TRE

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

CAPITOLO 3 | ADDOMESTICARE

2017

"I'm beginning to see," said the little prince. "There's a flower... I think she tamed me."

(Antoine De Saint-Exupery - The Little Prince)

QUANDO esco dalla mia camera da letto, ho addosso soltanto la maglietta del pigiama e poco altro. La luce di un sole pallido e appena sorto oltrepassa i vetri della finestra, abbattendosi sul tavolo di legno scuro già apparecchiato e sulla figura dell'uomo indaffarato tra i miei fornelli.

E' preoccupato perché sono dimagrita. Me lo ha detto nella semi-oscurità del suo ufficio, aiutandomi a chiudere la zip del vestito. Tra università, lavoro, qualità e orari dei miei pasti, io trovo davvero che fosse inevitabile, ma lui non ha voluto sentire ragioni e ha deciso di assicurarsi che io consumi almeno il pasto più importante della giornata come Scozia comanda.

Da un paio di giorni arriva nel mio appartamento all'alba, riempie il mio frigorifero di ogni ben di dio e poi mi prepara la colazione; averlo con me al mattino mi fa quasi credere che si sia addormentato nel mio letto la sera prima. E' una sensazione pericolosa.

"Buongiorno," sbadiglio, stiracchiando le braccia. Mi da le spalle e non si volta nella mia direzione, continuando ad accanirsi con la spatola sulle uova.

Sono appoggiata allo stipite della porta per osservarlo: pantaloni di sartoria antracite e camicia azzurra con le maniche arrotolate fino ai gomiti, come nel bel mezzo di una lezione. E' una visione che vorrei trovare in cucina ogni giorno della mia vita.

Spegne i fornelli. "Il caffè è già fatto," mi annuncia, voltandosi. "Vuoi anche...-"

Si interrompe quando il suo sguardo raggiunge la mia figura. Sorrido, compiaciuta, osservando i suoi occhi percorrere le mie gambe nude, risalire la maglietta con la stampa dell'Università di Glasgow sul davanti fino a raggiungere il mio viso.

"Vedi qualcosa che ti piace?" chiedo, inarcando un sopracciglio. Non riesco a smettere di sorridere.

"Vieni qui."

Mi avvicino docilmente, alzandomi sulle punte dei piedi scalzi per baciarlo su una guancia e circondargli il collo con le braccia. "Sembra tutto buonissimo," dico, riportando le mani sul suo petto e voltandomi appena per godermi la vista e i profumi che arrivano dai fornelli. E' quasi una completa colazione scozzese: uova, pancetta, salsicce, riesco addirittura a vedere i funghi e i pomodori in una padella. "Grazie."

Le mani di Kevin si insinuano sotto la mia - sua - maglietta; appoggia il naso sulla mia tempia, e lo sento sospirare lungamente mentre le sue dita salgono dalle mie cosce fino ad aprirsi sulla mia schiena nuda. "Sei crudele."

Mi sciolgo dal suo abbraccio e recupero i piatti dal tavolo. "Parla l'uomo che indossa il kilt per il party di inizio anno..." inizio, porgendoli a lui e muovendomi per versare il caffè. "... e poi non ha neanche il coraggio di passare a farmi un saluto. Crudele, io?" mi lamento, facendo ogni sforzo per non scoppiare a ridere.

"Sono passate tre settimane, Livia, ancora?" mi chiede, e riesco a sentire tutta la divertita incredulità nella sua voce.

Appoggio le tazze fumanti sul tavolo e mi siedo, giusto in tempo perché lui mi metta davanti il mio piatto. Gli faccio una linguaccia che lo fa sorridere e alzare gli occhi al soffitto. Ci mettiamo a mangiare, e io riesco soltanto a pensare a quanto vorrei che ogni alba fosse così.

2014

"... If you want a friend, tame me!"

"What do I have to do?" said the little prince.

"You must be very patient," replied the fox. "Sit down in the grass a little away from me, like this. I'll watch you out of the corner of my eye and you won't say a word. Language is a source of misunderstanding. And each day, you can sit a little closer."

(Antoine De Saint-Exupery - The Little Prince)

Controllo il mio riflesso un'ultima volta.

Lo specchio a figura intera nell'angolo della mia camera da letto mi restituisce l'immagine di una giovane donna: capelli biondo grano appena sopra le spalle, lasciati sciolti in onde morbide, non un filo di trucco sull'ovale del viso spruzzato di lentiggini. Sembra perfettamente padrona di se stessa, dalla punta delle stringate di pelle alla camicia bianca, infilata nei morbidi pantaloni neri che lasciano scoperta la caviglia.

Soddisfatta, prendo zaino e cappotto ed esco di casa.

Quando arrivo in università, manca ancora mezz'ora all'inizio della lezione di filologia romanza. Ho tutto il tempo per un secondo americano e un bagel al sesamo in caffetteria. Oggi è il mio giorno libero a La Libellula: ho guadagnato qualche ora libera in più, durante la settimana, da quando Will si è messo in testa di tenere aperto anche di domenica.

Mi accomodo a uno dei tavolini vicino alla vetrata, con il mio caffè fumante e il piatto di carta su cui il ragazzo al bancone, ancora assonnato, ha appoggiato un tovagliolo e il mio bagel. Lo tocco appena con le dita ed è ancora caldo. Soddisfatta, mi godo per qualche istante i raggi del sole che tagliano le finestre, immergendo il posto che ho scelto in un piacevole tepore. Mattinate senza nebbia sono merce rara, in questo periodo dell'anno. Vanno vissute con cura.

A quest'ora del mattino la caffetteria non è ancora molto affollata: mi guardo in giro distrattamente, indecisa se oziare o dare una sistemata agli appunti, quando una figura ormai familiare al bancone attira la mia attenzione. Il professor McKidd sta aspettando la propria ordinazione e io, rapita, approfitto di questo momento di tranquillità per osservarlo.

Deve sentire il mio sguardo scorrere su di lui, perché la sua tazza di caffè è appena stata appoggiata al bancone, ma lui si volta appena, proprio nella mia direzione. Mi fa un cenno leggero con il capo, e io sento il rossore risalire sulla mia pelle, dal colletto della camicia fino alle guance. Eppure sorrido: è imbarazzante ed è fuori luogo, oh, lo so, ma è un istinto che trovo impossibile da combattere.

Perché mi piace tutto di quest'uomo. Sono i suoi occhi chiari, è la ruga che gli si forma sulla fronte quando sta pensando a come introdurre al meglio un nuovo concetto. Sono le camicie con il primo bottone sbottonato e le maniche fatte su fino agli avambracci mentre spiega, sono le mani sporche di gesso pulite distrattamente sui pantaloni. Ma non è solo questo. E' l'accento scozzese, tenuto a bada all'inizio della lezione ma che finisce per farsi appassionato e dilagante quando è troppo preso dal cosa stia dicendo per considerarne il come.

Quest'uomo parla la lingua aspra e forte della filologia romanza, e io ne sono completamente catturata. Dalla materia. Da lui.

Le lezioni sono iniziate da appena due settimane, e io sono fottuta.

2017

I tardi pomeriggi in cui io non sono a La Libellula e Kevin rimane in ufficio sono i miei preferiti. C'è qualcosa di così pigro e dolcemente domestico nello starsene accoccolata sul piccolo divano che occupa interamente la parete sinistra del suo studio, senza scarpe e immersa nella lettura, mentre lui corregge tesine e bozze di tesi alla scrivania.

La libreria dietro la sua scrivania è colma fino a scoppiare di edizioni rare e sontuose: fanno impallidire le mie datate ed economiche Penguin e mi obbligano a stare attenta a dove metto la tazza di caffè, quando lo preparo con il fornelletto da ufficio che Kevin ha sistemato sul mobile accanto alla porta, ma ne vale sempre la pena.

L'autunno avanza e le giornate si accorciano: il sole è ormai tramontato del tutto quando la sua voce mi riporta alla realtà, strappandomi dalle pagine della Chanson de Roland. "E' ora di andare, Livia," mi dice. Sta finendo di mettere via le sue cose nella borsa, appoggiata su una delle due poltroncine davanti alla scrivania, mentre io mi alzo per riporre il volume prezioso nel suo spazio nella libreria.

"Sto perfezionando il mio antico francese," gli spiego, voltandomi per cercarlo con lo sguardo e sorridendo appena.

Mi passa accanto per recuperare i cappotti dall'appendiabiti, "Per essere perfezionato dovrebbe essere decente," mi prende in giro, baciandomi una tempia e poi oltrepassandomi.

Ride quando io sbuffo, anche se sotto sotto so che ha ragione, e che ora stiamo rivivendo entrambi lo stesso ricordo. Il giorno dell'esame di filologia romanza, parte dell'interrogazione era una lettura in lingua di un paio di lasse della Chanson de Roland. Un dramma: pare che io sia in grado di destreggiarmi con relativa agilità nei labirintici percorsi della linguistica, ma, misteriosamente, non di leggere ad alta voce in antico francese.

Raggiungo Kevin all'appendiabiti; lui ha già finito di vestirsi e aiuta me a indossare il cappotto. "Pronta?" mi chiede. Tira su il bavero della mia giacca, per proteggermi dall'aria fredda della sera che ci aspetta, e poi mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Sorride e mi guarda.

"Pronta," annuisco.

"But you mustn't forget it. You are responsible for ever for those you have tamed. You are responsible for your rose."

"I am responsible for my rose..." repeated the little prince, so that he would be sure to remember.

(Antoine De Saint-Exupery - The Little Prince)

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro