VENTISEI

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CAPITOLO 26 | WHISPERS IN THE DARK, STEAL A KISS AND YOU'LL BREAK YOUR HEART

"where do we go from here my love

when it's over and i'm standing between us

whose side do i run to

when every nerve in my body is pulsing for you

when my mouth just waters at the thought

when you are pulling me in just by standing there

how do i turn around and choose myself"

(Rupi Kaur)

*

PIPER se ne va da Oxford nella più bella giornata di sole che questo inverno abbia conosciuto.

Oh, l'ironia.

È sabato mattina.

Abbiamo bevuto tutte insieme un simbolico caffè al bar della stazione – così calme, così in silenzio -, e poi io e Vicky l'abbiamo aiutata a trascinare tutti i suoi borsoni sul marciapiede affollato del binario.

L'ho salutata per prima, perché sapevo, anche senza chiederlo, quanto l'ultimo abbraccio dovesse essere quello di Vicky. Si è rifugiata nella mia stretta e non mi è mai sembrata così piccola e indifesa come in quel momento, circondata dalle sue valigie – nascondiamo i ricordi nei cassetti e nei borsoni, con la speranza che non trovino più una via d'uscita -, tutta capelli arruffati e occhi umidi.

Avevo la voce stretta dal nodo alla gola, ma finalmente avevo trovato le parole giuste.

"Ci vuole coraggio ad abbandonare casa per inseguire i propri sogni, credimi, lo so," – le ho detto all'orecchio. Ho provato a sorridere, sciogliendo appena il nostro abbraccio per asciugarmi una lacrima. Sono mamma Holly, qui, devo cercare di fare del mio meglio. – "... ma penso anche che ce ne voglia molto di più a lasciarsi i propri sogni alle spalle per fare la cosa giusta."

Si è ributtata tra le mie braccia, i singhiozzi nascosti nel mio collo e la voce sottile che diceva mamma Holly.

Ho alzato gli occhi al cielo sereno con un sorriso. Stavo piangendo anch'io. "Gesù, se sono vecchia," ho mormorato, sfoderando la mia migliore voce burbera.

Un piccolo singhiozzo si è trasformato in una mezza risata, e io ho capito che era così che volevo lasciarla, con il sorriso sulle labbra. Sei la persona più coraggiosa che conosca, amica mia.

Mi sono fatta da parte, arretrando di qualche rispettoso passo per lasciare a lei e a Vicky un momento che sia soltanto per loro.

Quando il treno è partito, ho stretto le dita di Vicky nelle mie. Abbiamo continuato a salutare con le mani libere, lo sguardo di Piper puntato su di noi fino a che non è sparita alla nostra vista.

*

Lunedì è già marzo, ed è anche il giorno in cui ricominciano le lezioni.

Benvenuto, mio ultimo semestre.

Ho trascorso la domenica a ingozzarmi di gelato e a guardare commedie romantiche di dubbio gusto sul mio divano – volevo iniziare ad essere una persona nuova dopo gli esami, ma mi sono resa conto di essere stata troppo generica nella formulazione del mio desiderio: il giorno perfetto per i buoni propositi deve essere obbligatoriamente il lunedì.

Alle undici spaccate inizia il corso di storia e critica del cinema, l'unico che dovrò seguire fino a maggio. Ancora pochi, ultimi sforzi, e quel capitolo della mia vita che è stato l'università di Oxford potrà dirsi concluso – non so come sentirmi, quando ci penso.

Quando sono le dieci e un quarto, mi sistemo lo zaino sulla spalla e raggiungo la porta di casa dei miei vicini: giovedì sera, quando ci siamo viste, tra una tazza di tè e un'altra io e Sibyl siamo riuscite a chiacchierare di quello che ci aspettava con l'arrivo della primavera, ed è stato così che ho scoperto che anche lei deve seguire cinema.

Mentre busso due volte alla porta di legno, spero solo che si ricordi di avermi chiesto di andare a lezione insieme.

"Eccomi, eccomi!" annuncia una voce trafelata.

La porta si spalanca e mi ritrovo davanti Sibyl, con il fiatone e lo zaino sulle spalle.

"Come sei carina!" la saluto con un sorriso, osservandola sistemarsi dietro le orecchie una lunga ciocca di capelli. Arrossisce, ricambiando timidamente la mia espressione, mentre io mi annoto che forse i complimenti la fanno sentire a disagio.

Ci avviamo chiacchierando giù dalle scale e poi in strada, dirette verso l'università. Il cielo alterna spicchi di sole a nuvole scure, in questa giornata non così fredda ma comunque ancora invernale. Controllo nello zaino di essermi portata l'ombrello, mentre ci fermiamo a un semaforo per attraversare.

"Dobbiamo andare a prendere Victoria?" mi chiede Sibyl, mentre raggiungiamo l'altro lato del marciapiede.

Scuoto la testa, passandomi una mano tra i capelli sciolti. "No, ha detto che si fa trovare direttamente in aula," rispondo, trattenendo un sospiro.

Il pensiero di Vicky trascina con sé quello di Piper – e non è che io non voglia pensare a lei, è solo... è tutto troppo fresco, ed è qualcosa a cui non sono ancora in grado di guardare con lucidità.

"Pranziamo insieme oggi?" aggiungo, cercando di recuperare la mia allegria.

Sibyl annuisce con un sorriso, e io le sono davvero grata per la silenziosa comprensione che viaggia tra di noi in questo momento. Aveva questo stesso sguardo quando mi ha chiamata pulcino e invitata a casa sua, giovedì sera sul bancone – e all'improvviso ricordo cosa volevo dirle già da quella notte.

"Sai, mi piace Dev. Siete carini insieme," le faccio notare, pizzicandole un fianco.

Mi guarda, spalancando quei suoi occhi azzurri mentre le sue guance si colorano di rosso e io non riesco a trattenere una risata.

"Grazie..."

"Come vi siete conosciuti?"

"Ehm..." – balbetta, mentre ormai arriviamo in prossimità degli edifici universitari. - "Al Nelson, una sera..."

Le batto un rassicurante colpetto sulla spalla, decidendo di concederle un po' di tregua. "Sai," le dico, ricordando quel frammento di conversazione che ho avuto con Dev quella sera, sul balcone. "... credeva che fossi la ragazza di James," racconto con un sorriso divertito. Oh, Dev, sei davvero adorabile.

Sibyl mi guarda, recuperando tutto il suo spirito in meno di un secondo. "Perché," mi fa notare, inarcando un sopracciglio in una delle migliori e allo stesso tempo peggiori imitazioni del mio barista preferito. "... Non lo sei?"

Ammicca, e io vorrei ridere ma anche nascondermi dall'imbarazzo. No che non lo sono, e non voglio esserlo e lui non vuole che lo sia – quello che facciamo nel nostro tempo libero ha ben poco a che fare con l'essere la ragazza di qualcuno, e dio mio perché mi sto già mangiando il cervello pensandoci troppo su?

Sibyl, soddisfatta, decide di accorrere in mio soccorso, deviando la conversazione sui dettagli del corso che stiamo per iniziare. Le racconto dell'entusiasmo di Emily, che lo ha inserito tra i crediti liberi a disposizione della magistrale di Filologia lo scorso anno, e dell'entusiasmo con cui me ne ha parlato – a dirla tutta, ha parlato con davvero molto trasporto sia della professoressa Monica House sia, e soprattutto, del suo assistente, il professor Robert Carling.

In aula, il mio entusiasmo subisce una violenta battuta d'arresto quando scorgo la figura di Vicky – è seduta in fondo alla classe, abbandonata con la testa sul banco. Faccio un respiro profondo, e decido che cercare di tirarle su il morale è sicuramente un'opzione più praticabile che intristirmi insieme a lei – devo provarci, almeno.

*

Durante le due ore che seguono, imparo molte cose.

Il professor Robert Carling è realmente bello da togliere il fiato: troppo alto e smilzo per essere davvero il mio tipo, e anche troppo poco indecente – il solo pensiero mi fa spuntare un sorriso sconsolato -, ma tant'è, voglio dire, non sono di certo cieca. Per di più, è davvero bravo – spiega con calma e semplicità, ripetendo più volte i concetti fondamentali per essere sicuri che tutti lo stiano seguendo, ed è così lampante che il cinema sia la sua passione che non posso fare a meno di provare un istantaneo trasporto nei suoi confronti.

Credevo di aver esaurito le rivelazioni per questa giornata, e mi sentivo piuttosto soddisfatta – è stato allora che ho scoperto che Robert è il fratello maggiore di Sibyl: quando lui si è voltato per scrivere il proprio nome alla lavagna, dopo essersi presentato, la mia amica si è ficcata due dita in bocca e ha lanciato un fischio di apprezzamento che mi ha quasi fatto cadere dalla sedia. Ho visto le sguardo rassegnato negli occhi del professor Carling, mentre Sibyl sorrideva entusiasta davanti ai miei occhi sgranati: Holly, non ti avevo ancora parlato di mio fratello Robert?, mi ha chiesto con voce angelica.

Non sapevo se colpirla o abbracciarla.

*

Alla fine della lezione, riesco a convincere Vicky a pranzare con me e Sibyl, giusto in tempo per sentirmi dare buca dalla mia furia rossa preferita dopo una rapida chiamata sul suo cellulare. La saluto con un abbraccio, interrogandomi per un lungo istante su quanto possa essere frenetica la vita della signorina Carling, e poi prendo Vicky per mano con un sorriso.

So esattamente quello che le ci vuole.

*

Lo yogurt gelato è la cura ad ogni male, e se non lo è per davvero, beh, dovrebbe esserlo.

Will è seduto al suo posto alla cassa, osservando me e Vicky che ci aggiriamo tra gli scaffali de La Libellula, completamente rapite dagli scaffali della sezione di letteratura classica.

"Lo sai che questo non conta come straordinario, non è vero?"

Alzo lo sguardo dal mio libro di lirici greci, facendo una linguaccia divertita al mio capo a cui lui risponde con un lieve sorriso. Lascio correre per un istante lo sguardo sul volume che ho tra le mani, avvicinandomi a passo lento verso la cassa – c'è la traduzione, ma sul lato sinistro c'è anche il testo originale.

"Sai leggere il greco antico, Will?" chiedo, incuriosita – ho studiato un po' di latino, ma il greco rimane tuttora soltanto una astrusa combinazione di simboli.

Gli occhi di Will trovano i miei – c'è della sorpresa, nei suoi occhi, e qualcos'altro che non riesco a decifrare.

"Me la cavo," ammette, piano.

Chi ti ha ferito così tanto, tra un verso di Sofocle e uno di Callimaco?, vorrei chiedergli. La verità è che non avrò mai una risposta, ma allo stesso tempo ce l'ho già – qualcuno che te li leggeva ad alta voce con lo stesso amore con cui Kevin leggeva per me Tristano e Isotta, non è vero?

"Vorresti-" chiedo timidamente, incespicando nelle mie stesse parole. Gli porgo il libro, aperto su quella poesia di Saffo che mi ha sempre rapita. "...per favore, lo leggeresti per me?"

Will mi guarda in silenzio, con una tale intensità da spezzarmi il respiro - e io so di essere appena inciampata in qualcosa di sepolto con cura, nel suo abisso di ricordi.

La sua mano sale per un lungo momento a rigirarsi tra le dita il mazzo di chiavi della libreria, appoggiato distrattamente su una pila di libri al banco della cassa. Passa tra pollice e indice il piccolo pendente a forma di libellula, legato all'anello portachiavi da un nastro verde scuro.

Quando parla ancora, c'è una nuova calma nei suoi occhi. Mi sorride lievemente, prendendo il libro dalla mia mano, e io mi domando se tutta quella malinconia amara che ho visto nelle sue iridi l'ho soltanto immaginata.

Poi inizia a leggere per me, e anche se la lingua che parla con scioltezza è morta da millenni, io so di non essermi inventata proprio nulla.

È tramontata la luna
insieme alle Pleiadi
la notte è al suo mezzo
il tempo passa
io dormo sola.

(Saffo - frammento 81)

*

Mi rigiro la matita tra le dita, i libri aperti sul tavolo e una tazza di caffè ormai tiepido appoggiata accanto ai miei appunti.

Ho ricontrollato velocemente le poche annotazioni che ho segnato questa mattina durante storia e critica del cinema, e adesso mi aspetta un lungo pomeriggio di riflessioni sulla tesi.

Il libro di liriche provenzali, il suo libro, mi osserva, chiuso davanti a me.

Un libro non è mai soltanto un libro.

Ripenso a Will che mi legge Saffo, nemmeno un'ora fa, e allo sguardo di Vicky che fa scorrere le dita sulla raccolta di carmina di Catullo.

Non sappiamo nulla gli uni degli altri.

Due colpi alla mia porta mi risvegliano dalle mie riflessioni amare.

"Chi è?" chiedo ad alta voce, attraversando il soggiorno.

Deve essere Sibyl, perché non credo che abbia preso nemmeno un appunto oggi, impegnata com'era nell'imbarazzare suo fratello. Mi lascio sfuggire un mezzo sospiro, convinta di aver già perfettamente capito come funzionerà questo mio ultimo semestre, quando la voce dall'altra parte mi gela davanti alla porta ancora chiusa.

"Olivia, sono io."

No, ti prego, no. Il cuore mi batte rapidamente nel petto, e all'improvviso la sua pressione sulle costole è l'unica cosa su cui riesco a concentrarmi. Perché?

Apro la porta, completamente impreparata. Kevin è in piedi davanti a me, le mani nelle tasche dei jeans e gli occhi azzurri che ritrovano i miei. C'è un lieve sorriso di circostanza sulle sue labbra, ed è un'espressione che per un istante provo l'impulso di cancellare con uno schiaffo.

"Posso entrare?"

"Kevin-"

"Ti prego."

Mi sposto per farlo entrare, a disagio. Oltrepassa la soglia ed entra lentamente nel mio salotto, posando lo sguardo su quelle pareti che negli ultimi due anni sono state la sua casa – seconda casa.

Mi chiudo la porta alle spalle, sospirando e tirando su la cerniera della felpa. Lo guardo muovere un passo in più verso l'ingresso della cucina e posare gli occhi sul mio – suo – libro, appoggiato sul tavolo.

"Stai scrivendo?"

"Perché sei qui, Kevin?"

È stato il mio uomo – mai per sempre, mai del tutto.

Mi passo le mani tra i capelli, mentre lui si volta per tornare a guardarmi. So che cosa dicono i suoi dannati occhi azzurri, ma la verità è che non voglio vedere. Anche io ti amo, ma devi andare via – non è diverso da quell'ultima alba.

"Livia-"

Alzo la mano, chiudendo gli occhi per una frazione di secondo. Lui si interrompe, consapevole di quanto sentirmi chiamare in quel modo mi ferisca. Allo stesso tempo, è un suono che è sempre stato dolce su quella sua bocca così aspra.

Siamo soli, in piedi in mezzo al mio salotto, eppure è un confronto che non ha affatto il sapore della battaglia. Dovrei urlare e cacciarlo da casa mia, ritrovare dentro di me la furia cieca che ho provato quella notte, dopo che l'ho visto mano nella mano con sua moglie e i suoi bambini.

Ma ora è qui, ed è l'uomo a cui ho dato tutto quello che avevo e anche di più, e io odio far fatica a ricordarmi che hai sempre detto che il tuo matrimonio era finito, e io ti ho creduto.

"Quando sei venuta nel mio ufficio, venerdì," riprende, muovendo un istintivo passo nella mia direzione. "E hai preso il mio libro, io..."

"Lo so," dico soltanto.

Sto pensando a Tristano e Isotta, sto pensando all'Edda, sto pensando a questo libro di liriche provenzali e so che lo sta facendo anche lui. Un libro non è mai soltanto un libro. Siamo storie scritte da altri che abbiamo fatto finta fossero nostre.

Muove un passo verso di me, cauto, e io non trovo la forza di fermarlo.

Non parliamo mai troppo, io e te. Perché se è vero che non sappiamo nulla gli uni degli altri, è altrettanto vero che tu sei la persona di cui conosco di più.

Mi stringe delicatamente in un abbraccio – non so se ha più paura che lo respinga o che gli svanisca tra le dita. "Olivia..."

Non oppongo resistenza, perché ci sono punti di non ritorno anche per me. Rimango immobile, il viso premuto contro il suo petto. È qui, è lui, è con me - improvvisamente, sono di nuovo tornata in quel mondo dimenticato in cui era abbastanza.

"È andata così," mormoro con un filo di voce.

Non voglio litigare, non voglio urlare, non voglio più.

Faccio un passo indietro, sciogliendo appena il nostro abbraccio. Gli appoggio le mani sulle spalle, accarezzando con le dita il tessuto della camicia. È così facile riscoprire le proprie abitudini.

Lui mi guarda quando gli rivolgo un sorriso appena accennato, triste, e copre il dorso della mia mano con la sua, facendo scivolare il pollice sulla mia pelle. È la mano che ora porta la fede.

"... non c'è nulla di diverso dall'ultima volta in cui ne abbiamo parlato, lo sai," dico piano. "Sei ancora sposato, sei ancora abbastanza innamorato di tua moglie da provare a salvare il tuo matrimonio, evidentemente," – schiude le labbra per parlare, ma io proseguo – "Kevin, devi smetterla di torturarti," - deglutisco, cacciando fuori a stento le parole successive. Spero che anche sua moglie mi perdoni, un giorno. - "... e di torturare me."

La sua bocca si chiude sulla mia prima che io abbia il tempo di sbattere le ciglia, e io non voglio litigare, non voglio urlare, non voglio più respingerlo. Ci siamo baciati cento e altre mille volte, tra queste quattro mura. È la tortura più dolceamara per entrambi, non lo sai?

Mi bacia in un modo che credevo di avere dimenticato e che è solo suo, le mie mani che si stringono d'istinto attorno al suo collo e le sue che avvicinano i miei fianchi verso di lui.

"Kevin..."

La mia voce senza fiato che sospira il suo nome sembra spingerlo ancora di più.

Morde le mie labbra e sussurra quanto mi ama e quanto gli dispiace, in una cantilena malinconica che ascolto a metà, intorpidita come sono dalla sensazione che si è risvegliata nel mio petto al solo averlo vicino. Amore e dispiacere stanno male nella stessa frase, sussurra un angolo della mia mente. Ma questa è l'unica, l'ultima volta. È qui, è lui, è con me.

Mi stringe le braccia, tirandomi in avanti e sistemandomi davanti allo schienale del mio divano. Mi ci appoggio con una mano, l'altra che sale alle mie spalle e trova la sua nuca quando il suo viso si abbassa per baciarmi il collo.

È dietro di me, premuto contro di me e non è qualcosa che i suoi pantaloni o la stoffa sottile della mia tuta possano nascondere. Una delle sue mani sale sotto la mia maglietta, trovando i miei seni nudi. Mi accarezza e io mi spingo contro di lui quando il suo naso sfrega sul mio collo. Il suo respiro scivola sulla mia pelle e io stringo le dita tra i suoi capelli. Livia, Livia, Livia, continua a ripetere, e io so che domani farà di nuovo male.

La sua mano sinistra scivola dentro i miei pantaloni, sotto il cotone degli slip e direttamente nella mia pelle. La sensazione delle sue dita dentro di me, della facilità con cui conosce ogni singolo gesto capace di spingermi sempre più vicina al limite, è abbastanza da togliermi il fiato.

Piego il capo all'indietro, la nuca nell'incavo del suo collo e gli bacio il mento mentre nascondere un gemito. La sua mano destra, quella che non è impegnata dentro di me, scivola dal mio seno, allargandosi sul mio addome, a tenermi la schiena premuta contro il suo petto.

Il mio cellulare trilla improvvisamente, le note allegre della suoneria che si diffondono nel mio salotto, completamente fuori posto mentre sono a due passi dall'orgasmo.

Ho il respiro affannoso mentre stringo lo schienale del divano con tanta forza da far diventare bianche le nocche. Chiudo gli occhi. Kevin continua a muovere le sue dita su di me.

"Non rispondere..." sussurra nel mio orecchio, la barba che sfrega sulla mia guancia. "Livia..." Cosa diavolo sto facendo?

Riapro gli occhi, cercando con sguardo vacuo il mio cellulare. È appoggiato sul tavolino basso davanti al divano, e quando leggo sullo schermo il nome della persona che mi sta chiamando non posso fare a meno di corrugare la fronte.

James?

Prendo il polso di Kevin e lentamente sfilo la sua mano dai miei slip, sciogliendomi dalla sua stretta e aggirando il divano per raggiungere il cellulare.

Mi passo una mano tra i capelli, in precario equilibrio sulle gambe, e guardo in tralice Kevin che si riaggiusta la camicia e l'ovvia eccitazione nei pantaloni. Respira, Holly, respira.

"Ehi," saluto, cercando di fare del mio meglio per non sembrare senza fiato. "Tutto bene?" chiedo, cercando contemporaneamente di risistemarmi la maglietta.

"Ehi," mi saluta James dall'altra parte. Nei pochi secondi di silenzio che seguono, mi rendo conto che non sa come continuare. "Ascolta, sono al pub e c'è qui la tua amica, Vicky..." aggrotto le sopracciglia, cercando di processare questa informazione. "... ha bevuto circa una bottiglia di tequila e non sta molto bene."

"Oh, merda," mi sfugge. Ripenso a quanto i suoi occhi sembrassero distanti, oggi, e so che avrei dovuto prestare più attenzione. Kevin mi osserva interrogativo, in attesa. "Ha già vomitato?" mi costringo a chiedere, continuando a torturarmi una ciocca di capelli.

Dall'altra parte, sento James sospirare. "No, non ancora, ma credo sia il caso che tu la venga a prendere-" smette di parlare, e per un momento sento solo un rumore e una protesta flebile da quella che sembra la voce di Vicky. "...Sì, ecco, vieni, per favore."

"Arrivo, tranquillo. A tra poco."

"Grazie. A tra poco, Galway."

Chiudo la conversazione, e mi rendo conto che mi tremano le dita.

"Devo andare," sussurro, immobile in mezzo al salotto.

"Cosa è successo?"

Kevin muove un passo per aggirare il divano, e io faccio istintivamente un passo indietro. Mi guarda, e so che il mio scatto improvviso ha avuto la stessa potenza di uno schiaffo.

"Una mia amica-" balbetto, distogliendo lo sguardo. Prendo uno degli elastici per capelli che tengo al polso e iniziando a farmi la coda. "... lei... non sta molto bene e io- devo- devo andare a prenderla."

Vorrei posare gli occhi dappertutto, dappertutto tranne che sul suo viso. Come sarebbe finita, se non ci avessero interrotti? Che domanda stupida. Io, sono una stupida.

Mi muovo per la casa, agitata e senza sapere bene cosa fare. Recupero le scarpe da ginnastica e la giacca dalla mia stanza, decidendo di non avere tempo per cambiarmi.

Kevin rimane immobile al centro del mio salotto – quando gli passo accanto, ignorando prepotentemente e forzatamente la sua esistenza, mi afferra gentilmente per il braccio che non tiene la giacca.

"Vuoi che ti accompagni?" chiede, costringendomi a incontrare il suo sguardo.

"No, no," ripeto, sfuggendo alla sua stretta. "Tu vai pure, me la cavo da sola," – faccio un respiro profondo. Sento il cuore che mi batte velocissimo nel petto. Per quanta aria inspiri, non mi sembra mai abbastanza. – "... credo che dovresti andare."

La sua mano – la mano che porta la fede, le dita che erano dentro di me – rimane sollevata nel vuoto per un istante.

Mi guarda, e io rimango ferma, il respiro rumoroso nel silenzio che è calato sulla stanza. Ho le scarpe in una mano e la giacca nell'altra, e sento gli slip umidi dove le sue dita mi hanno accarezzato. Non ho addosso un reggiseno, e più lo guardo e più vedo solo la fede al suo dito – più mi ricordo che sono una stupida, e più vorrei piangere. Dovrei essere migliore di così.

"Ti prego, devo-"

"Va bene." - Alza le mani in segno di resa, ma riesco a leggere tutta l'esasperazione nei suoi occhi azzurri. Non è finita. Finirà mai? – "Va bene," ripete, facendo un passo indietro verso la porta. "Stammi bene, Olivia."

Si volta, e io vorrei dire qualcosa – ti amo anch'io, mi dispiace. Schiudo le labbra, ma la porta si è già chiusa alle sue spalle.


Ciao a tutti! Il team di this_is_a_puzzle torna dopo una settimana di pausa, finalmente con l'aggiunta della dolce Liz, pronta a stupirvi e addolcire le vostre giornate con una storia tutta a tema Tom (Will) Hiddleston!

Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, e soprattutto non perdetevi Victoria's state of mind di lunedì per capire cosa diavolo è successo a Vicky!

Un bacio,

a venerdì!

Holly

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