mai visto il matrimonio come più di una formalità, ma è stato piuttosto commovente vedere Dylan inginocchiarsi davanti a lei ed Esme scoppiare in lacrime come una ragazzina, la scorsa estate.

Stiamo parlando della possibilità per me e Cece di indossare abiti da damigelle color malva quando il mio cellulare vibra sul tavolino. Lo recupero e passo il dito per sbloccare lo schermo, aprendo il messaggio che ho appena ricevuto.

Sono ancora in ufficio a correggere tesine e stavo pensando che domani potremmo pranzare qui. Ho trovato il menù del thailandese che ti piace tanto usato come segnalibro nella mia copia dell'Edda :)

Sorrido. Stasera ho mangiato sano, domani è un altro giorno.

Sembra un piano perfetto. Passi di qui quando hai finito? ;)

"Holly?"

Ho appena premuto il tasto di invio, quando la voce di mia sorella mi riporta alla nostra conversazione. Alzo lo sguardo, dallo schermo del cellulare a quello del computer. Credo che se potesse Esme entrerebbe nel pc, tanto è protesa sul suo divano, e io arrossisco sotto il suo sguardo indagatore, mentre lei inarca un sopracciglio.

"Scusa, dicevi?"

"Qualcuno di speciale?"

"Lo sai che sembri la mamma, vero?"

Mi guarda, indignata ma divertita, "Non ti azzardare! E non provare a sviarmi!"

Il cellulare vibra di nuovo, tra le mie mani. Abbasso lo sguardo.

Dammi venti minuti.

"Holly!"

"Scusa, scusa, scusa!" ridacchio, appoggiando il telefono sul cuscino del divano e tornando a guardare il computer. "Ecco, io..."

Esme ride, e io mi gratto il naso, al limite dell'imbarazzo.

"Qualcuno che porterai al matrimonio?" mi chiede mia sorella.

Mi sorride, è c'è del divertimento gentile nella sua voce, mentre io all'improvviso mi trovo a dover deglutire il groppo che mi si è formato in gola. Perché vorrei dire di , perché non c'è niente che vorrei di più che far conoscere alla mia famiglia l'uomo di cui sono follemente, teneramente e perdutamente innamorata da più di due anni... Ma. Dannazione.

La mia esitazione è troppo evidente per passare inosservata, anche attraverso il pc. Vedo lo sguardo di Esme farsi preoccupato. "Holls?" Sento tutta l'indecisione nella sua voce e sbatto le palpebre. Ho gli occhi lucidi. "... ti tratta bene? L'importante è che ti tratti bene, Holls."

Accenno un sorriso, tirando su col naso.

"Sì, Ez, mi tratta bene. Davvero."

Penso alle colazioni scozzesi, alla maglia blu dell'Università di Glasgow, alla cucina thailandese e alle sue mani ruvide che mi accarezzano le guance. Penso a queste e a tante mille altre piccole cose che la mia famiglia non saprà mai.

Bevo il mio vino senza aggiungere altro.

Ciao a tutti! Oggi un capitolo un po' più lungo del solito: mentre nel presente non succede poi molto - se si esclude l'introduzione del personaggio di Esme, una delle due sorelle maggiori di Holly, e la malinconia di lei nel continuare a mentire alla propria famiglia sulla sua situazione sentimentale -, nel passato abbiamo il secondo imbarazzante incontro tra Holly e Kevin al di fuori del contesto scolastico, questa volta nella libreria dove lei lavora come commessa.

Se tornate al primo capitolo, potrete vedere che ho inserito alcuni nuovi personaggi: qualcuno è già apparso o è già stato nominato, gli altri sono in arrivo. Se vi va, passate a dare una lettura anche alle altre due storie sulla pagina, Us against the world, scritta da Piper, e Victoria's state of mind, opera di Vicky: le nostre fanfiction si leggono tranquillamente anche da sole, ma qualche volta una di noi fa una capatina nella storia delle altre, o comunque ci piace lanciare qualche riferimento. In questo capitolo di Lover's Eyes, ad esempio, il collega di filologia classica nominato a un certo punto da Kevin, nel flashback del 2014, è proprio il professor Morgan di Vic.

Finito questo sproloquio, che dire, al prossimo venerdì!

Holly

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