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Sferzata dal vento, l'erba alta ondeggiava come un mare impossibile. Sembrava che l'intera collina respirasse al ritmo di una vita segreta, titanica, disumana. Rose cercava invano un sentiero per raggiungere la cima. Stava vagando nell'erba da tutta l'eternità?

Alzò gli occhi. Dovette ripararli dal sole con la mano. Molto più avanti, quasi in cima al pendio, due figure guardavano in basso verso di lei. Erano un ragazzo e una ragazza, entrambi con lunghi capelli biondi sciolti al vento. Rose era troppo lontana per decifrare le loro espressioni. Forse la stavano aspettando? Dalla loro immobilità, era più probabile che la stessero giudicando. Disprezzavano l'incapacità di Rose di farsi strada in quell'immensità erbosa.

Sì, doveva esser così. Stavano ridendo di lei. Rose ne aveva abbastanza. Decise di tornare al villaggio. Stava già voltandosi, quando qualcosa la spinse a guardare meglio il ragazzo. La sua postura, il suo corpo alto e longilineo... Lei lo conosceva.

Il vento divenne più freddo. Rose non voleva farsi sorprendere dalla notte. Scese dalla collina, e si incamminò per il sentiero che portava al villaggio. Non incontrò nessuno lungo la strada. I suoi sandali di legno ticchettavano solitari sull'acciottolato. Rose rabbrividì. Lo yukata che indossava stava diventando troppo leggero per quella stagione.

Quella sera, mentre si coricava sul materasso sottile appoggiato sul pavimento, Rose pensò ancora al ragazzo sulla collina. Credette quasi di potere pronunciare il suo nome, ma alla fine sfuggì alla sua lingua. Aveva la sensazione di avere sognato quel ragazzo, una notte di tanto tempo prima. E in quel sogno loro si erano amati. Stava quasi addormentandosi cullata da questo pensiero, quando le venne in mente l'altra. La ragazza con i capelli biondi, che camminava con lui sulla collina. Rose fremette di gelosia. Stupidamente, arrivò a odiare quella figura femminile vista da lontano. Chi era? Perché le stava portando via il suo sogno? Rose scivolò in un sonno inquieto.

La mattina dopo, Rose sciacquò il volto con l'acqua fredda che raccoglieva con le mani da una piccola catinella in ceramica banca, decorata con sottili morivi floreali in oro. Poi infilò ai piedi un paio di calze bianche e i suoi scandali di legno, e iniziò il lavoro nel giardino. Il grande acero dalle foglie rosse la accolse con la sua ombra, riparandola dal sole di quella mattina di tarda estate. Innaffiò le azalee che sorgevano lungo il vialetto principale, poi decise di dedicarsi al laghetto. Molti dei bambù che sorgevano dall'acqua erano secchi da settimane, e Rose aveva sempre rimandato il momento di tagliarli. Doveva decidersi. Prese un coltello corto, si tolse calze e sandali ed entrò nell'acqua fredda. Per un'ora lavorò senza sosta. Poi, guardò le proprie mani. Erano gonfie e arrossate, la pelle dei polpastrelli si era raggrinzita per il contatto con l'acqua, e sul dorso sinistro si era procurata un'escoriazione. Era le mani di una donna che lavorava sodo, doveva esserne fiera. E poi, che pretendeva? Da molto tempo ormai, non erano più le mani di una ragazza.

Si concesse una pausa all'ombra dell'acero. Non poté impedirsi di pensare di nuovo ai due giovani sulla collina. Chi erano? Rose non li aveva mai visti al villaggio. Forse erano servitori di un signore in viaggio nella zona, che si assicuravano che non ci fossero pericoli lungo la strada da percorrere. Non si sapeva mai. Le minacce erano sempre in agguato.

Come quando i ronin avevano razziato il villaggio. Quando era accaduto? Molti, molti anni prima. Fu in quell'occasione che Daisuke, il vecchio giardiniere, morì. Da allora Rose gli era subentrata.

No, non doveva farsi trascinare dai brutti ricordi. Le violenze, le ruberie... dopo tanti anni, Rose sentiva ancora la rabbia montarle dentro. Per fortuna, la strega aveva fatto giustizia. Aveva dato a quei criminali la lezione che si meritavano.

Nel pomeriggio si concesse una tazza di tè verde. Stava per ritornare al lavoro in giardino, quando fu rapita dall'idea di tornare a visitare la collina. Forse i due ragazzi sarebbero stati ancora lì.

Percorse il sentiero con un senso di ansia che non riusciva a spiegarsi. Mentre usciva dal villaggio, ebbe la folle sensazione che non vi avrebbe mai fatto ritorno.

Come il giorno precedente, il vento spazzava la collina erbosa. Ancora una volta, cercò con lo sguardo un qualche sentiero che la portasse fino alla cima. Trovò solo arbusti, pietre, e la distesa d'erba che non sembrava avere fine. Poi fu travolta da un altro pensiero. Fu certa che qualcuno, lassù, la stava aspettando.

Alzò gli occhi e li vide. I due ragazzi indossavano entrambi una tunica bianca. I loro capelli biondi al vento erano come un fuoco che bruciasse sulle loro teste. Guardavano verso Rose. Il ragazzo protese il braccio verso di lei. Era chiaro, la invitava a raggiungerli. La attendevano in cima alla collina.

Rose si sforzò di avanzare lungo il pendio. A ogni passo, sentiva qualcosa, forse arbusti, graffiarle le gambe affondate nell'erba. Il pendio divenne più ripido, e Rose si aggrappò all'erba alta per la paura di cadere. Ritirò subito le mani. Gli steli avevano provocato lunghi e sottili tagli lungo i suoi palmi. Ora le sue mani erano chiazzate di verde e rosso.

Un grosso cumulo di nubi oscurò il sole. Il freddo della notte si preannunciò. Rose guardò in alto. I due ragazzi erano scomparsi. Rose si rassegnò: aveva fallito di nuovo. Prudentemente, ridiscese il pendio.

L'estate spese i suoi ultimi giorni di sole e morì. Seguirono giorni e giorni di pioggia. Nel giardino, le gocce tormentavano la chioma dell'acero e tamburellavano furiose sulla superfice del laghetto. Rose passava ore a spiare quel quieto tormento. Ascoltava l'acqua scosciare sul tetto, e immaginava che il cielo piangesse per lei. E mentre si concedeva a questo languore, un giorno schiuse le labbra, come per baciare un fantasma, e invece pronunciò un nome: "Duke".

Rabbrividì. Era il nome del ragazzo sulla collina, in qualche modo misterioso lo sapeva. Fu presa da un turbamento inspiegabile. Duke. Non era solo il nome di un sogno. Loro si erano baciati, toccati, amati.

Per qualche oscura ragione, sentì il bisogno di mettersi in ordine i capelli. Prese a spazzolarsi davanti allo specchio. Un tempo i suoi capelli erano stati di un nero intenso e profondo, ora erano irrimediabilmente screziati di bianco. Rose appoggiò la spazzola, e osservò il proprio volto solcato dalle rughe. La giovinezza l'aveva abbandonata da tempo. Ma allora, come poteva essere stata l'amante del ragazzo sulla collina? Quell'amore era un sogno dentro a un sogno? Eppure, sentiva che era la cosa più reale che avesse mai avuto.

Quella notte e molte altre ancora furono tormentate dal nome di Duke. Ora ricordava anche sul volto, i suoi occhi grigi e luminosi, le sue labbra, che avevano incontrato quelle di lei. Ma nel cuore di quel languore, un dubbio la pungeva. Se Duke era stato suo, perché l'aveva visto con quella ragazza? Duke aveva abbandonato Rose per un'altra? Un'altra più giovane? Rose non ricordava. Ma una rabbia crescente, come un fumo nero, rendeva terribili le sue notti.

Un giorno, al limitare della primavera, mentre estirpava delle erbacce nel giardino, Rose ebbe un'illuminazione. "Chiederò alla strega", si disse. La strega aveva grandi poteri. Aveva messo i ronin al loro posto. Saprà risolvere il mistero di Duke. Stava già preparandosi a uscire di casa, quando, ripensando ai ronin, ricordò qualcosa. Anzi, ricordò di avere fatto qualcosa. Ebbe l'immagine di un uomo letteralmente stritolato dalle volute di un fumo nero. Era un maleficio della strega. E lei, Rose, godeva di quella vendetta perché...

Rose guardò il proprio volto allo specchio, i lunghi capelli completamente bianchi, gli occhi infossati nelle orbite. Ricordò. La strega era lei. Le sue gambe malferme la tradirono. Si accasciò a terra. Pianse, senza più speranza.

Molte altre notti passarono, notti di sogni, rancore e disperazione. Ogni mattina, Rose si alzava sempre più stanca. I piedi erano gonfi, le gambe malferme. Le sue mani raggrinzite si piegavano con dolore. Un giorno Rose si svegliò, e seppe di non essere più in grado di prendersi cura del giardino.

Aprì la parete scorrevole di carta sottile che separava la casa dal giardino. Osservò il camminamento di pietra che si perdeva nella foschia lattescente del primo mattino. Rose poteva udire le gocce di rugiada che, cadendo dalle foglie del grande acero, si perdevano nel laghetto. Chi si sarebbe preso cura del giardino dopo la sua morte?

Rose sapeva già la risposta. Si rimise a letto, per proteggersi dal freddo che le aggrediva le ossa. Nessuno avrebbe preso il suo posto. Come nessuno sarebbe venuto a prendersi cura di lei. Le venne in mente un'idea buffa. Si rese conto che, a parte i due ragazzi sulla collina, il villaggio doveva essere assolutamente vuoto. Non vedeva anima viva... da quando? Forse da mai.

Chiuse gli occhi. Avrebbe riposato. E forse si sarebbe persa per sempre, come una goccia di rugiada al sorgere del mattino.

Stette a letto tutto il giorno. Dormiva, ma ogni tanto si svegliava. Allora i suoi occhi indagavano l'oscurità della stanza, seguendo la striscia di luce opalescente che filtrava dal giardino. Col procedere delle ore, la luce divenne sempre più debole. Verso sera, quando il buio stava per prendere il sopravvento, Rose aprì gli occhi, e scorse una sagoma bianca vicino a lei. Qualcuno era seduto sui talloni, poco distante dal suo letto. Non c'era luce sufficiente per distinguere i lineamenti di quell'uomo. Ma Rose non ebbe il minimo dubbio nel riconoscerlo.

"Ti stavo aspettando, scimmietta" disse Duke.

Rose, faticosamente, si alzò a sedere sul letto. Aprì la bocca, e sulle prime non riuscì a dire nulla. Poi mormorò: "non ti sto sognando. Sei reale."

"Sono io. Qui, davanti a te."

Rose allungò la mano verso il volto di quel fantasma. Accarezzò la guancia di Duke, seguì con l'indice la linea del mento, poi tornò indietro per affondare le dita fra i capelli biondi. Lui la lasciò fare, docile. Era ancora giovane, Rose lo poteva sentire dalla sua pelle tesa e morbida. Com'era possibile?

Ritrasse la mano, confusa. "Chi è quella ragazza? Quella con cui ti ho visto sulla collina?"

"Si chiama Annika. Te ne ho parlato, ricordi?" rispose Duke tranquillo.

Rose esitò. Poi domandò ancora: "E la ami?"

"Certo, la amo" disse Duke.

"E allora cosa sono io per te?" gridò Rose, risentita. "Ti stai prendendo gioco di una vecchia? Sei o non sei il mio amore?"

Duke scosse la testa piano, con gentilezza. "Non funziona così Rose. Dove siamo noi, non valgono le regole delle scimmie. È pura libertà. È l'amore come scelta incondizionata, senza rancore, senza nulla in cambio."

"Non capisco... di che luogo parli? Dov'è questo 'dove'?"

"Rose, Annika e io siamo presso Mercury. Viviamo nel suo flusso di pensiero."

Mercury. Come aveva potuto dimenticarsene? Rose cercò di alzarsi. Le gambe la tradirono. Ricadde seduta sul materasso sottile. Duke la prese per le spalle, impedendole di cadere all'indietro con la testa. Rose sentì le sue mani robuste strette su di lei. Ricordò che un tempo erano stati giovani entrambi, e che lei aveva ricambiato quell'abbraccio senza la vergogna che provava ora.

"Dovevamo amarci" disse lei. "E invece la nostra vita è già passata. È quasi notte."

"Rose, ti ho promesso che ti avrei amata. Pensi davvero che basti una vita a estinguere il mio amore? Ti amo ancora, dal profondo della luce e dell'oscurità. Al di là di questo sogno."

"Questo posto... è Mercury?" chiese Rose.

Duke lasciò le sue spalle. Ora lui era abbastanza vicino da permetterle di intravedere nell'oscurità i suoi lineamenti.

"No, Rose. Qui siamo lontani da Mercury. È questo il problema."

Rose scosse la testa. Non capiva... oppure sì?

"Non ricordi nulla?" continuò Duke. "Hai sacrificato la tua vita per gli abitanti di Sieben. Hai risposto alla chiamata di Mercury, per riscrivere le menti di tutti e salvarli. E ci sei riuscita Rose. Sei diventata pura informazione. Puro spirito, come noi."

"Mercury è in cima alla collina" disse Rose con un'illuminazione. "L'ho incontrato, quando ero giovane. Ma si è arrabbiato con me, perché continuavo a uccidere i ronin. E adesso, non mi vuole più."

"No. Mercury era pronto ad accoglierti presso di sé. Ma tu ti sei persa. La tua mente ha creato questo posto, e si è nascosta qui. Non ha mai raggiunto Mercury. E col tempo, l'informazione che ti definisce ha cominciato a corrompersi. Stiamo per perderti, scimmietta."

Rose si passò sul volto le dita raggrinzite. Era così vecchia, adesso. Duke doveva trovarla ripugnante.

"Noi ci siamo amati a Siebengrade, vero?" disse come ricordando un sogno.

"Eri la mia piccola allieva, ricordi? Sei stata l'ultima cosa a cui ho mai tenuto. I tuoi occhi mi hanno legato alla terra, quando volevo solo andarmene. Sì, ci siamo amati Rose."

Duke si avvicinò, e la baciò sulla bocca. Lei sentì le sue labbra sulle sue, come la promessa di una nuova vita. Una promessa crudele, che non poteva essere mantenuta. Rose vi si concesse, senza più vergogna.

Quando si separarono, Rose si sentì girare la testa. Si distese sul letto. "Duke..." mormorò. "Adesso sono felice, Duke. Puoi restare con me ancora un po'?"

Lui le prese la mano. Rimasero in silenzio.

Infine Rose gli chiese: "Sei venuto da me perché è l'ultima notte, vero?"

Duke non rispose nulla. Stettero ancora in silenzio a lungo.

Poi Duke si scosse, come se finalmente avesse preso una decisione. Disse: "Alzati".

Rose non capì. Duke afferrò la coperta e la sollevò con un gesto deciso. Poi aiutò Rose a sollevarsi seduta. Infilò le sue braccia sotto di lei, e la alzò di peso. Ora teneva il suo corpo fragile come se la stesse cullando. Lei avvolse il suo braccio attorno al collo di lui.

"Cosa vuoi fare, Duke?"

"Ti porto fuori, scimmietta. Ti porto da Mercury."

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