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Era sola, intrappolata su una nave che andava incontro alla distruzione. La Vanguardia stava sprofondando nell'atmosfera di Sieben. Il destino di Rose era bruciare viva, e poi essere disintegrata. I suoi atomi, mischiati a quelli della nave, si sarebbero sparsi su tutto il pianeta.

"Potevi. Dirmelo. Subito" ringhiò Rose.

"Ops", rispose la voce dell'assistente. "Mi dispiace."

"Vuoi dirmi a cosa servi, se non mi avverti neppure che la nave sta per essere distrutta?"

"Ho applicato il protocollo di emergenza. Ho provveduto a disattivare il koglast. Sto mantenendo i parametri di controllo ambientale della nave entro limiti accettabili."

Rose cercò di recuperare la calma. Liberò nuovamente le nano. Si sollevò ancora a mezz'aria.

"Se esiste un protocollo di emergenza, come continua?"

"Suggerisco l'evacuazione della nave. Nell'hangar si trova un mezzo disponibile".

C'era ancora una speranza. Rose ordinò alla voce di darle indicazioni per raggiungere l'hangar.

Attraversò volando un labirinto di oscuri corridoi. Temette di perdersi. La voce la accompagnava suggerendole la direzione da prendere, svolta dopo svolta. Alla fine arrivò in nuovo spazio molto ampio. Non era alto come il ponte panoramico, e non c'era alcuna vetrata di cristallo per ammirare le stelle. Eppure il vuoto dello spazio era più vicino che mai. Solo pesanti paratie nere, laggiù in fondo all'hangar, separavano Rose dal gelo privo di ossigeno dell'esterno.

"Assistente... dove sono le navette?" L'hangar era completamente vuoto.

"Sono state utilizzate per l'evacuazione della nave" rispose tranquilla la voce.

"Hanno evacuato la nave senza aspettarmi?" si lamentò Rose.

"In realtà, l'evacuazione è avvenuta circa un anno fa."

Rose non capiva. Da un anno era sola sulla Vanguardia, chiusa nel koglast? In ogni caso, non aveva tempo di pensarci adesso.

"Assistente, hai detto che c'era un mezzo disponibile. Non ne vedo nessuno."

"Ti suggerisco di guardare meglio. A venti metri alla tua destra, troverai il modulo per le riparazioni extraveicolari."

Rose diresse il suo sguardo verso una zona poco illuminata dell'hangar. Vide un buffo veicolo a bolla, non molto grande, dotato di un grosso oblò sul davanti e di due braccia robotiche snodabili ai lati.

"Ma quel coso è adatto ad atterrare sul pianeta?" domandò dubbiosa Rose.

"Assolutamente no. Il modulo è pensato solo per brevi viaggi all'esterno della nave. Tentare di raggiungere la superficie di Sieben è una procedura vivamente sconsigliata."

Rose sgranò gli occhi. "E allora perché mi stai mostrando il modulo?"

"Perché è l'unica possibilità che hai di lasciare la nave" concluse serafica la voce. Dopo alcuni secondi di silenzio, aggiunse: "ops".

"Assistente, se tu avessi un collo ti strangolerei". Rose si avvicinò al portello di ingresso del modulo, sempre levitando sulle nano. Afferrò il maniglione del portello. Tirò con tutta la forza che le era rimasta. Era troppo poca. Non accade nulla.

"Assistente... non è che potresti aprire tu?"

Il portello scattò, si separò dallo scafo del modulo e scorse sul lato esterno, sibilando. Per fortuna la voce non è permalosa, pensò Rose.

L'ingresso dell'abitacolo era stretto, e l'interno del modulo, a quanto vedeva Rose, poteva ospitare al massimo due persone. Rose cercò di entrarci. Si bloccò sulla soglia. Qualcosa le impediva di proseguire. Tentò ancora. Inutilmente.

Infine comprese. Le nano attorno a lei facevano massa. Era come se il suo corpo fosse tre, quattro volte più grosso. Finché si sosteneva con le nano, non sarebbe passata dalla porta.

Fu presa dallo sconforto. Pensò di piangere, ma i suoi occhi rimasero asciutti, fissi sull'apertura troppo stretta dell'abitacolo.

"Quanto. Tempo" mormorò.

"Immagino tu voglia sapere quanto manca alla distruzione della nave. Circa undici ore."

Va bene. Forse sarebbe morta, ma avrebbe venduto cara la pelle. Per prima cosa, doveva occuparsi delle sue gambe. Avevano penzolato là sotto prive di vita per troppo tempo.

Volò fuori dall'hangar. Percorse alcuni metri lungo il corridoio. Dopo un po' si fermò. Un luogo valeva l'altro. Lentamente, Rose allentò la presa delle nano. Scivolò verso il basso, finché non sentì il pavimento sotto i suoi piedi nudi. Trasse un respiro profondo. Continuò a lasciarsi andare, finché non sentì il peso del suo corpo premere sulle gambe. Si concentrò sui muscoli delle cosce e dei polpacci, cercando di irrigidirli il più possibile. Funzionava. Era quasi in piedi sulle sue gambe, con le sue sole forze. Continuò a rilasciare peso sulle ginocchia, sul bacino, sulla sua spina dorsale.

Una fitta acuta attraversò le sue vertebre. Le gambe si piegarono. Crollò a terra come un sacco. Picchiò con lo zigomo destro sul pavimento, mentre il suo campo visivo si riempiva delle luci rosse di segnalazione poste ai lati del corridoio.

"Tutto bene, cara?" disse la voce. Rose grugnì, mentre ondate di dolore attraversavano il suo volto. Liberò le nano, e si librò nell'aria. Le sue vertebre, protestando, si distesero di nuovo. "Tutto ok" rispose Rose. "Devo solo fare un po' di esercizio".

Dopo circa quattro ore e molte cadute dopo, Rose percorreva la Vanguardia a passi lenti e incerti. Si teneva alle pareti per non cadere. Avvertiva un dolore diffuso ai lati delle cosce. Ma ora camminava di nuovo sulle sue gambe. Era come avere ritrovato una parte di se stessa.

Ebbe un capogiro. Dovette fermarsi, e tenersi alla parete con tutte e due le mani.

"È sconsigliabile fare esercizio senza idratarsi", disse la voce. "Ti ricordo che non bevi un bicchiere d'acqua da due anni."

"Giusto" ammise Rose. "Devo rimettermi in forze. Forse dovrei anche mangiare qualcosa."

Quando entrò nella sala mensa, le luci al neon si accesero lampeggiando su centinaia di tavoli bianchi desolatamente vuoti. Rose camminò lentamente verso l'espositore con le bottiglie d'acqua. Ne stappò una.

Il liquido caldo bagnò la sua lingua secca e si fece strada faticosamente lungo la sua gola. Rose rabbrividì violentemente, poi cominciò a tossire. Dovette reggersi per non cadere. Si sforzò di calmarsi. Guardò con aria di sfida la bottiglia di acqua aperta. Ne bevve ancora un lungo sorso. Si asciugò la bocca con il dorso della mano. Chiese: "Cosa offre oggi il menu?"

Entrò nella cucina deserta. Grandi pentole vuote erano sistemate sui fornelli spenti. L'attenzione di Rose fu catturata da un vano frigorifero. Il vetro dello sportello era coperto da un velo bianco. Rose lo aprì. All'interno, erano disposti piccoli vasetti di plastica. Rose lesse su un'etichetta: mousse al limone.

Rose non avvertiva nulla che potesse lontanamente assomigliare alla fame. Guardò dubbiosa l'etichetta, sui cui era riprodotta la foto di una crema giallognola.

Prese un vasetto, e strappò via l'apertura. Fissò per un attimo il contenuto alla luce incerta dei neon del vano frigorifero. Era un blocco compatto, di una materia più verde che gialla. A noi due, pensò Rose. Infilò l'indice e il medio della mano destra nel vasetto, e raccolse un po' di quella massa fredda e umidiccia. Poi, chiudendo gli occhi, se la mise in bocca.

Era aspra e dolciastra. Cercò di lavorarla un po', schiacciandola fra la lingua e il palato, vincendo l'istinto di sputare tutto. Il sapore era così violento che la fece lacrimare. Poi, l'impresa più difficile: inghiottire. Spinse giù la crema. Le si fermò in gola, ed ebbe paura di soffocare. In qualche modo, la massa scivolò verso il basso. Rose riaprì la bocca e respirò profondamente. Il primo boccone era andato. Rimise le dita nella mousse, e ricominciò da capo.

Dopo circa un'ora, la mousse era finita. Rose lasciò cadere per terra il vasetto vuoto.

"Era buona?" chiese la voce. "Ce ne sono molte altre nel frigorifero. Anche al gusto di fragola."

Rose cercava ancora di riprendere fiato. Si domandò che se non ci fosse il modo di disattivare la voce. Purtroppo, aveva ancora bisogno di lei. Guardò il camice bianco che indossava, ora cosparso di macchie gialle umidicce.

"Colazione fatta", disse. "È il momento di mettersi qualcosa di più fashion."

L'assistente la condusse in un'altra zona della nave. Si ritrovò in un piccolo magazzino. All'interno di scatoloni ordinati, decine e decine di divise attendevano solo che qualcuno le indossasse.

Erano le divise di riserva dell'equipaggio della Vanguardia. Quella boutique di fortuna offriva anche una buona varietà di misure diverse. Unica imperdonabile pecca: non c'era niente di nero.

Rose optò per quella che doveva essere la mise della divisione ingegneristica. Una giacca in similpelle leggera, bianca con una sezione rossa che partiva dalle spalle e si chiudeva sul petto. Chiusura facile e veloce con una pratica zip. Mille tasche e scoparti richiudibili, per conservare attrezzi di ogni genere. Pantaloni coordinati in similpelle, che aderivano alle sue gambe come fuseaux. Scarpe in tela rossa comode e leggere.

Rose tirò fuori dal colletto della giacca i suoi lunghi capelli neri, e li scosse con un movimento della testa. Si ammirò nel riflesso di una paratia di metallo. Non male, si disse, per essere risorta questa mattina.

"Tempo", disse.

"La nave sarà distrutta tra circa quattro ore."

Non mancava molto, ma doveva esplorare la nave un'ultima volta. Forse avrebbe scoperto qualcosa di più su cos'era successo.

Riprese a camminare lungo i corridoi, sentendosi sempre più sicura sulle sue gambe. Tornò sul punto panoramico, ma non trovò altri indizi oltre a corpi carbonizzati che aveva già visto. Girovagò per la sezione cabine, ma trovò solo qualche valigia dimenticata dagli ultimi turisti che avevano viaggiato sulla Vanguardia. Si addentrò nella sezione riservata all'equipaggio. Rivide la stanza degli interrogatori, ed ebbe un moto di rabbia, ripensando a se stessa dietro quel vetro, bloccata su una sedia a rotelle. Infine raggiunse un locale che sembrava un laboratorio abbandonato. Forse lì avrebbe trovato qualche indizio.

Sugli schermi lasciati accesi scorrevano senza fine codici incomprensibili. In un riquadro, Rose vide l'immagine di uno strano insetto bianco coperto di macchie nere.

Non vedeva niente che le suggerisse qualcosa. Poi, nella penombra, notò un contenitore. Un grosso tasto luminoso verde sembrava lì apposta per essere premuto. Al tocco di Rose, un piccolo sportello scorse di lato. Uno sbuffo di vapore si liberò nell'aria. L'interno del contenitore appariva freddo. Era illuminato da una violenta luce al neon. Al centro, su un supporto di plastica trasparente, si trovava un unico oggetto. Un piccolo cilindro metallico color magenta.

Era una siringa. Rose lo sapeva bene. La dottoressa Marley la stringeva fra le mani, quando aveva tentato di iniettarle la cura per Mercury.

Rose prese il cilindro. Era freddo. Il suo peso rivelava che era ancora pieno.

"Una puntura, e addio Mercury". Poteva iniettarsi il contenuto della siringa in quello stesso momento. Gli incubi sarebbero finiti subito. Niente più lotte sanguinarie con i samurai, niente più dei che reclamassero la sua anima.

E niente più nanomacchine, disse una voce dentro di lei. Rose strinse il cilindro con rabbia. Era vero. Stava ancora lottando per salvarsi la vita. Non sapeva quando avrebbe avuto ancora bisogno dei suoi poteri.

Rose ripose la siringa in una tasca della giacca, che richiuse con un piccolo bottone a scatto. Appena tutto questo sarà finito, si disse, mi libererò di Mercury. E delle nanomacchine.

All'interno della nave, l'aria si stava facendo soffocante.

"Assistente, come sta andando il tuffo nell'atmosfera?"

"L'integrità strutturale della nave sarà compromessa fra poco più di un'ora."

Era venuto il momento di abbandonare la Vanguardia al suo destino. Rose ritornò sui suoi passi fino all'hangar.

Il portello del modulo extraveicolare era ancora aperto. Rose osservò l'apertura stretta dell'ingresso. Si concesse un piccolo grido di vittoria, quando l'attraversò senza problemi.

Le dimensioni dell'abitacolo le suscitarono un brivido di claustrofobia. Si accomodò su uno dei due sedili, e per un attimo cercò di recuperare la calma chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, esaminò quanto aveva davanti. Un grande pannello di controllo era composto da una decina di piccoli schermi spenti. Dall'alto, due cloche scendevano davanti al suo naso.

"Assistente, ho un piccolo problema."

"Forse vuoi dirmi che non possiedi le competenze per pilotare un modulo extraveicolare" rispose calma la voce da un piccolo altoparlante dell'abitacolo.

"Una volta a scuola un ragazzo mi fatto guidare uno scooter. Ma questo mi sembra un tantino più complicato."

"Se vuoi, posso pilotare via radio il modulo. Ti descriverò le manovre che intendo effettuare, così potrai approvarle o modificarle."

Rose si massaggiò il mento. "Sai, assistente, forse ti ho giudicato male."

"Per prima cosa pressurizzerò la cabina e depressurizzerò l'hangar."

Il portello del modulo si richiuse con un rumore sordo. L'interno dell'abitacolo fu invaso da un sibilo persistente.

"Sento le orecchie tapparsi. È normale?" chiese incerta Rose. Dopo qualche secondo, il sibilo si spense.

"Provvedo all'apertura dell'hangar" continuò la voce.

Un frastuono annunciò che le paratie si stavano separando. La vastità delle stelle occhieggiò attraverso il metallo.

Rose fissò gli occhi sullo spettacolo che le si apriva davanti. Piccole scie di fuoco lambivano le paratie che si aprivano. Sotto le stelle, apparve un orizzonte immenso e ricurvo, screziato di luce cremisi in superficie. In basso, a perdita d'occhio, il cuore grigio scuro del pianeta Sieben.

Un rombo sommesso si attivò alle spalle di Rose. Gli schermi del pannello di controllo si animarono di numeri e curve incomprensibili.

"Ti stai preparando a lasciare la nave, Rose" la informò la voce.

"Aspetta, sei sicura che..."

Non terminò la frase. Il modulo si sollevò, e si diresse verso il vuoto. Rose strinse i braccioli del sedile, mentre superava le paratie infuocate. Trattenne il respiro, mentre il modulo cominciava a cadere verso la superficie oscura del pianeta, quattrocentomila piedi più in basso.

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