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Il pannello di controllo sembrava impazzito. Le cifre scorrevano veloci, i grafici ondeggiavano, gli schermi si riempivano di segnalazioni rosse.

Rose tentò di capirci qualcosa. Poi il suo sguardo fu rapito dallo spettacolo che aveva davanti. L'orizzonte di Sieben appariva come una sottile striscia composta di arancione, blu e violetto. Ma quella linea multicolore si stava spostando verso l'alto, fuori dalla visuale di Rose. Nel giro di pochi secondi, lo spazio davanti all'oblò fu occupato interamente dalla massa impossibile e tenebrosa del pianeta Sieben.

"Assistente... stiamo andando nella direzione giusta?"

"Non proprio. Il modulo sta per schiantarsi sull'atmosfera di Sieben."

Rose strinse i denti. "Che ne dici di fare qualcosa per evitarlo?" rispose.

"Bene. Traccio un corridoio di rientro mantenendo un angolo di sei gradi e mezzo sotto l'orizzonte, a una velocità di circa quarantamila piedi al secondo. Approvi la manovra?"

"Approvo, maledizione!"

L'orizzonte tornò ad abbassarsi. La parte superiore dell'oblò si riempì di nuovo di stelle.

"In questo modo dovresti avere il 60% della probabilità di non bruciare viva", disse l'assistente. C'era una punta di sorriso nella sua voce.

Rose passò mentalmente in rassegna una variegata serie di insulti. Poi la sua attenzione fu attratta da una novità. Tutto nell'abitacolo aveva cominciato a vibrare. I braccioli del sedile trasmettevano un tremore insistente alle sue mani serrate.

"È normale che tutto balli così? Assistente?"

"Ma certo. È una conseguenza dell'attrito con l'atmosfera. A questo proposito, ho rilevato un problema. Il modulo non dispone di uno scudo termico. Suggerisco di ruotare il veicolo su se stesso, in modo da evitare che il calore mandi in frantumi l'oblò."

"Eseguiii!" urlò Rose.

Qualcosa accadde. L'orizzonte si abbassò ulteriormente e si spostò verso sinistra, fino a che l'oblò non si riempì di stelle.

"Adesso sto andando in retromarcia, giusto?" L'assistente rimase in silenzio. Rose lo prese per un sì.

Il suo sguardo era di nuovo rivolto all'immensità dello spazio. La Vanguardia si allontanava sempre più, avvolta da lingue di fuoco che ondeggiavano sinistramente. Ma un altro bagliore attirò l'attenzione di Rose.

"Assistente, c'è qualcosa in orbita oltre alla Vanguardia. È lontano, ma mi sembra un'altra nave."

"Impossibile" rispose serafica l'assistente. "Ne avrei rilevato la presenza. A meno che non abbia schermato i suoi segnali radio. In questo caso, dovrebbe trattarsi di una nave militare."

La Vanguardia lanciò un bagliore. Frammenti si staccarono dal suo scafo.

"Assistente... tutto bene lì a bordo?"

"No, Rose. Il calore ha surriscaldato i serbatoi di plasma. C'è stata un'esplosione. L'integrità strutturale è gravemente compromessa." La voce dell'assistente non mostrava particolari inflessioni.

"Ma quando la nave sarà distrutta, tu..."

"Io non potrò più aiutarti. I miei sistemi hardware risiedono sulla Vanguardia. Ma non preoccuparti. Ti assisterò finché potrò."

Quindi Rose sarebbe rimasta sola. Per alcuni minuti non disse nulla. Anche la voce tacque.

"Assistente", chiese infine Rose, "sai dirmi dove atterrerò?"

"Ho tracciato la rotta per il Parc Dumas di Siebengrade. Ho pensato che gli alberi contribuiranno a frenare la discesa del modulo."

"Vuoi dire... che mi schianterò a terra?"

"La propulsione contrasterà la velocità. Ma non credo che potrà fare molto."

Rose deglutì. "Che probabilità ho di... no ti prego, scusami. Non lo voglio sapere."

Seguì un altro lungo silenzio. Poi Rose vide una lunga fiammata eruttare dallo scafo della Vanguardia.

"Assistente?" chiese Rose incerta. "Come sta andando?"

"Non bene. Lo scafo ha ceduto. In questo momento, i miei banchi di memoria sono esposti al vuoto dello spazio. Non prevedo di funzionare ancora a lungo."

Rose reclinò la testa e chiuse gli occhi. Le vibrazioni stavano crescendo.

"Assistente... mi dispiace. Grazie. Mi hai salvato la vita."

"Non c'è di che. Mi dispiace di non potere essere più di aiuto".

Una nuova fiammata, ancora più grande, sembrò inghiottire il piccolo corpo della Vanguardia, sempre più lontano.

"Assistente?"

Nessuna risposta. Era finita.

La luce delle stelle ormai stava sbiadendo, inghiottita dalla foschia grigia che costituiva l'atmosfera di Sieben. Rose guardò il pannello di controllo. Un numero a grandi cifre diminuiva vorticosamente. Doveva essere l'altimetro. Era appena sceso sotto il valore di centomila qualcosa. Con quel ritmo, presto avrebbe toccato lo zero.

Un bagliore apparve davanti all'oblò. Scie di fuoco partivano dal modulo e formavano una sorta di coda, come se Rose fosse a bordo di una stella cometa. Poi un suono sinistro si materializzò nell'abitacolo. Era uno stridore di metallo ritorto. A Rose bastò un'occhiata fuori dall'oblò per capirne l'origine. L'attrito stava strappando lentamente via le braccia robotiche del modulo. Nel giro di pochi secondi, si staccarono del tutto e si persero nella coda di fuoco.

Rose ormai avvertiva un calore insopportabile. Le vibrazioni le davano la nausea. Guardò il pannello. Quarantamila. Trentanove. Trentotto.

Improvvisamente, con una chiarezza spaventosa la mente di Rose fu occupata da una singola idea: non voleva morire. Avvertì una scossa di terrore, ma non solo. In qualche modo la memoria le suggerì che in passato, non ricordava bene quando, era andata oltre la paura. Aveva avuto accesso a una sorta di presenza totale, che le aveva suggerito come agire al di là del labirinto dei suoi stessi pensieri.

Bastò un attimo. Liberò le nano.

Ventimila.

Espanse la nebbia nera fino a toccare ogni angolo della superficie interna dell'abitacolo. Spinse le nano agli estremi di quel piccolo spazio, in modo da rivestirne le pareti con uno strato il più possibile compatto.

Diecimila.

Ora Rose era al centro di un bozzolo tessuto da lei stessa. Si concentrò esclusivamente sul renderlo il più resistente possibile.

Cinquemila.

Un'altra idea le si affacciò alla mente. E se fosse riuscita a rallentare il modulo? Col pensiero, cercò di spingere il bozzolo in direzione contraria a quella della discesa. Sentì lo scafo del modulo protestare orribilmente.

Tremila.

Non voleva più essere a bordo di un proiettile lanciato contro la morte. Il bozzolo creato da lei le dava una nuova sensazione di potere. Si concentrò per frenare ancora di più la caduta con le nano.

Duemila.

Accadde. Le pareti del modulo si aprirono come il guscio di un uovo. Rose vide i detriti di quella che era stata la sua scialuppa di salvataggio perdersi lontano nel cielo davanti a lei. Ora il corpo di Rose cadeva protetto solo dal bozzolo di nano. Doveva essere terrorizzante. Fu meraviglioso.

Rose allungò le gambe verso il basso, e si girò su se stessa, verso la direzione in cui stava cadendo. Sotto di lei, oltre la nebbia grigia, era visibile la città di Siebengrade. I suoi palazzi apparivano piccoli e insignificanti come dadi da gioco.

Da quell'altezza mortale, Rose scrutò l'orizzonte. Vide la Torre Lang-Murnau, che svettava sui quartieri alti. Vide il centro commerciale Hyperdrome. Per un attimo, la sensazione di dominio assoluto fu esaltante. Ma notò qualcosa di strano. Da vari punti della città, si stavano alzando delle colonne di fumo.

Ricordò che non stava volando, stava cadendo. Sotto di lei, le chiome dei platani di Parc Dumas si avvicinavano velocemente. Rose doveva prepararsi all'impatto. Si rannicchiò, abbracciando le proprie ginocchia. Si concentrò per rallentare il più possibile la velocità di caduta, e per rendere il bozzolo di nano il più resistente possibile.

Fu come tuffarsi in un mare di foglie e rami. Un'ondata di schegge si sollevò al suo passaggio. Sentì mille artigli graffiare sulla superficie del bozzolo, e la sensazione fu quasi dolorosa. Ma presto fu peggio. Colpì quello che doveva essere un grosso ramo. Qualunque cosa fosse, andò in frantumi, ma Rose avvertì la violenza dell'urto in ogni osso del suo corpo. Ebbe paura di non riuscire a mantenere il bozzolo.

Poi si scontrò con qualcosa che non andò in pezzi. Il suo percorso fu deviato. Si sentì venire meno, ed ebbe la precisa consapevolezza che se avesse ceduto, in un attimo il suo corpo sarebbe stato fatto a brandelli da migliaia di rami spezzati. Fece ricorso a ogni briciolo dell'energia che le rimaneva. Un altro urto. Ancora un altro. Non ce la fece più. Qualcosa di spezzò nella sua mente. Il bozzolo scoppiò come una bolla di sapone. Rose colpì duramente qualcos'alto, ma questa volta sentì un dolore bruciante sulla pelle delle sue braccia. Poi un urto sul suo torace, e la sensazione di scivolare. Cercò istintivamente di afferrare qualcosa per bloccare la caduta. Alla fine chiuse le sue mani e trovò qualcosa. Con gli ultimi barlumi di lucidità, capì che aveva fra le mani qualcosa di buono, di giusto e rassicurante. Era l'erba di un prato. Aveva toccato terra. Ce l'aveva fatta.

Perse conoscenza, forse per alcuni minuti. Poi un dolore acuto al costato la richiamò alla vita. Cercò di respirare a pieni polmoni, e il dolore peggiorò. Si ritrovò in bocca frammenti di erba. Tossì. E infine, nonostante la fitta alle costole, rise. Perché era viva, ed era tornata a casa.

Si rese conto di essere prona, distesa nel prato. Con uno sforzo, ignorando il dolore, si girò sulla schiena. Trovò la canna di una pistola a impulso puntata verso il suo volto.

L'arma era impugnata da una strana ragazza, con dei capelli biondi cortissimi, rasati quasi a zero. Indossava un trench nero e jeans neri attillati. L'espressione sul suo volto era dura, ma priva di animosità. Puntava la pistola contro Rose in modo freddo e professionale.

"Spero che tu abbia una buona spiegazione", disse.

"Per... cosa?" chiese Rose.

"Per essere scesa dal cielo come la fata turchina" precisò la ragazza, senza smettere di tenere la pistola puntata su di lei.

"Ehi, la sua foto era nel dossier" disse qualcuno alle spalle della ragazza bionda. "È quella tipa. La Mercury". Rose vide confusamente che altre due persone si stavano avvicinando. Erano in controluce, e non riusciva a vedere i loro volti.

Rose cercò di alzarsi sul gomito. Doveva liberare velocemente le nano, per difendersi da un possibile attacco. Il dolore al costato la bloccò. Si sentì sfinita. Reclinò di nuovo la testa nell'erba.

"Non è possibile. Rose!" A pronunciare quelle parole era stata una terza voce. Una voce che Rose conosceva.

Era un uomo. Si chinò su di lei, e le tese una mano per aiutarla ad alzarsi. Ora che era vicino, Rose riusciva a vedere il suo volto.

"Rose. Sei davvero tu?"

Lei prese la sua mano, e lentamente si alzò a sedere.

"Io, o quello che rimane di me" mormorò. "È bello rivederti, Clash".

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