❄️ Davion ❄️

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Guardai la ragazzina andarsene con fare evidentemente irritato. Le sue gambe si muovevano veloci sotto il peso delle cianfrusaglie scolastiche tenute nella piccola cartella in pelle che portava a tracolla. Sembrava che volesse scappare da me il più in fretta possibile e liberarsi del mio sguardo, come avrebbe fatto chiunque altro. Sorrisi al pensiero, faceva bene a provare inquietudine. Odiavo le persone come lei, erano vuote e sciape; senza sapore e senza alcuna virtù.

Dovevo riconoscerlo, però, avevo notato nei suoi occhi marroni come il tabacco un minimo di coraggio in lei che la contraddistingueva. Un'altra persona si sarebbe dileguata in men che non si dica dopo quella gaffe con il Sottoscritto, avrebbe evitato il Mio sguardo come la peste, cercando di far uscire in qualche modo il fiato dalla bocca per scusarsi dell'accaduto. Lei, d'altro canto, non si era comportata proprio così. Aveva addirittura osato incolparmi, quando persino un miope disgraziato senza occhiali si sarebbe accorto della sua evidente colpevolezza.

Continuai il tragitto verso l'uscita della scuola. Il chiacchiericcio che vedeva Me protagonista me lo portai dietro, come sempre. Avevo un udito al di fuori del comune, riuscivo a sentire pur anco il battito d'ali di una mosca in mezzo a una piazza affollata. Erano stolti coloro che credevano che io non sentissi, e del tutto imbecilli e senza sale in zucca quei pochi che parlavano malamente di me. Anche se sapevo sarebbe bastata un'occhiata nel momento giusto per fargli cambiare idea. Mi sentivo adulato e rispettato, come al solito. Mi sentivo Me, come sempre.

Raggiunsi il cancello, e riconobbi i passi di Valentine corrermi dietro finché non mi raggiunsero. Feci finta di niente, ne avevo avuto già abbastanza di lei per oggi. La ragazza non si diede per vinta, e quando era già vicina cercò anche di chiamarmi. Continuai imperterrito, sperando la smettesse. C'erano diverse persone che ci dividevano, ma lei non si arrese e si fece strada tra gli studenti, fino a che non poté prendermi per una spalla, costringendomi a girarmi.

«Davion!» Il suo fiato era pesante e affaticato, e il suo generoso seno si gonfiava e si muoveva scandito dai suoi respiri. Mi aggradava alla vista, nonostante lei fosse una senza cervello.

Tornai a guardarla negli occhi, ma lei non rispose. Sembrava aver perso la lingua. Il suo sguardo era focalizzato nel vuoto e io ero indeciso se credere che si fosse davvero dimenticata di ciò che stava per enunciare, o se fosse troppo mortificata dalla mia seducente presenza per continuare.

«Davion...» ripeté. Alzai un sopracciglio, turbato dalla situazione che si era creata. La ragazza aveva ripetuto il mio nome, eravamo circondati dall'andirivieni di persone dinnanzi al cancello, e stavo iniziando a seccarmi.

Notai in lontananza, dietro di lei, due occhi scuri che mi guardavano. Non ebbi nemmeno voglia di voltare il mio sguardo in quella direzione, non mi sarebbe servito a niente. Sapevo che solo una persona aveva la faccia tosta di osare poggiare i suoi occhi su di me in quel modo così riprovevole e ricolmo di disgusto. La stupida ragazzina era sicuramente preoccupata per la sua amica qui di fronte, che ancora non si affrettava a parlare. Non le davo torto, d'altronde ero Io il suo interlocutore. Oltre che coraggiosa, però, la ragazza dal viso sporco dalle lentiggini sembrava anche perspicace, ma era del tutto deficiente di buonsenso, e ciò era una carta a suo sfavore.

«Davion.» La voce di Valentine indirizzò nuovamente la mia intenzione su di lei, mi prese una mano e se l'avvicinò al viso. «Sono stata felice di aver passato del tempo con te oggi» esclamò mentre stringeva la mia mano a sé, permettendomi così di sfiorare il suo petto esposto dalla scollatura con il dorso della mano.

Valentine mi eccitava sessualmente, anche se non la sopportavo ogni qual volta aprisse bocca, ma era un target facile, quindi sorrisi di risposta, permettendole di continuare.

«Mi farebbe piacere se potessimo vederci fuori scuola, un giorno di questi» disse tutto d'un fiato, senza il coraggio guardarmi in viso.

Rimasi in silenzio, mentre intorno a noi si era creato quasi uno spettacolo a cui tutti si sentivano in diritto di poter osservare. Amavo essere al centro dell'attenzione, ma non quando era colpa degli sbalzi ormonali di una mia ammiratrice. Per un attimo mi sentii stupido, quindi ritirai la mano e la presi per un braccio, come per spronarla a camminare.

Lei non capì subito, ma poi mi seguì. Una volta usciti dalla folla, finalmente iniziai a spiegare le ragioni di quel gesto.

«Scusami» dissi, stringendo la sua mano. «Non volevo parlare in mezzo a tutta quella gente.»

Lei si guardò intorno, tornando, forse, con i piedi per terra, e mise a fuoco una volta per tutte ciò che stava facendo. Diventò rossa in viso e abbassò lo sguardo.

«Scusami tu, sono una stupida...»

Fece per parlare di nuovo, ma con un dito serrai le sue labbra. «Potremmo vederci un film, un giorno di questi.» Pronunciai quella frase con lo stesso tono con cui lei aveva pronunciato la sua. Ormai ero un maestro del bluff, sapevo fingere bene, soprattutto con le donne. Molte di queste erano facilmente malleabili, e Valentine lo era sicuramente.

Quest'ultima, appena scandii bene le mie parole nel suo cervello, aprì la bocca e sospirò di gioia, forse un po' troppo rumorosamente. Eravamo più distanti dalla folla, ma c'erano diversi studenti che ci passavano a fianco.

Mi misi un dito di fronte alle labbra, come per dirle di fare silenzio, e sorrisi. Lei era ricolma di gioia, anche se mi conosceva da appena ventiquattro ore. Questa volta è stata persino più facile delle altre, miglioro anno dopo anno, pensai per un momento, scuotendo la testa.

Le presi la mano e la accompagnai verso il centro del marciapiede.

«Il mio appartamento è verso questa direzione» dissi, indicando la strada alla destra del cancello del college.

«Anche casa mia!» rispose Valentine, entusiasta di passare altro tempo con Me.

«Anche la mia» esclamò una voce femminile che risuonava come uno stridio tra le mie orecchie, così odiosa che la rendeva facilmente distinguibile tra mille strumenti scordati o logori assegnati a persone del tutto incapaci di poter suonare una semplice melodia.

«Cecile!» esclamò Valentine. «N-non eri andata a casa?» balbettò, come se volesse incriminarla.

«Sì, ti stavo aspettando. Dovevamo andare a casa insieme oggi, non ricordi?» incalzò la ragazza castana, senza nemmeno guardarmi. Presi il gioco come una sfida, e iniziai a fissarla insistentemente, senza farmi vedere da Valentine. Non che se ne sarebbe mai accorta, ma cercai comunque di non dare nell'occhio.

«Ma io...» sussultò Valentine combattuta, rimanendo in silenzio per pochi secondi.

«Davion non ha amici, volevo fargli compagnia» continuò poi, trovando finalmente una scusa, anche se non del tutto convincente, per farle capire che non era bene accetta.

Cecile mi guardò per un solo istante, e in quel momento capii che avevo vinto io. Sbuffò e corrucciò le sopracciglia, come una ragazzina a cui veniva tolto dalle mani il suo giocattolo preferito. D'altronde, la situazione non era molto diversa.

«Allora vengo anch'io con voi» sbottò di colpo, facendo qualche altro passo mentre spingeva piano l'amica, come per dirle di andare avanti.

Alzai un sopracciglio, la testardaggine di quella ragazza continuava a infastidirmi. Valentine sarebbe persino caduta tra le mie braccia, forse, se ne avessi avuto voglia quest'oggi. Non sapeva resistermi, ma la sua odiosa amica continua a mettersi in mezzo.

Valentine mi guardò sconfitta, come per scusarsi della sua amica appena lei non poteva vedere. Sorrisi, cercando di sembrare come se non me ne importasse nulla.

«Adesso che ci penso...» disse dopo appena qualche passo, con gli occhi azzurri indirizzati verso Cecile. «Perché non vi siete salutati per niente?»

Cecile rimase di ghiaccio di fronte a quelle parole. Sorrisi divertito, mi piaceva vederla agitata e tesa. Io, al contrario, ero totalmente tranquillo. Lasciai trascorrere qualche secondo di proposito, riuscivo quasi a toccare l'ansia che si spargeva dal suo corpo, come se fosse diffusa tramite osmosi.

Cecile mi guardò, capendo che avevo già la risposta, e si morse un labbro. Capii che l'avevo messa in difficoltà di proposito, e in quel momento aprii bocca.

«Ci siamo salutati dentro il college» dissi, con un tono un po' deluso. «Io le sono andato a sbattere senza nemmeno accorgermene come uno stupido, ho provato a chiederle scusa...» continuai, lasciando sottintendere che lei non mi aveva proprio perdonato.

Valentine guardò Cecile, che non riuscì a oscurare quella sua espressione di ribrezzo rivolta ai miei confronti. L'avevo presa in contropiede, e la sua amica era così soggiogata da me che avrebbe creduto a tutto.

«Davvero Cecile?!» chiese sbigottita. «Ti ha chiesto scusa!» continuò senza nemmeno darle tempo di rispondere.

Cecile inspirò, come per cercare di mantenere la calma che ormai scarseggiava in lei.

«Non sono arrabbiata con lui, ti pare!» disse. «È stata anche colpa mia, gli ho quasi tagliato la strada.»

Cecile cercava di sforzare il sorriso più falso che poteva. Ai miei occhi attenti non poteva niente, ma Valentine le credette.

«Mh... mi stavi quasi facendo preoccupare! Non è da te arrabbiarti in quel modo.»

«Davvero, non ho niente contro di Davion, e spero che anche lui non provi rancore nei miei confronti.»

Gli occhi di Valentine si spostarono verso di me, aspettando, desiderosi di vedere le mie labbra muoversi sino a pronunciare ciò che lei si aspettava.

«Io?» dissi, fingendomi stupito da quella che poteva sembrare un'accusa. «Non ho niente contro Cecile, anzi! Mi sembra una ragazza tanto a posto» mentii amabilmente, e riuscii a notare i denti di Cecile stringersi dalla rabbia. Valentine quasi mi saltò in braccio dalla contentezza che non riusciva a mantenere.

«Anzi, vuoi una conferma?» chiesi a Valentine, la quale mi guardò attendendo che continuassi. «Per me siamo amici io e Cecile» dissi, porgendo la mia mano verso di lei in segno di amicizia. La povera disgraziata, con gli occhi della sua amica addosso, non poté far altro che porgere anche la sua, calda e morbida in confronto alla mia.

Continuammo la strada verso il mio appartamento, sino a che non incrociammo la via sulla quale abitavo. Non volevo che loro mi seguissero ancora, fin sotto il mio appartamento.

«Io abito qui, in fondo alla via sulla sinistra» dissi, facendo un gesto vago.

«Beh, allora ti accomp...» disse subito Valentine, ma io la interruppi con un gesto.

«Vado da solo, state tranquille! Ci vediamo domani» le salutai, aggiungendo un gesto della mano.

Valentine acconsentì, e Cecile voltò gli occhi al cielo come per ringraziare di non dovermi subire ancora. Mi odiava, e a me piaceva prendermi gioco di lei.

«A domani, Davion!» 


Capitolo scritto da AlexisSanset

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