TRENTANOVE

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

CAPITOLO 39 | TELL ME NOT OF HEARTBREAK IT PLAGUES MY SOUL, IT PLAGUES MY SOUL

"Nobody knows how to say goodbye."

(The LumineersNobody knows)

KEVIN ha ancora la mano sulla maniglia della porta: c'è un lampo di soddisfazione, nel suo sguardo, quando realizza che la sensazione del suo corpo contro di me mi sta facendo trattenere il respiro.

Piega appena il viso, trascinato da questa consapevolezza, fino che il suo naso non sfiora il mio e io riesco a ricordare quanto siano chiare le sue ciglia.

All'improvviso, la sua vicinanza è insopportabile.

Espiro, spingendo le mani sul suo petto per sfuggire all'imponenza della sua figura; d'istinto lui cerca di afferrarmi i polsi, ma il mio scatto è così rapido e arrabbiato da lasciarlo a mani vuote.

"Olivia..."

Metto qualche passo tra di noi, voltandomi con un movimento secco quando pronuncia il mio nome – la disperazione nella sua voce è un contrasto ipocrita con tutta la controllata freddezza che aveva dimostrato nei miei confronti in presenza di Jane, e l'unica cosa che sento è un desiderio furioso e cieco di ferirlo.

Così amaro l'amore quando resta la cenere.

"Era davvero necessario?" chiedo, la voce avvelenata.

"Necessario?" ribatte, incredulo.

Muove un passo deciso nella mia direzione io ne faccio uno indietro, colpendo appena una delle due poltroncine davanti alla scrivania; mi guarda, tutto il corpo contratto, dal collo teso ai pugni chiusi. "E' mia moglie, cosa pretendevi che dicessi?"

"Oh, non lo so!" proclamo, allargando appena le braccia, "Qualcosa del tipo, no, tesoro, non passare in ufficio, forse ci troverai la studentessa con cui ho scopato negli ultimi due anni, come ti sembra?" - sto tremando, dalla rabbia e dalla confusione, e sento il nodo del pianto stringermi la gola.

Kevin scatta verso di me, chiudendo nuovamente la distanza che avevo messo tra i nostri corpi; arretro ancora, per quanto mi è possibile, e con le gambe finisco per toccare il bordo della sua scrivania.

"Non urlare." - Lui si piega su di me, le labbra pericolosamente vicino alle mie, e quando parla c'è così tanta intensità nel suo sguardo – rabbia, disperazione, desiderio – che per un istante non so più se stiamo litigando o facendo l'amore.

Ha ragione, riesco soltanto a pensare, l'ultima cosa che vogliamo è che qualcuno ci senta. Mi mordo il labbro, cercando di nuovo di allontanarmi dalla pressione del suo corpo sul mio. Scivolo tra di lui e la scrivania, e questa volta Kevin non fa nulla per trattenermi contro di sé, il petto che si alza e abbassa al ritmo arrabbiato del suo stesso respiro.

"Mi ha detto che sarebbe passata per pranzo, è arrivata un po' prima e mi ha raggiunto qui in ufficio, tutto qui," dice con voce aspra, nell'evidente sforzo di contenere il proprio tono. Tutto qui.

Io trovo rifugio accanto al piccolo divano, lo stesso su cui ho trascorso mille pigri pomeriggi, immersa nella lettura mentre Kevin lavorava alla scrivania.

Un silenzio carico di attesa si allunga tra di noi: incrocio le braccia sul petto, osservandolo da questa distanza di sicurezza e seguendo il profilo così familiare della sua figura.

Come siamo arrivati a questo punto?, vorrei domandargli, ma lui parla di nuovo e io realizzo che non sono davvero pronta.

"Come si chiama?" chiede, secco.

Schiudo le labbra, completamente impreparata, ma a Kevin non sembra importare.

"Lui. Come si chiama?"

"Non sono affari tuoi," riesco a dire, odiandomi per il tremito che io stessa riesco a sentire nella mia voce. Sciolgo la stretta delle mie braccia, i pugni ancora chiusi: la sensazione delle unghie che si conficcano nei miei palmi mi impedisce di scattare verso di lui per prenderlo a schiaffi. "Cosa diavolo centra con questo?"

La risata di Kevin è poco più di un sospiro, spento e amaro.

Come siamo arrivati a questo punto? Era così semplice: rabbia, disperazione, desiderio.

"Accusi me di averla portata qui, e tu-"

"Lui non centra nulla con questo!" lo interrompo, la voce mal controllata. Non voglio dire a Kevin il nome di James – nell'illusione che questo piccolo dettaglio sia sufficiente a proteggerci entrambi. "Non ti permetto-"

"Tu non mi permetti?" - Kevin avanza verso di me, gli occhi lucidi di rabbia, ma stavolta io non indietreggio. – "Sono stato qui ad ascoltarti farmi una scenata di gelosia per mia moglie, Olivia, e tu non mi permetti di parlare di un ragazzino con cui stai soltanto perdendo il tuo tempo-"

Al rumore dello schiaffo segue soltanto il silenzio.

Il palmo pizzica e brucia. Ho la mano ancora alzata, e il viso di Kevin resta voltato di lato quando parlo di nuovo.

La voce mi trema in modo quasi incontrollabile, e ho gli occhi pieni di lacrime.

"Tua moglie ti aspetta per pranzo, professore, non mi sembra il caso di farla aspettare. Buon appetito, e vaffanculo."

Raccolgo il mio zaino, ancora abbandonato accanto alla porta, e scappo fuori dall'ufficio.

*

James apre la porta del suo appartamento, il sorriso appena accennato sulle labbra che si trasforma all'improvviso in una piega preoccupata.

"Cos'è successo?" chiede, indagando con lo sguardo il mio viso arrossato e i miei occhi gonfi di lacrime.

Lo guardo, schiudendo le labbra: i miei passi mi hanno guidata a casa senza riflettere, e ora sono qui, davanti a lui, e vorrei raccontargli ogni cosa ma ancora non riesco.

Faccio un passo in avanti, nascondendo il viso nella sua spalla e rifugiandomi nell'odore famigliare della sua maglietta di cotone, appena impregnata di sigaretta.

"Holly..." mormora, chiudendo le braccia sulla mia schiena.

La sua barba incolta sfrega sulla mia tempia mentre rimaniamo immobili sulla soglia del suo appartamento.

Chiudo gli occhi, il ricordo dell'accusa nella voce di Kevin che scava dentro di me.

L'ho lasciato, eppure è come non averlo mai fatto: ci stiamo danzando attorno in un ballo di perdono, gelosia e accettazione, un circolo vizioso che da gennaio non finisce e continua a ripetersi e ripetersi e da cui io non trovo una via d'uscita.

La verità è che non siamo mai stati insieme davvero. Mi chiedo se un giorno tutto questo dolore prosciugherà tutto il resto – non so se voglio che accada. Non così.

"Non è niente," dico soltanto, lasciandomi trascinare senza opporre resistenza nella penombra del suo appartamento. Mi si incrina la voce.

Lo sento sospirare tra i miei capelli, la mano allargata sulla mia schiena che si irrigidisce appena.

"Certo," mormora senza convinzione, chiudendo la porta e guidandomi verso il divano.

James mi prepara un tè caldo – il rimedio universale ai mali dell'anima -, sistemandoci accanto un paio di digestive.

Mi tolgo le scarpe stringate, incrociando le gambe sul divano per quanto me lo permettano i miei vestiti eleganti – sono piuttosto convinta che ci sia un mio paio di pantaloni della tuta, da qualche parte in questa casa, e sto quasi pensando di alzarmi per cercarli quando James si siede accanto a me, lo sguardo grave.

"E' per la tesi?" chiede, spingendo verso di me il piatto con i biscotti e la tazza fumante di Prince of Wales. "Non è andata bene?"

Mi prendo qualche lungo secondo, rifugiando il naso nei profumi del tè bollente.

La rabbia che mi aveva accompagnata nella mia fuga dall'ufficio di Kevin si è persa chissà dove, sepolta dalla tristezza e dall'umiliazione.

Alzo di nuovo lo sguardo per incrociare quello di James: c'è sincera preoccupazione, nei suoi occhi blu, e allo stesso tempo qualcos'altro – dubbio. Sto mentendo, sto evitando si dirgli qualcosa: anche se non riesce del tutto a capirlo, lo sa.

"Tesoro," riprova, sistemandosi meglio sul divano e riprendendo la parola quando si accorge che non so cosa dire, "Non mi stai dando molto con cui lavorare."

"Lo so," ammetto a bassa voce.

James si sporge verso di me, cercando il mio viso con la mano per accarezzarmi delicatamente una guancia con il pollice. Piego appena la testa, rifugiandomi nel suo tocco e coprendo la sua mano con la mia.

"Ti ricordi quando ti ho detto che non dovevamo parlarne, se non volevi?" mi chiede, avvicinandomi a sé per prendermi tra le braccia.

Mi lascio cullare dal contatto fisico, e dal modo in cui le sue dita percorrono il mio braccio so che questa vicinanza è rassicurante anche per lui.

"... è stato poco prima del tuo compleanno."

Annuisco debolmente.

Me lo ricordo – il bruciore della colpa mi fa stringere lo stomaco.

Dio, sono così egoista.

Riuscirebbe ancora a guardarmi in questo modo, se glielo raccontassi? Il solo pensiero di perderlo mi spezza il cuore.

"Holly..." – James parla di nuovo, a bassa voce, quasi avesse paura di strapparmi al mio silenzio.

La mano che mi stava accarezzando il braccio risale, e io ritrovo le sue dita sul mio viso, mentre mi sporgo appena per baciarlo.

Sbatto le palpebre, gli occhi umidi di lacrime.

"Vale ancora, se non vuoi," prosegue, separandosi appena dalle mie labbra. Anche l'altra mano sale sul mio viso, ad asciugare una lacrima con il pollice. "... io però sono qui."

È qualcosa nella sua voce, e nei suoi occhi blu su di me quando appoggia appena la fronte contro la mia.

È un parlami, Holly, parlami – aspetterò ancora un po', ma tu parlami, ed è una pazienza che non merito – che so di non meritare.

Di nuovo, la voce di Kevin mi graffia le tempie.

Come sono ci sono arrivata, io, a questo punto?

*

Il finesettimana arriva e passa in un battito di ciglia: i miei schemi per le battute finali della tesi vengono sepolti sotto i fogli di nuovi esercizi di linguistica generale, come se fosse sufficiente a cacciare dalla mia mente il ricordo del mio ultimo incontro con Kevin e la nausea che mi assale ogni volta in cui penso che prima o poi dovrò tornare in quell'ufficio, a discutere davvero del mio elaborato.

James è impegnatissimo al Nelson – le serate più affollate del pub sono di solito per me soltanto una scusa per tenergli compagnia oltre il bancone; questo sabato chiedo a Will di affidarmi il turno serale a La Libellula dopo l'inventario del mattino, per sentirmi meno in fuga da me stessa e più impegnata.

Sulla strada di casa prometto a James di scrivergli dopo cena, e rispondo anche ad Esme che reclama un appuntamento serale via Skype con vino e pigiama.

Non provo neanche a sistemarmi sul divano, scegliendo direttamente di infilarmi sotto le coperte e sistemarmi il pc sulle gambe; in pochi secondi, dallo schermo del computer, una Esme accoccolata sulla poltrona accanto al camino spento del suo salotto osserva dubbiosa la mia tazza di tè.

"Niente vino?" chiede con un sorriso, alzando il suo calice di rosso per berne un sorso.

Mi sorride con dolcezza, e io non riesco a fare altro che rifugiarmi – come sempre – nella mia tazza di tè, il pensiero di Jane McKidd che si affaccia alla mia mente all'improvviso.

"Niente vino," ripeto debolmente, la voce piccola.

Il sorriso di mia sorella vacilla appena, e io cerco di recuperare raccontandole dell'inventario in libreria e degli ultimi libri per cui ho quasi speso il mio stipendio, per poi chiederle come procedono le cose lì a casa.

"Alex sta rileggendo Harry Potter," mi racconta.

Finisco il mio ultimo sorso di tè, allungandomi senza far cadere il pc per sistemare la tazza vuota sul comodino. "Piccolo Corvonero," osservo con un ghigno, pensando a mio nipote, così silenzioso e maturo per i suoi undici anni.

Esme ridacchia, il calore nella voce quando prosegue, "... ieri sera l'ho trovato in camera dei gemelli, stavano leggendo Il Prigioniero di Azkaban. Te lo giuro, il mio povero cuore è cresciuto di tre taglie."

Mi unisco alla sua risata, "Questo è perché sei una povera Tassorosso, come me," dichiaro, saputa, "... una povera Tassorosso sposata con un Serpeverde."

"Ehi!" ribatte, il sorriso ancora sulle labbra. Agita il bicchiere di vino vuoto, "Dylan non è un Serpeverde," proclama, indignata davanti alla mia linguaccia, "... e questa tua abitudine di assegnare case di Hogwarts alle persone sta diventando preoccupante."

Dylan è un Serpeverde eccome, vorrei dirle, ma alla fine decido con una risata di non insistere. Le chiedo di riaggiornarmi sulla situazione Amelia-Connor, ora che il mio suscettibile cognato non è a portata d'orecchio, e mentre Esme mi ragguaglia sulle ultime avventure del nostro uragano Amelia, il mio cellulare vibra sul comodino.

Due compleanni e una squadra di rugby che deve aver vinto la partita della vita, se consideri le quantità industriali di Lagavulin che mi stanno facendo tirar fuori. Tu che fai? ;)

Sorrido, immaginando il famigerato sopracciglio inarcato di James privo di poteri davanti a un compatto gruppo di rugbisti.

"Holls?" – riporto lo sguardo allo schermo del pc, incrociando gli occhi esitanti di mia sorella. Una sensazione di déjà-vu mi attraversa quando ricordo una sera d'autunno – ero seduta sul divano a parlare con lei e Kevin mi ha detto che il menù del mio ristorante thailandese preferito sta facendo da segnalibro alla sua copia dell'Edda. "E' James?"

Annuisco, mordendomi un labbro ed evitando di incrociare di nuovo i suoi occhi mentre scrivo rapidamente un messaggio di risposta.

Chiacchiero con Esme via Skype. Sono carini questi rugbisti? ;D

Torno a concentrarmi sullo schermo del mio computer, continuando a tenere il cellulare tra le mani: mia sorella mi sta già osservando.

"Le cose vanno bene?" chiede, incerta.

"Sì."

Si passa una mano tra i capelli, sospirando, perché sa che i miei monosillabi non sono mai molto promettenti. "Avevate litigato, quando sei tornata casa?"

Scuoto la testa, le unghie dell'indice e del medio che iniziano a strappare la pelle del pollice, come ogni volta in cui sono nervosa. "No, no, io-" – una nuova vibrazione nella mia mano annuncia l'arrivo di un messaggio. – "... anzi. Sono felice, è che-"

Mi mordo il labbro, prendendo tempo sbloccando lo schermo del cellulare. Esme, nel frattempo, mi legge come un libro aperto, da qualsiasi distanza.

"... stiamo parlando di un livello piuttosto serio di felicità, Holls, per farti preoccupare così tanto."

Sono ubriachi, principalmente. Vicky regge l'alcol molto meglio di loro. ;P

(te la farò pagare, sappilo.)

Oh, non vedo l'ora. ;)

Alzo la testa, esponendomi completamente allo sguardo saputo di mia sorella, e non riesco a trattenere un mezzo sorriso annacquato di lacrime.

Mia sorella sa sempre tutto.

Beh, quasi tutto


Ehilà, ciao a tutti! 

Eccoci tornate dopo un breve periodo di pausa dovuto a necessità logistiche (metà del team era in Islanda!), pronte ad accompagnarvi verso gli ultimi capitoli delle avventure di Holly, Vicky e Piper! Ebbene sì, noi tre siamo state le prime a cominciare a scrivere e siamo ormai alle battute (quasi!) finali delle nostre trame: questo non significa che a conclusione sfornata smetteremo di scrivere delle nostre protagoniste o dell'universo che abbiamo creato! Io per prima posso anticiparvi di avere in costruzione un bel po' di one-shot, ma comunque non temete, Sibyl e Liz resteranno a farvi compagnia ancora per molto tempo!

Su questo capitolo, ehm, che dire? Scrivere di Holly e Kevin mi ha strappato il cuore, come ogni volta, perché chiaramente nessuno dei due sa più come comportarsi attorno all'altro e c'è tutta questa matassa da sbrogliare - Holly per prima è in crisi, in crisi con sé stessa, ed è chiaramente troppo coinvolta per riuscire a trovare le proprie risposte. Vi aspetto venerdì prossimo con il capitolo 40, ma voi fatemi sapere cosa ne pensate! Ho rivisto in questi giorni la mia scaletta, e al momento conteggio 41 capitoli e un epilogo.

A venerdì, e buon fine settimana! ;)

Holly

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro